Quando la musica incontra il misticismo: Aleksandr Skrjabin
di Maurizio Verducci - 2 Novembre 2016
Aleksandr Skrjabin. Da appassionato di Chopin, a simbolista, a iconoclasta futurista. Skrjabin fu uno dei compositori più interessanti degli inizi del Novecento, purtroppo dimenticato dal pubblico nell’ombra di successivi musicisti come Prokofiev o del coevo Rachmaninov, ed anche uno dei più folli.Per questo, per la sua geniale pazzia merita oggi l’attenzione che non gli stata ancora data.Contemporaneo di Rachmaninov, non ricevette mai l’attenzione che il mondo occidentale diede al suo compagno di studi. Skrjabin creò una frattura musicale con il passato, interessato all’idea wagneriana di “opera d’arte totale” e alla composizione fuori dagli schemi classici. La sua musica racconta di estasi, allucinazioni, colori, odori e sapori esotici – in poche parole, di psichedelia. Aveva progettato, ad esempio, di scrivere una sonata basata sul mal di denti o di dissolvere una melodia in un aroma con il suo linguaggio musicale volatile.
Breve biografia di una vita breve
Aleksandr Nikolaevič Skrjabin nacque a Mosca nel 1872 da una famiglia aristocratica. Dopo la morte della madre, crebbe insieme alla nonna e alla sorella del padre. Spinto dalla zia, cominciò lo studio del pianoforte da giovanissimo, seguendo le lezioni del severo maestro Nikolaj Zverev, che nello stesso periodo fu anche insegnante di Sergej Rachamninov. La casa di Zverev era un vero e proprio salotto culturale che ospitava spesso numerosi musicisti contemporanei di rilievo, come Čajkovskij, che assistevano alle esecuzioni delle proprie composizione da parte dei giovani pianisti. Scrjabin proseguì i suoi studi al Conservatorio di Mosca insieme ad Anton Arenskij per composizione e Vasilij Il’ič Safonov per pianoforte. Data la sua insofferenza nel comporre pezzi in forme musicali che non lo interessavano, ebbe diversi discussioni con il suo insegnante, che lo portarono a non concludere il percorso di composizione. Nonostante ciò, riuscì comunque a diplomarsi nel 1892 in pianoforte ottenendo la piccola medaglia d’oro.
Negli anni del conservatorio, Skrjabin si fece notare da maestri e colleghi, nonostante la ristretta estensione della mano di circa un intervallo di nona. Sentendosi in questo senso da meno di Rachmaninov e sfidato dal compagno di corso Josef Lhévinne, si danneggiò gravemente le articolazioni della mano destra nello studio delle Réminiscences de Don Juan di Liszt e dell’Islamey di Balakirev, e non per ultime tutte e 32 le Sonate per pianoforte di Beethoven. Vista la serietà della lesione e la diagnosi del medico, Skrjabin concepì la sua Sonata No. 1 in Fa minore come un “grido contro Dio, contro il Fato”. Fu il suo primo capolavoro.
Terminati gli studi, il pianista russo fece il suo debutto a San Pietroburgo, ottenendo ottime recensioni e segnando così l’inizio di una carriera che lo avrebbe portato in tour per tutta Europa. Durante questo periodo, scrisse il ciclo di studi, op. 8, diverse serie di preludi, le prime tre sonate per pianoforte e il suo unico concerto per pianoforte in fa diesis minore. Ritornata in patria russa, vi ci restò per cinque anni, in veste di professore di pianoforte al Conservatorio di Mosca ed eseguendo le sue prime due sinfonie.
Si spostò poi in Svizzera nel 1904 insieme alla moglie Vera Ivanova Isakovich, da cui si separò per la giovane studentessa Tatiana Fyodorovna Schloezer, con cui ebbe il figlio Julian, morto affogato a Kiev all’età di 11 anni. In questo decennio, si avvicinò ad un gruppo di intellettuali di Bruxelles, che lo avrebbero portato ad interessarsi alla teosofia. La vita privata di Skrjabin cominciò a diventare sempre più tesa, via via che il suo misticismo cresceva. Gli venne la mania di lavarsi continuamente le mani e non toccava denaro se non con i guanti. Sviluppò un’intensa ipocondria (comprensibile, vista la sua cagionevole salute sin da ragazzo) e cominciò a dedicare alla toilette molto tempo, spiando rughe, preoccupato per l’incipiente calvizie. Iniziò a credere di essere assorbito nel ritmo dell’universo, diventando monomaniaco, fino ad identificarsi con Dio. Presentò la sua Sinfonia n.3 a Parigi nel 1905 e con il successo riscosso riuscì a viaggiare ed esibirsi in Svizzera, Francia, Italia, Belgio e negli Stati Uniti. Ritornò in Russia solo nel 1909, dove continuò a comporre e ideare progetti grandiosi. All’età di 43 anni, morì nella sua città natale di setticemia, probabilmente a causa di un’infezione sulle labbra.
Stile: da Chopin alla musica “quasi” atonale
L’opera di Skrjabin è scritta quasi esclusivamente per pianoforte o per orchestra. Le sue prime composizioni (studi, preludi, notturni e mazurke) si rifanno a quelle di Chopin e di Liszt. La musica di Scriabin diventa poi più cromatica e dissonante, e viene data sempre meno rilevanza agli accordi dominanti. Comincia ad emergere l’interesse per l’opera d’arte totale e per l’uso di mezzi multimediali, insieme al progetto di inventare nuovi strumenti musicali, nuovi pianoforti. È in questo periodo di transizione, in cui rientra l’opera Le Poème de l’etxase, che inizia a formarsi l’accordo mistico che dà un effetto di radiosità ed evanescenza alla musica di Skrjabin.
Nell’ultima fase, si viene a consolidare il suo stile personale, molto vicino alla corrente del Simbolismo e del Decadentismo russo, che presenta una concezione mistico-teosofica della musica. Skrjabin, nell’ottica dell’arte come esperienza sinestetica, teorizza l’associazione colore-musica, per la quale ogni nota corrisponde ad un tono dello spettro visivo. I canoni e i modelli della composizione vengono totalmente rifiutati; la maggior parte della musica di questo periodo è costruita su scale acustiche o ottotoniche o su combinazioni di scale sintetiche. L’idea di forma d’arte di tipo universale è ormai consolidata, ed essa si deve fondere, inoltre, con un’esigenza religiosa, di cui dà un esempio nell’opera sinfonica Prométhée, ou le Poème du feu. Prima della sua morte, Skrjabin arriva ad immaginare una performance multimediale ai piedi dell’Himalaya (Mysterium), in cui suoni, colori e profumi avrebbero dovuto mescolarsi per una “grandiosa sintesi religiosa” in un’elaborata sinestesia che avrebbe salvato l’umanità da un imminente armageddon.
Lo sviluppo dello stile di Skrjabin può essere ben rintracciato nelle sue dieci sonate: le prime seguono il modello tardo-romantico e rivelano l’influenza di Chopin e di Liszt, mentre le ultime sono molto diverse, tanto da non avere alcuna indicazione di tonalità. Eppure, per quanto sfrenata possa essere la sua ultima musica, essa presenta aspetti che la collegano con quella giovanile. C’è una melodia che è caratteristicamente sua, e i grandi, impetuosi gesti del Poème de l’extase o di Prométhée non sono che espansioni di certe opere giovanili come il Concerto per pianoforte in fa diesis minore. Proprio alla fine le sue armonie – non importa quanto complicate, non importa quanto indipendenti dalle relazioni di tonalità – hanno un che di sensuale e di esotico che porta chi le ascolta in una realtà quasi estranea alla nostra.
L’accordo mistico
Il nome di Skrjabin, nella composizione, è spesso associato all’accordo mistico, un esacordo sintetico usato come base armonica e melodica nelle sue creazioni. Restando fedele al primato dell’armonia e trovando il metodo tradizionale di composizione insopportabilmente obsoleto, Skrjabin escogitò una nuova tecnica di scrittura musicale chiamata tecnica del centro sonoro. Secondo questa sua norma, sei o sette note formano un complesso attorno a cui vengono scelti altri accordi per trasposizione. L’accordo mistico funge da base comune per la concatenazione degli altri accordi nell’armonia.
Il primo a coniare il termine non fu il musicista russo, bensì Arthur Eaglefield Hull, critico musicale britannico che curò la biografia di Skrjabin nel 1916. Questo esacordo viene anche chiamato accordo di Prometeo, considerato il suo ampio utilizzo nell’opera Prométhée. È composto dalle seguenti classi di altezze: Do, Fa♯, Si♭, Mi, La, Re. Parliamo, quindi, di un esacordo costruito su una quarta aumentata, una quarta diminuita, una quarta aumenta e due quarte perfette. La sua particolarità sta proprio nell’essere un accordo per quarte e non per terze, come vuole la tradizione tonale. Questa serie di note si rifà in qualche modo alla scala ottatonica, a quella esatonale e alla sesta eccedente francese. Potremmo anche dire che l’accordo mistico deriva dalla scala armonica, conosciuta anche come scala lidia dominante, dato che, piuttosto che basarsi sull’intervallo di quinta giusta (Do, Sol), Skrjabin preferisce la quarta aumentata (Do, Fa♯), cioè un tritono, seguendo le idee acustiche antiche di differenti ambiti modali musicali.
Riguardo a questo esacordo, Eaglefield Hull scrisse:
“Suonatelo forte, poi piano; provatelo su diverse note. Abbiamo la splendida vitalità della quarta aumentata, la delicata mollezza della quarta diminuita e la dolce solidità della quarta giusta, e così via. Calcolando dallo stato fondamentale, otteniamo l’undicesima aumentata, la settima minore, la terza, la tredicesima e la nona”.
Nell’accordo mistico, il compositore russo vedeva un mezzo per rivelare “ciò che la mente umana non può concepire”, come se fosse un indizio di una realtà al di là della nostra percezione o una chiave per riuscire a leggere il Divino. La novità dell’accordo mistico non fu tanto la sua struttura interna, quanto la sua posizione nella tessitura dello spartito, dove assunse il ruolo di catalizzatore, in linea con l’orientamento mistico di Skrjabin, per un’esperienza estatica e trascendentale.
Il ruolo della musica nell’estetica mistica
Per Skrjabin, la musica fine a se stessa, ridotta a fenomeno estetico, era un triste e spiacevole spettacolo. Affermava, infatti, che essere definito come un semplice musicista sarebbe stato il peggiore destino che gli potesse capitare. È curioso notare come gli uomini che formavano il primo nucleo di suoi “apostoli” in Russia non fossero musicisti, bensì filosofi, letterati, poeti ed eruditi. Il circolo più importante di musicisti russi, invece, ne rimase sempre molto scettico e lontano. L’arte di Skrjabin, a differenza della loro, era sintetica, nel senso che nella sua musica moltissimo proveniva da idee esterne al contesto musicale.
Skrjabin sosteneva che la musica – come la poesia, l’architettura, ed ogni altro tipo di arte – fosse solo un mezzo per un fine estatico, e non estetico. Attraverso le sue composizioni, ambiva raggiungere obiettivi fuori dal reame della musica. Secondo lui, l’arte scaturisce dalle profondità del misticismo e si libra tra le vette della religione; in poche parole, l’arte non è di questo mondo e l’artista deve essere capace di comunicarla attraverso un’estetica estatica. Come gli scoliasti del Medio Evo affermavano che la filosofia era la damigella della teologia, allo stesso modo Skrjabin concepiva la musica come serva della religione. C’è da dire, tuttavia, che il compositore non parlava di culti già esistenti, ma di un credo tutto suo, che provò a definire nel corso della sua evoluzione musicale e filosofica.
Illustrazione del pittore simbolista Jean Delville per l’edizione del Prometeo
La sua concezione dell’universo era dualistica, ma non nel senso convenzionale. Vedeva Bene e Male semplicemente come due manifestazioni complementari dell’energia dell’universo. I due estremi, secondo Skrjabin, erano i principi di Attività e Passività: l’uno creatore, l’altro ricettore; l’uno centripeto, l’altro centrifugo. All’inizio del processo di creazione, i due poli – attivo e passivo – vengo misticamente uniti e successivamente separati per dare vita al mondo e riunirsi di nuovo. Questa prima fase viene definita da Skrjabin come agonia creativa o desiderio di vita, a cui segue il processo di dematerializzazione. L’unione, secondo il compositore russo, poteva avvenire solo attraverso l’Arte, o meglio una sintesi di tutte le arti, per mano di un messia. L’Arte, dunque, essendo un fattore religioso, veniva da lui interpretata in due modi: catartica e teurgica oppure estatica e satanica. Sono queste, infatti, le due categorie in cui Skrjabin divide i suoi lavori. Il musicista russo si era convinto di essere lui stesso il messia e, in quanto pianista oltre che compositore, guardava alla perfomance come a una cerimonia il cui obiettivo era il raggiungimento di una nuova illuminazione spirituale. In uno dei suoi diari che ci sono rimasti, si può leggere:
“Il destino dell’universo è deciso. Voglio vivere. Amo la vita. Io sono Dio. Io sono niente. Voglio essere tutto. Ho generato ciò che è contrario a me – tempo, spazio e numero. Io stesso sono ciò che è contrario a me, perché sono ciò che ho generato… Io voglio essere Dio… Il mondo cerca Dio, io cerco me stesso. Il mondo è un impulso verso Dio, io sono un impulso verso me stesso. Io sono il mondo. Sono alla ricerca di Dio, perché sono solo ciò che cerco. La mia ricerca inizia ed anche il mio ritorno: la storia della conoscenza umana inizia.”
Aleksandr Skrjabin. Musicista mistico, visionario della perfomance multimediale, mitomane sinestetico. Bisogna studiarne l’opera, per capire ciò che Skrjabin si proponeva di realizzare, e bisogna anche capire cosa pensava di materie estranee alla sua arte per assaporare davvero il fascino, l’originalità, la rivoluzione di uno dei compositori più enigmatici del ventesimo secolo.
Maurizio Verducci