Fantasia su un tema di Thomas Tallis
di Tiziano de Felice - 8 Settembre 2024
La sera del 6 Settembre del 1910 il pubblico è numeroso tra i banchi della cattedrale di Gloucester. L’occasione è un concerto parte dello storico festival inglese dei Tre Cori, un evento annuale che si svolge a rotazione nelle tre cattedrali delle città inglesi di Hereford, Gloucester e Worcester. Nel programma della serata c’è il Sogno di Gerontius, il monumentale e celebre oratorio di Edward Elgar, lavoro ancora popolare ed acclamato a dieci anni di distanza dalla sua prima esecuzione. Ma figura anche un’opera musicale inedita di un altro compositore. Si tratta della Fantasia su un tema di Thomas Tallis per orchestra d’archi. L’autore? Un promettente ma semisconosciuto trentasettenne di nome Ralph Vaughan Williams, che quella stessa sera saliva sul podio per dirigere il suo nuovo pezzo.
“Durante la durata del pezzo non si è mai del tutto sicuri se si sta ascoltando qualcosa di molto vecchio o di molto nuovo. Il lavoro è meraviglioso poiché sembra trasportarci in regioni sconosciute del pensiero e del sentimento musicale”.
London Times
Finita l’esecuzione, la Fantasia venne accolta calorosamente, con qualche riserva. Era certo che si fosse trattato di un lavoro fuori dal comune, ma non mancarono anche delle perplessità e critiche da parte di chi, per esempio, trovò questa musica eccessivamente austera. La recensione del London Times descrisse così la musica di Vaughan Williams: “Durante la durata del pezzo non si è mai del tutto sicuri se si sta ascoltando qualcosa di molto vecchio o di molto nuovo. Il lavoro è meraviglioso poiché sembra trasportarci in regioni sconosciute del pensiero e del sentimento musicale”.
Acuto il giudizio del critico Hubert Foss: “Le pagine della Fantasia racchiudono la fede dell’Inghilterra, nel suo suolo e nella sua tradizione, fermamente creduta ma espressa senza dettagli espliciti.” e prosegue: “c’è un’estasi silenziosa, e poi accanto ad essa arriva una sorta di cieca persistenza, un fedele pellegrinaggio verso una luce invisibile”.
A molti anni di distanza tra i nostri giorni dalla sera della prima esecuzione, la Fantasia di Vaughan Williams viene considerata non solo una pietra miliare del repertorio orchestrale britannico ma certamente anche tra le composizioni più celebri ed amate del compositore inglese.
Come suggerisce il titolo, l’ispirazione per questo lavoro è stata l’opera del compositore Thomas Tallis (1505 – 1585). In vita Tallis fu sia grande compositore che astuto politico del suo tempo. Rimase cattolico durante i cambiamenti sociali e religiosi dell’Inghilterra del XVI secolo, ma riuscì sempre ad essere ben visto da ogni monarca che saliva al trono. Fu per esempio favorito della regina Elisabetta I, di fede protestante, che gli concesse il privilegio esclusivo di stampare musica e carta da musica per tutta l’Inghilterra. Il salmo su cui Vaughan Williams ha basato la sua Fantasia è breve ed appare nel The Whole Psalter Translated into English Meter (1567) dell’arcivescovo Matthew Parker, pubblicato nove anni dopo l’incoronazione della regina Elisabetta I.
Viene comunque da chiedersi, perché scomodare Tallis per scrivere un nuovo lavoro? La risposta al quesito risiede nel cambiamento dei gusti ed aspirazioni della nuova generazione di compositori inglesi. Infatti la generazione di compositori alla quale apparteneva Vaughan Williams (insieme a Gustav Holst, Herbert Howells, George Butterworth o John Ireland) volle evitare l’ingombro di autori parte di un establishment accademico-musicale inglese come il professor Hubert Parry e Charles V. Stanford ma anche le imponenti architetture teutoniche di autori allora dominanti come Brahms, Wagner, Richard Strauss e ovviamente l’ingombrante figura di Edward Elgar.
La generazione di Vaughan Williams stava invece trovando una propria strada e tracciando al tempo stesso una nuova identità sonora, una linea che si estendeva dai compositori di epoca Tudor (Byrd, Tallis, Gibbons, Taverner e Dowland) fino alla musica della Restaurazione di Henry Purcell e William Lawes. Dunque la Fantasia è emersa in un’epoca in cui non solo si cercavano nuove identità, ma anche in un periodo in cui venivano riesumati tesori della musica inglese a lungo dimenticati, per lo più dei secoli XVI e XVII. In particolare, Vaughan Williams era profondamente convinto del fatto che la musica dei Tudor traesse la sua vitalità dallo spirito del country inglese e che fosse una musica d’ispirazione pura, incontaminata. Fu certamente con questo spirito che con la sua Fantasia volle mostrare riconoscenza verso le grandi risorse del folklore inglese e la musica dei tudor, abbracciando al tempo stesso un linguaggio distinto.
Importante ricordare anche che il primo decennio del XX secolo fu segnato dalla professionalizzazione della figura del collezionista e archivista delle melodie popolari. Vaughan Williams a inizio ‘900 non solo fu dal 1904 al 1906 redattore della nuova edizione dell’English Hymnal, ma fu anche un membro attivo della Folk-Song Society e frequentatore di pub e strade di campagna del Norfolk, Wiltshire e Somerset. Infatti, in questi luoghi, egli poteva segnare ballate popolari e melodie dei lavoratori o contadini, trovando materiale musicale che inevitabilmente poi sarebbe confluito nelle composizioni scritte proprio in quel decennio come le Norfolk Rhapsodies, On Wenlock Edge o In the Fen Country.
A contribuire al particolare ed affascinante sound della Fantasia non c’è solo il materiale musicale sul quale si basa l’intero lavoro, ma anche la gestione dell’orchestra d’archi da parte del compositore. Infatti, anziché scrivere per un’orchestra d’archi in modo tradizionale, Vaughan Williams ha scritto questo lavoro per tre gruppi d’archi di diverse dimensioni. L’orchestra della Fantasia è quindi composta da una sezione d’archi più grande, un gruppo più piccolo di nove strumentisti e un quartetto d’archi separato. Nello specifico, il compositore in partitura dà le seguenti disposizioni:
“la seconda orchestra consiste di due violini primi, due violini secondi, due violisti, due violoncellisti e un contrabbassista. Questi musicisti dovrebbero essere presi dal terzo leggio di ogni gruppo (o nel caso del contrabbasso dal primo musicista del secondo leggio), e dovrebbero, se possibile, essere posizionati a distanza dalla prima orchestra. Se questo non dovesse essere possibile, dovrebbero suonare stando seduti al loro consueto posto. Le parti soliste devono essere suonate dai capi di ciascuna sezione.”
Questa originale impostazione è certamente frutto del periodo di studio di Vaughan Williams sotto la guida di Maurice Ravel. Si tratta di un periodo durato circa tre mesi in Francia, nell’inverno tra il 1907 e 1908, durante il quale Vaughan Williams iniziò a sperimentare maggiormente con l’orchestrazione per creare un suono caratteristico e multidimensionale nella sua musica. Ma l’intuizione di scrivere così per archi da parte di Vaughan Williams affonda le sue radici anche nella musica sacra e nell’organo. La divisione in tre grandi registri, un uso ben calibrato di raddoppi a più ottave, stratificazioni, isolamento di linee melodiche in primo piano sopra uno sfondo sonoro, sono caratteristiche che non fanno altro che rievocare il funzionamento e le sonorità dell’organo da chiesa.
L’esperienza di ascolto che ne risulta è dinamica, coinvolgente e il materiale musicale, passando tra i diversi gruppi d’archi, crea un dialogo costante che esalta la complessità e la bellezza del pezzo.
Questo uso innovativo delle forze divise degli archi ha consentito al compositore di creare un’ampia gamma di trame sonore, offrendo la possibilità di esplorare la profondità della massa stessa del suono. L’intensificazione del suono, il suo ispessirsi ed ingrossarsi, oppure il suo assottigliarsi quando viene utilizzato solo il quartetto d’archi al posto di tutta l’orchestra, crea dei rapporti di distanze e proporzioni tra le masse. L’esperienza di ascolto che ne risulta è dinamica, coinvolgente e il materiale musicale, passando tra i diversi gruppi d’archi, crea un dialogo costante che esalta la complessità e la bellezza del pezzo. La seconda orchestra, volutamente più debole rispetto alla prima, conferisce ai suoi interventi l’effetto di un pallido eco spettrale rispetto al suono pieno. Il quartetto di solisti invece agisce come un personaggio interno all’orchestra. Negli assoli o insieme, questi quattro strumenti percorrono territori ignoti, tra boschi, colline, ritrovando per strada quei temi svettanti derivati dalla canzone popolare inglese.
Ciò che è evidente all’ascolto è anche quanto Vaughan Williams si fosse spinto oltre l’ombra della musica tardo-romantica e l’influenza dominante di certi autori o dei lavori di stampo ‘elgariano’ in patria. Tutto nasce e si sviluppa intorno ad un’idea: il tema stesso, che viene variato, scomposto o esteso con una particolare libertà che supera la tradizione classica.
La Fantasia quindi si svolge in un unico movimento continuo, sebbene potrebbe essere scomposta in sezioni distinte. Per esempio, essa si apre e si chiude con sezioni dalle textures serene e dilatate, che vanno ad incorniciare una grande sezione centrale contenente materiale dal carattere più drammatico e contrastante.
L’introduzione crea un senso di sospensione e di attesa. Vaughan Williams accenna soltanto al tema di Tallis con dei pizzicati degli archi gravi che si alterna a dei frammenti tematici suonati con l’arco da viole e violoncelli, mentre sullo sfondo rimane sospeso in pianissimo un re acuto dei violini. Nell’ascoltatore si crea quindi un senso di aspettativa, preparata abilmente dal compositore prima dell’ingresso vero e proprio del celebre tema, il quale arriva dopo un fortepiano dei violini primi e il loro tremolo sullo sfondo. L’arrivo del tema quindi per chi ascolta è simile a una rivelazione, con quel suo procedere cantabile dai tratti oscuri parla all’ascoltatore con note antiche, perdute ma mai dimenticate.
Nella seconda frase e riaffermazione del tema principale, la melodia si alza in alto nei primi violini ed il suono si ingrandisce con la figurazione di accompagnamento ora più elaborata e rapida (violini secondi) e con l’accompagnamento accordale sottostante ricco e denso.
La Fantasia gioca con la nostra percezione dello spazio e del suono mentre si svolge come una conversazione antifonale tra “cori”
Vaughan Williams tratta la melodia dell’inno di Tallis con grande riverenza preservandone il lirismo e presentandola in varie forme nel corso del pezzo. Egli sviluppa la sua musica in ampie frasi musicali che suggeriscono le proporzioni e i grandi spazi dell’architettura della cattedrale, dividendo le sue forze strumentali e il suo materiale musicale. La Fantasia gioca con la nostra percezione dello spazio e del suono mentre si svolge come una conversazione antifonale tra “cori”. Questo dialogo spazializzato non è dissimile dall’intreccio della musica corale della polifonia rinascimentale, come il famoso Spem In Alium di Tallis. L’intera orchestra d’archi si alterna diverse volte con la seconda orchestra d’archi più piccola. Il quartetto d’archi, invece, riaffiora come un’eco distante e inquietante del passato. In alcuni momenti emergono le toccanti voci soliste della viola e del violino. La musica di Vaughan Williams scivola in un paesaggio onirico sensuale e malinconico. Voci spettrali e lamentose aleggiano nell’aria, raggiungono climax maestosi e infine evaporano con la stessa rapidità con cui sono arrivate.
L’affascinante linguaggio armonico della Fantasia è ricco e modale, riflettendo sia le origini rinascimentali del tema di Tallis che l’idioma armonico caratteristico di questo compositore. Ma non è solo il modo frigio a rendere unico questo lavoro; anche elementi come gli strategici raddoppi strumentali nell’orchestra ed armonie parallele contribuiscono ad evocare una qualità senza tempo e ad infondere definitivamente in questa musica un carattere contemplativo e fuori dal tempo. La Fantasia spicca proprio per quel suo sound inequivocabile e difficile da descrivere ma immediatamente riconoscibile, che sembra contemporaneamente sia antico che moderno. Il lavoro di Vaughan Williams, come una risonanza della storia, giunge sino a noi attraverso i secoli, un viaggio nel tempo rappresentato in musica. L’ascoltatore camminerà sopra un ponte temporale che collega i Tudor con i più moderni edoardiani fino ai giorni nostri, provando a tutti gli effetti la sensazione di abitare tra due mondi, in due diverse linee temporali allo stesso tempo.