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Igor Stravinsky, il giocatore

di Marco Surace - 17 Giugno 2025

Quando guardo alla storia della musica non posso fare a meno di pensare che essa sia tanto la storia delle splendide pagine musicali a cui siamo così affezionati, quanto quella dei loro geniali creatori. Nella mia esperienza, gettare luce sulla realtà quotidiana di quei musicisti (compositori, esecutori, direttori che essi siano) spesso ci rende più chiara la loro mentalità creativa e la loro opera.
Nella rubrica “Il musicista e il giocatore”, in particolare, cerco di entrare nel vivo di questa riflessione, andando ad approfondire i passatempi e i giochi preferiti delle grandi personalità della musica. Oggi è il turno di Igor Stravinsky!

Compositore tra i più influenti del XX secolo, figura chiave del modernismo musicale, della sua opera è stato già detto molto (in più occasioni, anche da egli stesso). Al suo periodo russo (1913-1920), fortemente caratterizzato da stili ed elementi tipici del folklore della sua terra, appartengono i tre celebri Balletti commissionati da Diaghilev – L’Uccello di fuoco (1910), Petrushka (1911) e La Sagra della primavera (1913) – che lo hanno consacrato al successo, rivoluzionando la sensibilità musicale del Novecento, così come L’Histoire du soldat (1918). Nel suo periodo neoclassico (1920-1951) il recupero degli stilemi e dei riferimenti classici si rispecchia nell’uso della forma sonata nel suo Ottetto (1923) e nella scelta di temi mitologici greci in opere come Apollon musagète (1927), Oedipus rex (1927) e Persephone (1935). C’è infine il periodo seriale (1954-1968), nel quale Stravinsky si orientò verso le tecniche compositive della Seconda Scuola di Vienna (la dodecafonia di Arnold Schoenberg), come testimoniato da In Memoriam Dylan Thomas (1954), la prima delle sue composizioni dodecafoniche, e dal Canticum Sacrum (1956).

Le nuove tecniche compositive del Novecento, lo studio della propria tradizione culturale e il recupero di certi stilemi hanno senza dubbio contribuito e dato forma alla creazione artistica di Stravinsky, ma sapete invece in che modo il gioco d’azzardo abbia a che fare con la sua musica? Prima di tutto ha a che fare con la sua vita! Sembra che a Igor piacesse sedersi al tavolo, in compagnia di amici (musicisti e non), per una bella partita di Poker!
Abbiamo una testimonianza di una partita con un importante musicista dell’epoca:
il violoncellista ucraino naturalizzato statunitense Gregor Piatigorsky. Sin dagli albori della loro amicizia, che iniziò presumibilmente intorno alla metà degli anni ’20, Piatigorsky aveva chiesto a Stravinsky di comporre per il suo strumento, ma senza successo. Stufo di aspettare, nel 1931 trascrisse per violoncello alcuni movimenti del balletto stravinskiano Pulcinella e li iniziò a suonare in concerto. Durante un loro incontro, Piatigorsky glieli fece sentire. Stravinsky, entusiasta, si unì alla performance sedendosi al piano e da quel momento iniziarono a incontrarsi spesso allo Studio Pleyel di Parigi per lavorare insieme al pezzo, che nel 1933 sarebbe stato ribattezzato Suite Italienne.Alla fine della loro collaborazione, tra momenti musicali e mordaci battute di Stravinsky – che chiamava continuamente il violoncello ‘una grande chitarra’ – si rilassarono cimentandosi in una partita a Poker.

Per Stravinsky, la passione per le carte e per il gioco d’azzardo era maturata presto (durante una vacanza in Germania, in gioventù, rimase impressionato dal casinò e dai giocatori che lo affollavano) e non era destinata a rimanere nella sfera privata. Anzi, andava portata sul palco. Nel 1936, gli impresari Lincoln Kirstein ed Edward Warburg gli commissionarono un balletto, su un soggetto a sua scelta, per l’American Ballet. Si rivolse inizialmente a Jean Cocteau, ma la collaborazione non andò in porto e dunque Stravinsky ideò l’argomento con l’aiuto di un amico di famiglia, Malaieff, terminando l’opera il 6 dicembre dello stesso anno, per poi inviarla a George Balanchine perché ne creasse la coreografia. Il 27 aprile del 1937, al Metropolitan Opera House di New York, andò in scena Jeu des cartes, sotto la direzione del compositore stesso.  Secondo quanto raccontato da Stravinsky, l’idea di basare un balletto su una partita di poker gli venne mentre era in carrozza, diretto a una cena a Parigi nell’agosto del 1936, e ne fu così entusiasta che invitò il cocchiere a bere un aperitivo con lui in un caffè.

[…] la conclusione di Jeu des cartes rappresenta, infatti, il trionfo del bene sulle forze del male.


Tutto il balletto è fondato su elementi collegati al mondo del gioco. I personaggi sono le carte principali di una partita di Poker, disputata tra diversi giocatori sul tappeto verde di una sala da gioco. Il Jeau si compone di tre parti, ciascuna delle quali rappresenta una mano della partita di carte, che si complica via via a causa delle infinite astuzie del perfido Joker, il quale si crede invincibile grazie alla sua capacità di trasformarsi in qualsiasi carta desiderata. Anche la musica viene concepita in maniera giocosa, ed è intrisa di rielaborazioni e trasformazioni di melodie di Piotr Tchaikovsky, Johann Strauss, e di Gioachino Rossini. Nonostante l’apparente leggerezza della tematica scelta, la vittoria della scala reale di cuori sul Jolly non racconta semplicemente un lieto fine per i giocatori; la conclusione di Jeu des cartes rappresenta, infatti, il trionfo del bene sulle forze del male. Lo vediamo chiaramente anche nel tessuto musicale, dove il tema in Si bemolle maggiore che apre ciascuna mano e che fluisce verso mondi tonali lontani, trova la sua svolta modulatoria nella coda finale: il Mi bemolle viene alterato in Mi naturale e conduce alla trionfante conclusione in Mi maggiore.

La contrapposizione tra bene e male è un topos nella produzione di Stravinsky. Già nell’Histoire du Soldat (1918), il soldato Joseph viene tormentato dal diavolo durante il suo ritorno a casa e dopo molte peripezie, nel tentativo di ricongiungersi alla sua amata, soccombe infine di fronte alle forze del male. Questo dualismo ritorna prepotentemente alla fine degli anni ’40, quando Stravinsky compone la sua opera lirica The Rake’s Progress. L’azione, su libretto di Wystan Hugh Auden e Chester Kallmann, racconta la storia Tom Rakewell che, dopo aver ricevuto inaspettatamente una cospicua eredità, lascia la sua fidanzata per cercare fortuna a Londra. Tom è accompagnato quasi fino alla fine da Nick Shadow, che rappresenta il lato oscuro junghiano del suo carattere. Nel terzo atto, Nick rivela la sua identità e chiede a Tom di pagarlo con la sua anima, ma allo stesso tempo gli offre una via di fuga sotto forma di una partita a carte. In questa sezione, accompagnata solo dal clavicembalo, ci si può immaginare quasi che gli arpeggi siano un’imitazione del modo di mescolare le carte di Stravinsky, e gli accordi staccati un ricordo sonoro dello schiocco le carte da gioco sul tavolo. Questa musicazione del modo di giocare di Stravinsky, d’altronde, è forse più che una semplice immagine simbolica. Il poeta britannico Wystan Hugh Auden, che trascorse una settimana a casa di Stravinsky nel novembre 1947, nei giorni in cui nacque l’idea del gioco di carte tra l’eroe e il diavolo, notò in più occasioni che il compositore si metteva al tavolo a fare un solitario per rilassarsi durante le pause dalla composizione.

Tracce dello spirito ludico di Stravinsky sono presenti in tante altre sue composizioni. Basti pensare al balletto Agon, 1953-57 (che con Apollon Musagète e Orpheus completa la ‘trilogia greca’), nel quale non c’è una storia definita e che, come disse Luciano Berio, può essere visto come “una ‘breve storia della musica’ che esegue un’autopsia lucida, ma tragica, su sé stessa con il pretesto di un gioco“. In Agon, Stravinsky passa in rassegna i più diversi stili e impiega differenti tecniche compositive, con il pretesto di inscenare (senza una vera e propria trama) una competizione di danza davanti agli Dèi.
Anche nel fiabesco mondo dell’Uccello di Fuoco (1910), in cui è ancora una volta caratterizzante l’antitesi tra il male (il mago Kašej) e il bene (l’Uccello di Fuoco), si assiste a una situazione giocosa. Nell’ottava scena, Gioco delle principesse con le mele d’oro, le tredici fanciulle tenute prigionere da Kašej, escono dal castello e iniziano a lanciarsi giocosamente delle mele dorate. Il principe Ivan si presenta alla principessa più giovane, di cui si è innamorato, e insieme eseguono un lento khorovod (una delle danze popolari russe più antiche, che combina la danza in cerchio al canto corale).

Le composizioni del periodo russo, che scavano nel folklore dell’antica Russia pagana, hanno in un certo modo a che fare con il regno del gioco, ma in maniera più ancestrale e profonda. È senza dubbio La Sagra della Primavera (1913) a riportare alla luce vividamente alcune di queste tradizioni lontane. La religione slava primitiva, che si riflette in modo atavico nei canti, nei giochi e nei rituali della Russia rurale, era organizzata attorno a un ciclo stagionale che simboleggiava il ciclo vitale del dio sole. Nella prima parte della Sagra, L’adorazione della terra, assistiamo agli antichi rituali slavici che simboleggiavano la gioia della primavera. Dopo l’introduzione orchestrale, che è un brulicare di flauti primaverili, il sipario si alza e si susseguono auspici, rituali khorovod, un gioco del rapimento, un gioco khorovod delle città, fino ad arrivare alla processione del più anziano e saggio, che completa l’adorazione donando un bacio alla terra. I khorovod e i giochi all’aria aperta sono estremamente vari. Il khorovod può essere eseguito con vari movimenti: se si è in cerchio si va di solito verso sinistra, cioè come si muove il sole; mentre quelli che si muovono in cerchio cantano, coloro che stanno all’interno del cerchio (un giovane, una ragazza o una coppia) eseguono e rappresentano ciò che viene cantato. Se non ci si dispone a cerchio si può formare anche anche una catena, anche qui eseguendo diversi movimenti a tempo. Una particolare versione di questo rituale/gioco è l’agorod: uno dei giocatori sta all’interno o all’esterno della “città” e deve trovare il cancello o rompere il muro, cioè sfondarlo.

Stravinsky aveva una predilezione anche per i giochi da scacchiera. Sembra fosse sua abitudine rilassarsi dopo i pasti con una partita a dama cinese e a Hollywood, negli anni ’40, ne regalò un set al compositore Alexandre Tansman e a sua moglie. Era anche appassionato di scacchi e, attraverso la testimonianza del pittore e scenografo Nikolaj Roerich, apprendiamo la notizia di un balletto stravinskiano mai realizzato: Igra (“Giochi”). In un’intervista, Roerich disse che nel 1909 Stravinsky andò a trovarlo con la proposta di creare insieme un balletto. Lo scenografo sottopose al compositore La sagra della primavera e un libretto alternativo, che non sarebbe mai andato in scena, la cui azione si sarebbe svolta su una scacchiera. Il libretto, tra l’altro, esiste ancora nella collezione del Museo Statale del Teatro Bakhrushin di Mosca.

Il gioco fu dunque per Stravinsky qualcosa di assolutamente quotidiano, presente nelle sue giornate tanto durante quanto al termine del suo lavoro creativo. Il gioco fu uno strumento capace di alimentare la sua vita sociale, di aiutarlo a (ri)trovare la propria dimensione personale e di favorire la sua libertà artistica. Egli sosteneva infatti che “Più l’arte è controllata, limitata, elaborata, più è libera”, trovandone un senso solo se rispettava regole esplicite e rigide. Ciò non sorprende e, anzi, fa sorridere. Potremmo dire che per lui anche la composizione fu un gioco (?).

Marco Surace

Marco Surace

Segretario di Redazione

Laureato in chitarra classica al Conservatorio "Santa Cecilia" di Roma e in Musicologia all'Università "La Sapienza". Nella mia quotidianità cerco di far convivere la mia ossessione per Maurice Ravel con l'entusiasmo della scoperta di nuove sonorità.

Innamorato perso del violoncello, della musica minimalista e della pasta al sugo. Ho una battuta o un meme per ogni occasione.

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