Wagner ad alta voce: L’oro del Reno
di Redazione - 2 Aprile 2022
Richard Wagner, Der Ring des Nibelungen
Das Rheingold. Prologo
«Signore dell’Anello, servo dell’Anello! … Non sfuggirai alla mia maledizione!»
Sul lungo scuro pedale in Mi bemolle maggiore che scaturisce dal golfo mistico orchestrale, il sipario si apre sulle acque del sacro fiume Reno in cui giace l’oro del mondo. Le ondine, custodi del tesoro, volteggiano libere nell’acqua quando all’improvviso appare in tutta la sua grottesca presenza il nano Alberich proveniente dal mondo di sotto, ovvero dal Nibelheim. Egli cerca invano di possederle, rinnega dunque l’amore e ruba l’oro (per acquisirne il magico potere); lo conduce con sé fuori dall’elemento primordiale dell’acqua, che lo tiene lontano da ogni speculazione e da ogni sete di dominio che minerebbe l’ordine cosmico, per farlo forgiare dal brulicante popolo nibelungico nelle lugubri sue fucine sotterranee.
Intanto, nel mondo superiore, il dio Wotan ha stretto affari con i giganti Fafner e Fasolt. La costruzione della nuova reggia del Walhalla sarà oggetto di baratto con la dea Freia, dea della libertà, della bellezza e dell’amore sessuale. Fricka, sua sorella e moglie di Wotan, dissuade il marito che in realtà non ha alcuna intenzione di rispettare i patti stretti con la forza bruta dei giganti. La corruzione, la fame di potere e la menzogna diventano protagonisti di una vicenda che finirebbe nel sangue se non intervenisse a fianco di Wotan il dio Loge. Nonostante ciò il rapimento di Freia è inevitabile; la giovane dea è rapita dai giganti e non sarà da loro liberata fintanto che essi non riceveranno in cambio l’oro del Reno custodito dal nibelungo Alberich.
Lo sconforto di Wotan e Fricka è immediatamente risolto da Loge, dio dell’inganno, dell’ingegno e dell’astuzia, il cui elemento è il guizzo vivace della fiamma che distrugge e rigenera. Personaggio caratterizzato dalla libertà, dalla sfrontatezza, da un’intelligenza risolutrice, che condurrà Wotan nel Nibelheim per rapire Alberich e ottenere l’anello che lui ha nel frattempo forgiato assieme al pusillanime e tiranneggiato fratello Mime, modellatore di un elmo magico che permette a chi lo indossa di poter cambiare sembianze o di apparire invisibile. Proprio l’elmo aiuterà lo scaltro Loge a rapire Alberich e a condurlo nel mondo degli dei: il nano potrà riacquistare la sua libertà solo consegnando l’oro, l’elmo e l’anello a Wotan.
Alberich nel consegnare il tesoro lancia lo strale della sua maledizione mentre un ultimo tentativo di mutare il destino del mondo sarà provato da Erda, la dea della terra, panica custode del sapere. Ella ammonisce l’avido Wotan preveggendo un triste destino del mondo a meno che l’oro non venga subito restituito all’elemento primordiale dell’acqua per ritornare a ristabilire l’innocenza perduta.
Wotan cede al severo monito di Erda ma non restituisce l’oro alle Ondine del Reno ma, come promesso, lo consegna a malincuore ai fratelli giganti che, come vaticinato, si rendono protagonisti di una violentissima lite che termina con la morte di Fasolt. Fafner è ora in possesso di tutto l’oro, dell’anello e dell’elmo magico e Wotan, da par suo, può ora accedere con la schiera divina alla nuova reggia del Walhalla varcando la soglia su un ponte modellato dall’iride di un sublime arcobaleno.
Il tormentato avviluppo degli eventi che concludono la vigilia scenica sembra essersi risolto ma la maledizione scagliata da Alberich contro Wotan e contro tutti coloro che brameranno l’oro segna l’inizio della tormentata saga che volgerà al risolutivo crepuscolo del terzo giorno.
(Andrea Camparsi)
Sono libero ora? Davvero libero? Vi riverisca allora il primo saluto della mia libertà!
Così come per maledizione mi giunse, maledetto sia questo anello! Il suo oro mi diede smisurato potere, che ora la sua malia dia morte a colui che lo possiede! Nessun felice dovrà per esso felicitarsi. A nessun gioioso dovrà sorridere la sua luce!
Venga logorato dall’angustia chiunque lo possieda e chi non lo ha, lo consumi il livore! Che ognuno brami di averlo, tuttavia, nessuno goda d’un suo giovamento!
Senza utile lo custodisce il suo padrone, ma esso attira l’usuraio! Decaduto nella morte, che il timore avvinghi il vile: finché è in vita, perisca nella bramosia, signore dell’anello e dell’anello servo: finché non avrò tra le mani di nuovo ciò che è stato rubato! Così il Nibelungo consacra il suo anello nella massima miseria! Custodiscilo adesso, riguardalo bene: non sfuggirai alla mia maledizione! (Traduzione di Lucia Cambria)
Alberich, il nano della stirpe dei Nibelunghi, generati dal grembo di Notte e Morte, poi eclissati tra le profonde caverne del Regno della nebbia per fondere e temprare metalli; per Wagner, il personaggio-chiave dell’Oro del Reno, il primo ad entrare in scena già nella versione in prosa del 1848 (Il mito dei Nibelunghi come schema di un dramma) risalendo dalle tenebre dell’abisso fino al canto giocoso delle Figlie del Reno, mosso dalla brama dei sensi. Goffo e sgraziato, perfido e astuto, assetato di ricchezza, potere e magia, rinnegando l’amore è giunto in possesso dell’Oro per forgiarne l’Anello del dominio sul mondo e sugli dei… di quell’oro, associato alle acque pure [rein] del Reno [Rhein] già dagli antichissimi Canti dell’Edda, e ora inabissato nel sulfureo vapore del Nibelheim tra il bagliore delle fucine, il fragore delle incudini, le sinistre sonorità dell’orchestra wagneriana. Un tesoro dal vanto breve per il nano Signore dell’Anello, la cui frode, nutrita dal dolore dei suoi stessi schiavi fratelli, presto soccomberà sotto la violenza di Wotan, Signore del Mondo. E l’Anello sarà maledetto.
Si avvia così la catena di azioni perverse, di raggiri e violenze che nessun magico arcobaleno potrà rischiarare, nessuna fortezza, pur alta e sublime, potrà fermare, nessun eroe potrà impedire e che condurranno all’esito funesto di un Crepuscolo che non sfugge già ora alla musica, al lamento delle Ondine, al canto profetico di Erda, al canto cinico di Loge, spirito libero e vendicativo, con il potere del fuoco distruttore.
Tra gli strali funesti del concitato monologo di Alberich affiora non solo rabbia e rancore ma la pessimistica visione religiosa delle antiche Avventure del Nibelungenlied, espressione negativa di un cristianesimo medievale germanico che, dando valore assoluto alla vita dello spirito, condanna a fine tragica ogni gioia materiale, ogni pur breve felicità terrena. E l’alba del mondo sulla natura primordiale del Reno sarà l’alba della fine del mondo tra le fiamme del Walhalla. Rimarrà solo il grande fiume, paterno, possente, ancestrale custode del tempo e dello spirito del popolo tedesco, che continuerà a scorrere silenzioso tra selvagge vallate lasciando risuonare il mesto canto a danza delle Ondine nel tenero flusso della Musica. (Adele Boghetich)
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