The Dream of Gerontius di Elgar: il viaggio sublime
di Tiziano de Felice - 5 Aprile 2021
Edward Elgar finisce di scrivere il suo ultimo oratorio, The Dream of Gerontius, nei primi giorni di agosto del 1900, appena in tempo per il Triennial Music Festival di Birmingham che lo aveva commissionato due anni prima. L’oratorio, scritto per tenore, mezzosoprano, basso, coro e grande orchestra, narra l’incredibile esperienza vissuta sul letto di morte di un uomo anziano di nome Gerontius, e del viaggio della sua anima nell’aldilà e la sua entrata nel Purgatorio dopo essere stata al cospetto di Dio.
Il celebre direttore tedesco Hans Richter accettò l’incarico di dirigere la prima, lui che l’anno precedente aveva portato a termine la sensazionale première delle Variazioni Enigma di Elgar a Londra. Tuttavia il nuovo oratorio di Elgar presentava sfide non trascurabili per i musicisti, il coro e i solisti: si trattava di un lavoro non solo impegnativo a livello tecnico ma anche radicale nella sua concezione per quei tempi, più wagneriano che handeliano come carattere. Pertanto la prima esecuzione non fu un disastro completo, ma fu incerta, debole e l’abilità ed esperienza di Richter non furono abbastanza per compiere il miracolo.
Vi sono però testimonianze che parlano del pubblico che, nonostante l’esibizione a tratti goffa, infranse una regola del festival che vietava l’applauso alle esibizioni mattutine, chiamando anche il compositore sul palco alla fine. Anche il mondo della critica percepì il merito di questo lavoro di Elgar. Tra il pubblico a Birmingham quel giorno c’era anche il direttore del Festival del Basso Reno di Düsseldorf, Julius Buths. Rimase così colpito da programmare Gerontius per il suo festival il Dicembre dell’anno seguente. Fu in quell’occasione, durante un banchetto post-concerto, che Richard Strauss elogiò Elgar come “un maestro moderno”.
Oggi The Dream of Gerontius è stabilmente nel repertorio della musica per coro e orchestra nel mondo anglosassone, e c’è chi lo considera il capolavoro di Elgar, per la padronanza dell’orchestrazione, la raffinatezza e complessità della scrittura corale e il suo effetto e la drammaticità della sua struttura.
Per aspera ad astra
Dal 1892 al 1900 Elgar fu impegnato nella composizione di sei grandi opere corali, come The Black Knight, King Olaf (1896), Caractacus (1898) e i Sea Pictures (1899), dirigendo anche tutte le prime esecuzioni. Elgar acquistò fiducia come compositore, e il successo delle Variazioni Enigma nel 1899 lo resero finalmente un nome noto a livello nazionale. Ma questa notorietà fu dolorosamente accompagnata dalla convinzione di essere da sempre ostacolato a causa del suo cattolicesimo.
I cattolici, infatti, erano ancora in parte cittadini di seconda classe, tenuti in scarsa fiducia dalla maggioranza protestante. In parte vi era una sfiducia radicata nel nazionalismo inglese e in parte perché si pensava che avessero una sorta di ‘doppia alleanza’ e fede tra il Papa di Roma e la Corona inglese. Anche poche settimane prima della premiere di Gerontius, Elgar lascia intendere una profonda sofferenza per la sua arte e il clima di rifiuto:
“… Per quanto mi riguarda la musica in Inghilterra è morta[…] Ho lavorato duramente per quarant’anni e alla fine la Provvidenza mi nega un ascolto decente del mio lavoro […] ho sempre detto che Dio era contro l’arte e ci credo ancora. Tutto ciò che è osceno o banale è benedetto in questo mondo e ha una ricompensa […]”
Difficoltà esecutive di Gerontius a parte, viste queste premesse e conflitti culturali, vi erano pochissimi elementi in grado di mettere a tacere le obiezioni dei protestanti per quest’opera. Racchiudeva infatti riferimenti a praticamente tutte le dottrine che i protestanti rifiutavano, come il culto della Vergine Maria e il Purgatorio. L’amico fidato August Jaeger, editore presso Novello Publishing, ad esempio, lo avvertì che Gerontius non sarebbe stato accolto a braccia aperte poiché la sua teologia cattolica sarebbe stata addirittura offensiva per alcuni, per non parlare dell’opinione del comitato del Festival, che aveva commissionato l’opera. Per Elgar, lavorare a questa composizione rappresentò quindi un estremo atto di coraggio.
Le parole di Newman
Il cardinale John Henry Newman (1801-1890) fu il principale artefice della rinascita cattolica all’interno della Chiesa d’Inghilterra durante gli anni ‘30 dell’Ottocento, e oggi viene ricordato come uno dei filosofi e teologi cattolici più influenti del suo secolo.
La celebre poesia costituisce la fonte del libretto di The Dream of Gerontius e fu scritta dal cardinale Newman in una notte sola su cinquantadue pezzi di carta, in un momento di ispirazione ininterrotta e pubblicata poi nel 1865. Anche vent’anni dopo la data di pubblicazione, questa poesia del cardinale Newman continuava a godere di grande popolarità fra i lettori e venne ristampata ben ventisette volte prima della morte del suo autore.
La poesia suscitò interesse in Inghilterra quando, nel 1885, venne diffusa la notizia che il generale Charles Gordon, martire e figura eroica per la Gran Bretagna imperiale, ne aveva una copia con se quando fu ucciso in Sudan. Elgar meditò a lungo la decisione, pensando inizialmente di scrivere un lavoro sinfonico dedicato proprio allo spirito eroico del generale Gordon, prima di utilizzare la poesia per la commissione del Three Choir Festival.
Elgar nel comporre questo oratorio, ha modificato notevolmente la poesia originale, che è in sette sezioni, accorciando drasticamente i 900 versi per ottenere un libretto equilibrato diviso in due parti. Ha in gran parte mantenuto intatta la prima sezione che ritrae la scena sul letto di morte, mentre le rimanenti sei sezioni che trattano dell’aldilà sono state inserite in una seconda parte approssimativamente il doppio della lunghezza dell’incipit.
Questa nuova enfasi dà maggior peso al dramma della morte di Gerontius. Il sistema di versificazione e rima cambia in tutto il poema, in modo tale che ogni serie di testi sia suddivisa tematicamente. La prima lirica supplichevole è in pentametro giambico; ogni volta che parla lo Spirito si usa un verso sciolto. Una terza forma ternaria può essere ascoltata quando appaiono i Demoni. È interessante notare poi che i riferimenti a Maria e Giuseppe presenti nella poesia, sono significativamente ridotti ma non rimossi. Gerontius sembra quindi voler rivolgersi a un pubblico che non sia solo la comunità cattolica.
Dopo tutto, il Gerontius di Newman, dopo In Memoriam di Alfred Tennyson, era l’opera letteraria pubblicata più popolare durante l’epoca vittoriana sull’argomento del giudizio morale. La decisione di Elgar di mettere in musica questo testo potrebbe essere testimonianza più del suo istinto di compositore drammatico sulla scia dell’esempio di Wagner con Parsifal, che del suo desiderio di difendere il cattolicesimo in un ambiente anglicano potenzialmente ostile.
La storia, la musica
Prima parte – The Dream of Gerontius comincia con una cupa melodia in re minore, pianissimo. Il drammatico preludio orchestrale che segue presenta tutti i temi principali del lavoro, i quali fluiscono l’uno nell’altro. Dopo Elgar ci conduce direttamente al primo assolo di Gerontius, morente nel suo letto. Lo stile vocale di Gerontius non è né recitativo né canto vero e proprio: la musica di Elgar si modella alle parole in modo naturale ed espressivo per rispondere ai repentini cambiamenti del libretto.
Nelle prime parole di Gerontius si pronuncia dolcemente: “Gesù, Maria, la morte mi è vicina”. che Elgar modula rapido in un canto (“E tu mi stai chiamando”). Gli assistenti al capezzale di Gerontius pregano per lui (Kyrie eleison), senza accompagnamento dell’orchestra. Questo porta Gerontius ad un assolo (Sorgi, mio affranto spirito, e sii uomo), seguito da una seconda sezione corale sotto forma di una fuga (Sii clemente e benigno; risparmialo, Signore). Il “Sanctus Fortis” è l’appassionata e drammatica dichiarazione di fede di Gerontius. Dopo l’intervento di supplica del coro che conferma la fede di Gerontius, sentiamo le sue ultime parole terrene:
Novissima hora est; e volentieri mi addormenterei,
sfinito dal dolore. Nelle Tue mani,
Signore, nelle Tue mani.
In uno dei passaggi più ispirati dell’opera, al momento della benedizione del sacerdote, Elgar scrive una melodia che da sola incarna miracolosamente fede, dolore e meraviglia ultraterrena. Alle parole “Vai nel nome degli angeli e degli arcangeli”, il coro si unisce, raggiungendo un triplo forte sulle parole ‘go forth!’ (va’, procedi!). Il prete canta la seconda benedizione, e con l’ultima, dolce carezza dell’orchestra e le voci sulle parole “per lui, per il Signore Cristo nostro” si conclude questa prima sezione.
La seconda parte si apre con una delicata melodia in fa maggiore: è il fluttuare leggero dell’anima di Gerontius. Egli si rende conto di non essere solo; c’è un angelo che canta. Memorabile il primo assolo dell’Angelo, che infonda una sensazione di esultanza e purezza. L’Angelo rassicura l’anima di Gerontius sul suo destino, e costui canta la sua ritrovata gioia. Ma vi sono ancora pericoli durante il tragitto: l’Anima sente i demoni cantare una feroce fuga, con grida e risate beffarde.
Mentre i demoni passano, l’Anima si accorge di averli solo ascoltati, non visti. Chiede se riuscirà a vedere Dio e l’Angelo risponde di si, ma avverte che “la vista dell’Eccelso sarà per te letizia e piaga insieme”. L’anima di Gerontius sente canti lontani, i primi suoni di un coro angelico. L’Angelo annuncia: “Superato l’ingresso, siamo dentro la Casa del Giudizio”. Il ritmo accelera, e c’è un grande momento di attesa mentre l’Angelo canta, estatico: “Ecco la soglia, noi la attraversiamo e ci risponde forte col suo inno.”
E’ l’inizio di uno dei passaggi più emozionanti del lavoro, un canto di lode maestoso; tutte le voci si uniscono, cantando con l’orchestra. Quando il ritornello dell’inno viene cantato per l’ultima volta, le voci e l’orchestra si ricombinano in un accordo finale echeggiante. Un breve passo orchestrale conduce alla scena del Giudizio. Un Angelo dell’Agonia supplica Gesù diverse volte di risparmiare le anime. Si odono le voci sulla terra che pregano al capezzale di Gerontius, suggerendo che tutti gli eventi fino ad ora sono accaduti in un istante. L’Angelo canta un ultimo Alleluia e il tema del Giudizio si sviluppa in tutta l’orchestra, raggiungendo un enorme crescendo: la vista di Dio è travolgente.
Elgar qui fa tornare insieme molti dei temi precedenti. Le Anime del Purgatorio cantano “Signore, tu sei stato il nostro rifugio”. Qui inizia un grande canto di compassione e di addio dell’Angelo che corona il lavoro, Softly and gently, dearly-ransomed soul. C’è un’eco del coro degli spiriti angelici e del loro salmo, e poi, con un rapido diminuendo, sul ripetuto ‘Amen’ si conclude serenamente il tutto.
Un approccio diverso
The Dream of Gerontius viene tradizionalmente chiamato oratorio, sebbene Elgar stesso non approvasse questa nomenclatura. Scrivendolo, infatti, Elgar si allontanò dalla concezione dell’oratorio inglese tradizionale allineandosi maggiormente ai musikdrama di Richard Wagner ed inserendo tale tradizione in una teologia cattolica. Una prima grande differenza tra The Dream of Gerontius e l’oratorio inglese tradizionale è una visione del mondo cattolico con un’enfasi unicamente inglese sulla purificazione dopo la morte. Nell’oratorio inglese (un genere corale per tradizione), il coro possedeva una varietà di ruoli: narratore, voce morale, la folla o il popolo.
In seguito, con la popolarità e influenza di oratori come il Messia di Handel oppure Elijah di Felix Mendelssohn (commissionato sempre dallo stesso Festival di Birmingham nel 1846), si stabilirono dei veri e propri modelli per i successivi compositori inglesi. Se da una parte il coro era ancora elemento primario nella maggior parte degli oratori, dall’altro le parti dei solisti crescevano in lunghezza e importanza. Gli oratori dei compositori inglesi protestanti e contemporanei di Elgar, come Charles Villiers Stanford e Hubert Parry, prendevano le loro storie dalla Bibbia ed erano sempre scritti con un’orchestrazione chiara che non andasse a disturbare equilibri e le parti vocali.
Elgar conosceva bene tali modelli, ma credeva che Gerontius avesse comunque bisogno di un approccio differente, soprattutto in un aspetto importante: la musica doveva illustrare e veicolare il contenuto drammatico della storia, impiegando uno stile quasi operistico.
Nello specifico, l’effetto desiderato da parte di Elgar era di porre maggiore enfasi su l’individuo come soggetto e trovare la tensione più in un dramma psicologico interiore di una singola persona che in una storia presa dall’Antico Testamento. Questo cambiamento non è sorprendente, data l’enfasi culturale sull’individuo, l’inconscio e il soprannaturale in corso quando Elgar era vivo.
Siamo intorno al 1900, il mondo attraversava cambiamenti radicali in ogni campo e la musica di quei tempi (ma già da molto prima) si stava spostando simultaneamente sempre più verso l’inconscio individuale o verso il mito (inconscio collettivo), proprio come avvenne nei drammi musicali di Richard Wagner. Lo sforzo di trovare un linguaggio musicale in grado di esprimere il mondo spirituale si concretizza perfettamente in The Dream of Gerontius di Elgar con il suo soggetto mistico, la maggiore enfasi sulla scrittura solista e un linguaggio armonico e melodico ricco ed espansivo.
Inoltre l’uso considerevole di armonia cromatica e melodia ‘infinita’, l’assenza di un narratore centrale, l’orchestra che assume un ruolo più importante e un dramma psicologico interiorizzato da parte di Elgar rafforzano ulteriormente le somiglianze di questo lavoro con opere musicali come Tristan und Isolde (1865) e Parsifal (1882) di Richard Wagner.
Wagneriano, ma fino a che punto?
Parlando di Elgar si cita spesso quanta influenza ebbe la musica di Wagner sul suo linguaggio. Elgar naturalmente conosceva bene la musica del maestro tedesco, che ascoltò e studiò con attenzione e profonda ammirazione tutta la vita. In particolare, Elgar era profondamente attratto e incuriosito dalla capacità tecnica di Wagner e dalla sua abilità nel saper rendere scene drammatiche proprio grazie alla musica. Tutto ciò venne perfettamente assimilato da Elgar, ma non nella misura in cui la maggior parte degli studiosi ha da sempre ipotizzato. La discussione sull’uso dei leitmotiv da parte di Elgar come principale somiglianza con Wagner è rimasta più o meno incontrastata nella letteratura musicologica per tanto tempo.
Nell’Agosto del 1900, il già citato caro amico e direttore editoriale della Novello’s Publishing, August Jaeger, scrisse una serie di note descrittive e analitiche che spiegavano in dettaglio l’uso da parte di Elgar dei leitmotiv wagneriani nel lavoro. Jaeger in una lettera chiese consiglio ad Elgar riguardo la nomenclatura di certi motivi e se fosse familiare con alcune analisi dell’Anello del Nibelungo di Wagner, sicuramente riferendosi alle influenti analisi di Hans von Wolzogen (pubblicò la prima guida tematica al Ring nel 1876), tradotte anche in inglese. La risposta di Elgar fu curiosa ma non inaspettata per un compositore:
Sono felicissimo della tua analisi fino a quel momento … [tuttavia] mia moglie teme che tu possa essere incline a porre troppa enfasi sul piano leitmotiv perché lo faccio davvero senza pensarci – intuitivamente.
Ciò non toglie che Jaeger sia riuscito a identificare oltre cinquanta leitmotiv, ma pochi di questi funzionano come i leitmotiv wagneriani. Il preludio orchestrale di Gerontius introduce materiale che si troverà in tutto il resto dell’opera. Nove dei temi che si ascoltano nel preludio servono come esempio che evidenzia il modo in cui Elgar tratta il materiale. Sette dei nove funzionano come motivi di reminiscenza. I restanti due che si ascoltano alla fine sono gli unici esempi che si trasformano ricorrendo, allineandosi così alla tradizione leitmotivica wagneriana.
Forse più interessante è ciò che unisce Parsifal e The Dream of Gerontius. Inevitabile all’ascolto non collegare la melodia iniziale a quella del Vorspiel di Parsifal, per quel inequivocabile timbro austero e misterioso che Elgar vuole chiaramente evocare. Sono entrambi drammi psicologici interiori, che si focalizzano su temi e simboli cristiani. Vi è anche un legame ideologico? All’interno di un quadro teologico cattolico, le opere divergono nella loro comprensione di dogmi, rituali, il giudizio e salvezza spirituale. Si pensi ai concetti di redenzione, rinuncia e sacrificio che legano quest’opera all’opera Parsifal. Elgar una volta scrisse a Jaeger a proposito della figura di Gerontius:
“Ho immaginato che Gerontius fosse un uomo come noi, non un prete o un santo, ma un peccatore, […] ora pronto per il giudizio. Quindi non ho riempito la sua parte vocale con melodie e sciocchezze da Chiesa […] Immagino che sia molto più difficile staccarsi da un mondo ricco di agi che da un chiostro.”
Dal momento che il cristianesimo istituzionale non poteva trasmettere il messaggio di Gesù che era stato distorto dalla Chiesa cattolica, per Wagner era l’arte che avrebbe dovuto trionfare laddove la religione aveva fallito. Ma poi qual’è stato il ‘trucco’ finale di Wagner con Parsifal? Esteriormente i simboli e i personaggi sono cristiani, ma interiormente sono wagneriani. Nel Parsifal, i cavalieri mettono in atto i loro rituali senza scopo, ancora suscettibili al peccato sessuale. Amfortas celebra l’Eucaristia ma non offre alcuna guida morale, viene costretto a celebrare la Messa.
La vera religione per Wagner significava avere uno spirito interiore religioso e non sottrarsi alla comunità, non necessariamente postulare un aldilà. Tuttavia, in Gerontius, è proprio una fede nel cristianesimo e la pratica dei suoi rituali che, se non redime Gerontius, gliene concede almeno una visione.
Riflettendo sulle battute iniziali pronunciate da Gerontius e sulla preghiera che segue di chi lo circonda si può osservare uno sforzo attivo nel cercare salvezza. Al termine della prima parte, gli ‘assistenti’ continuano a pregare anche dopo la morte di Gerontius. Gerontius sente persino le voci di coloro che sono rimasti sulla Terra prima del giudizio finale e anche l’Angelo conferma, sente i loro echi.
Nel Parsifal invece i Cavalieri nel primo atto sottolineavano il vuoto del rituale e del dogma. Con Gerontius Elgar mantiene l’enfasi di Newman sulla tradizione, i dogmi e la comunità nel processo di redenzione. I protagonisti wagneriani sanno riconciliare le dualità nei loro cuori, come Parsifal o Hans Sachs in Die Meistersinger, comprendendo i dogmi familiari del popolo ma abbracciando allo stesso tempo la relazione trascendentale tra uomo e Dio. Ma questo lavoro di Elgar il rapporto sembra invertito, o perlomeno di natura diversa. Gerontius ha bisogno di una comunità che preghi e compi i giusti rituali, tuttavia alla fine la sua esperienza con il suo Dio resta sempre solitaria, sotto forma di sogno reale o immaginario.
La natura dei sogni
Non è mai chiaro se il viaggio di Gerontius attraverso il purgatorio per incontrare Dio sia uno stato d’animo febbrile di un uomo morente, o un sogno dell’aldilà. Vi sono diverse categorie razionali per spiegare la causa del sogno e i suoi meccanismi, o mediante associazioni mentali indotte dagli ultimi riti oppure dai deliri di una mente febbrile. In contrapposizione a questo, Elgar con il testo di Newman ha impostato il sogno come una rivelazione della condizione escatologica dell’anima.
Durante il sonno, chi sogna ha un duplice ruolo sia come osservatore passivo che come fonte effettiva delle immagini del sogno. Quelle immagini hanno una realtà apparente di cui la mente è cosciente e crede nelle percezioni mentali e una reale irrealtà in quanto le percezioni sono solo illusioni.
Si possono definire a grandi linee due stati di sogno: stato ipnagogico e il cosiddetto réverie. Il secondo è un tipo di fantasia in cui il sognatore mantiene un certo controllo sulle proprie impressioni: è consapevole di essere sveglio e può esercitare la sua volontà forse nel plasmare la direzione della sua immaginazione o nel giudicare ciò che percepisce.
Ma è forse lo stato ipnagogico che descrive il limite dalla veglia al sonno che potrebbe meglio applicarsi a Gerontius. Nella prima parte dell’oratorio egli dichiara “volentieri mi addormenterei, sfinito dal dolore”. Forse per malattia o per la vecchiaia, egli giace sul letto di morte con amici e sacerdoti attorno. Forse è anche febbricitante e certamente è possibile che la sua mente vaghi in questo stato verso pensieri della sua vita imminente dopo la morte. Si evince dal testo che l’anima è consapevole della sua condizione attuale e sembra enfatizzare il suo stato di veglia durante il sogno.
Ciò significherebbe che egli non è morto, non è sonno ipnagogico e ciò che sta per seguire non è una rivelazione, ma la sua realtà. Tuttavia, nella poesia chi parla si riferisce al suo sogno al passato.
Ho dormito; sento ora il ristoro.
Strano ristoro; perché provo in me
una tranquilla levità e un senso
di libertà quasi fossi finalmente me stesso,
e mai lo fossi stato. Quale pace!
Non odo il battito operoso del tempo,
né in me la fretta del respiro o del polso;
né un momento differisce dall’altro.
Elgar qui ha scelto di tagliare il testo di Newman che si riferiva esplicitamente a quel sogno, generando così ulteriore ambiguità. Gerontius dice ‘Ho dormito’. L’idea che il sognante fosse cosciente sarebbe vera solo se la condizione attuale fosse il sogno. Questo passaggio, paradossalmente, suggerirebbe che in verità era la sua vita il sogno, condizione ove l’aldilà è in qualche modo ‘più reale della realtà’. In alternativa, il suo stato di sonno potrebbe riferirsi alla transizione avvenuta tra quel momento di vita qui sulla terra e la sua nuova esistenza nell’aldilà.
The Dream of Gerontius può essere ugualmente spiegato da un processo di rivelazione. Si pensi a un’altra definizione di sogno, di natura più mistica e che ammette la coesistenza di sogni veri o profetici. La Bibbia sia come base della fede di Elgar e Newman, sia come fonte letteraria, contiene molti resoconti di sogni e visioni di natura profetica, visionaria e ricchi simboli, la maggior parte nell’Antico Testamento.
Potrebbe essere proprio questa la categoria a cui appartiene Gerontius: uno stato ipnagogico che rivela ciò che Gerontius l’uomo crede che avverrà al suo trapasso, in preda a un delirio. Sulla distinzione fra sogni veri e quelli illusori, si pensi all’Odissea di Omero:
«Due sono le vie / per le ombre dei sogni: una è di corno, / l’altra è d’avorio. Quando i sogni escono / dalla porta d’avorio, sono falsi; / quelli che escono dall’altra porta di corno / sono veri, visti da un essere mortale.»
Nell’Inghilterra del XIX secolo, studi di natura scientifica avevano relegati i sogni alla cosiddetta porta d’avorio, spettri dell’immaginazione privi di senso. Eppure The Dream of Gerontius è quasi senza eccezione dalla porta del corno: pretende di rivelare verità sulla condizione dello spirito, o per lo meno qualcosa di vero sul sognatore. Elgar ha mantenuto l’ambiguità dell’aspetto onirico nel suo oratorio, ma così facendo ha posto maggiore enfasi sul messaggio e sul significato del sogno piuttosto che sulla sua origine.
Quando si ascolta The Dream of Gerontius si ha la sensazione di non trovarsi davanti a un semplice sermone in musica, piatto e didascalico, ma di fronte a un vero e proprio sublime viaggio dello spirito e la rivelazione divina nel sogno. Il periodo in cui Elgar ha scritto Gerontius era, dopotutto, un’epoca in cui la religione cattolica viveva nell’ombra del darwinismo e di un rapporto egemonico della scienza sulla religione. Questo minò gravemente una precedente visione della natura come espressione di un ordine divino e benevolo; la natura era nient’altro che macchina amorale che mira solo ad auto-generarsi, a riprodurre se stessa infinite volte, mentre la Bibbia resta per sempre mito, cancellando il senso dell’esistenza tangibile di Dio.
Sono naturalmente cambiamenti complessi e dalle enorme implicazioni. Si è detto inizialmente che scrivere Gerontius fu una prova di coraggio per Elgar, ma fu quindi anche una potente ammissione di fede. Elgar scegliendo di mettere in musica The Dream of Gerontius ci mostra un cattolicesimo ‘artistico’, filosofo, perfino moderno.
Insomma, Elgar scrive il paradiso dell’artista in contrasto all’ansia teologica nell’era vittoriana generata nella ragione, mettendo in scena il ‘sogno’ come simbolo definitivo di ciò che è impalpabile e sovvertendo così una gerarchia. Ma, in verità, più che un ribaltamento antagonistico, Elgar ha saputo scrivere un incredibile quadro allegorico che porta all’unità, mediando tra poesia e musica, dottrina cattolica e protestante, e la convinzione di una vita dopo la morte.
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