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La Sonata breve per violoncello e pianoforte di Silvio Omizzolo

di Margherita Succio - 26 Febbraio 2025

Apprezzato da colleghi come Malipiero, Ghedini e Dallapiccola, Silvio Omizzolo è una figura affascinante del panorama italiano del Novecento: vincitore del terzo premio al Concorso Internazionale Regina Elisabetta di Bruxelles con il suo Concerto per pianoforte e orchestra nel 1969, è anche docente particolarmente interessato al repertorio da camera. La sua Sonata breve per violoncello e pianoforte, composta l’anno dopo, è un esempio della sua scrittura peculiare, dai tratti neoclassici e un uso della tonalità ambiguo, seppure ancorato ai colori e i timbri impressionistici del suo tempo.

Nato a Padova, Omizzolo conclude i suoi studi in pianoforte nel 1927 con Renzo Lorenzoni, affiancandovi successivamente la laurea in Giurisprudenza all’Università di Ferrara. L’insegnamento è un elemento portante della sua carriera: dal 1933 al 1974 è docente di pianoforte presso il Conservatorio di Padova, di cui sarà direttore dal 1966 al 1971. Particolarmente apprezzato per il suo contributo al repertorio pianistico, la sua produzione comprende diverse composizioni cameristiche e opere orchestrali. Tra i suoi pezzi più affascinanti e importanti spiccano i Dieci Studi sul Trillo, composti nel 1936 e dall’ispirazione tecnica e strumentale del concetto di Studio da Concerto, forma esplorata da diversi grandi compositori, da Chopin a Skrjabin.

Ho scritto gli Studi perché mancava un lavoro del genere, ma, come al solito, non ho voluto dar loro troppa importanza. Il titolo è debole, sciatto. Avrei potuto chiamarli Studi da Concerto.

Il Primo Premio al concorso del Sindacato Musicisti Italiani nel 1943 è il primo riconoscimento importante della sua carriera da compositore, che sfocia nel 1969 con il terzo premio al Concorso Internazionale Regina Elisabetta di Bruxelles; è l’unica opera italiana selezionata tra duecento concorrenti. La Sonata breve per violoncello e pianoforte, scritta nel 1970, si colloca in questo contesto prospero della vita di Omizzolo: è un lavoro in un movimento unico, seppur diviso in tre paragrafi, come diversi esempi analoghi del repertorio violoncellisti di questo periodo, che dimostra la sua conoscenza e coscienza degli andamenti stilistici del tempo. Un lavoro compiuto, breve e dal sapore vagamente neoclassico.

I. Capriccio

La Sonata breve si apre con un Capriccio, luogo sonoro insolito con il quale aprire un’opera. Nella scrittura pianistica si riconosce un approccio strumentale avanzato, dal carattere espressivo curioso. Le prime battute iniziali acquistano la smorfia capricciosa attraverso elementi diversi di entrambi gli strumenti. Se nel pianoforte Omizzolo colloca l’aspetto timbrico, armonico più ambiguo, con un velato umorismo e dal carattere a tratti incerto, il violoncello incorpora nella sua parte il capriccio delle articolazioni, l’elemento ritmico che alterna momenti intensi ad accenni melodici quasi sghembi, completando e compensando brillantemente la parte del pianoforte presente e trasparente. Questo primo episodio risulta estremamente ben equilibrato, sia per disposizione del materiale musicale, sia per l’elemento di curiosità, di coinvolgimento che questa combinazione crea nell’ascoltatore: la scrittura di Omizzolo si rivela, attraverso tutto il brano, non solo puntuale ed efficace, ma estremamente personale e, di conseguenza, potente. La sensazione all’ascolto ricorda lo stesso interesse provocato dall’osservazione di certe opere figurative neoclassiche: all’ascolto si percepisce quasi la volontà di Omizzolo di spostare a ogni battuta l’attenzione, lo sguardo, su un elemento diverso dell’opera, su un colore, una curva di una linea, un’ombra. La Sonata coinvolge quindi senza creare affanno, né al contrario, indugiare su se stessa: è un discorso pulito, lineare.

II. Gavotta

Il secondo episodio inizia con un breve monologo del violoncello, dal carattere quasi improvvisato. Omizzolo utilizza, forse come richiamo agli stessi espedienti tecnici usati anche da Debussy nella Sérénade della sua Sonata, un’alternanza buffa, quasi canzonatoria, di glissandi e pizzicati con elementi staccati che il pianoforte riprende e imita per tutto il movimento. La scelta della Gavotta come titolo è vincente e si ritrova più nel carattere danzante che nella forma: Omizzolo sembra prendere in prestito il nome di una forma ben strutturata come in questo caso per inquadrarvi un carattere, donare agli interpreti un’immagine, un comportamento, anziché coadiuvare il suo discorso musicale in una struttura organica e rigida.

Il risultato ricorda l’oscuro e buffo umorismo che si ritrova in certi lavori di Hindemith, seppur più leggero, congruo. In appena tre minuti di musica, Omizzolo distende questo breve momento quasi canzonatorio, lasciando l’ascoltatore come divertito, eppure curioso, indeciso: manca un elemento dal carattere deliberatamente buffo in entrambi gli strumenti. Come nel primo movimento, la Gavotta rapisce l’ascoltatore per la sua natura, ma senza spiegarsi e svelarsi nella sua totalità.

III. Commiato

L’ultimo movimento – e il più disteso della Sonata – è certamente il momento più intenso, cantabile e profondo dell’opera. Seppure Omizzolo si tenga lontano dalla struttura romantica del movimento lento, melodico che prevede un grande canto del violoncello accompagnato dal pianoforte, nella sezione iniziale il materiale musicale sembra affidarsi all’indicazione iniziale, all’idea grave e seria del commiato. I due strumenti sembrano congedarsi, in un tentativo più melodico, intenso e cantato. La parte del pianoforte assume colori dal carattere più estremo e ricco, mentre il violoncello accenna un elemento più melodico su livelli diversi e lontani, da un punto di vista timbrico, dello strumento, risultando frammentato eppure fiero, nobile. La seconda metà del movimento, sorprendentemente, svolta senza preparazione verso un contrappunto stretto, fitto e coinvolgente.

L’indicazione iniziale del Commiato sembra assumere ora un altro significato: seppur mantenendo la sua velata drammaticità, i due strumenti sembrano finire in un vortice organizzato e mai casuale di motivi, interventi, echi del primo movimento e materiale nuovo che rapisce l’ascoltatore e lo lega saldamente alla narrazione musicale dei due strumenti. Omizzolo sembra però esaurire presto e improvvisamente questo confronto, forse per creare sorpresa, o forse ricongiungersi con la rappresentazione del titolo iniziale del movimento; il pianoforte si ferma, sembra guardarsi intorno con una rinnovata curiosità e suggerisce al violoncello una coda dal carattere profondamente interrogativo. La Sonata si conclude, senza risultare raffazzonata o interrotta bruscamente, lasciando l’ascoltatore contemporaneamente incuriosito e, seppur con eleganza ed espressione, in qualche modo insoddisfatto. Omizzolo sembra quindi volersi congedare un attimo prima di accontentare l’ascoltatore, di rispondere fino in fondo all’aspettativa costruita nei minimi dettagli attraverso tutta la Sonata. Ne deriva così un brano affascinante, che si mostra senza svelarsi nella sua interezza.

Margherita Succio

Autrice

Proud Gen Z che prende più aerei che autobus, legge tanti libri perché ha l'ansia di non averne letti abbastanza.

Musicista curiosa e grande amante della musica da camera, è titolare della Borsa di Eccellenza della Confederazione Svizzera per ricercatori e artisti stranieri ed è autrice e content creator per Quinte Parallele dal 2021.

Attualmente frequenta il suo secondo Master of Music presso il Conservatorium Maastricht con Gabriel Schwabe.

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