Le nuvole di Debussy
di Gabriele Toma - 13 Aprile 2017
“…non si tratta della forma abituale del Notturno, ma di tutto quello che questa parola contiene di impressioni e di luci speciali”.
Nuages è il primo dei tre Nocturnes per orchestra e coro femminile di Achille-Claude Debussy, composti nel 1899. Il Notturno è sostanzialmente una composizione ispirata allo stato d’animo placido e sognante di cui la Notte è portatrice. La denominazione, che il più delle volte designa una forma tripartita, comparve per la prima volta in ambito liturgico, più propriamente nell’ufficio della Chiesa Cattolica, e si diffuse in contesti via via più profani: già nel Seicento erano presenti nella scuola romana e napoletana brani come Serenate, Accademie o anche Scene da camera, cantate ad una o più voci di derivazione melodrammatica destinate ad eventi serali. Nel Settecento analogamente si intendeva con questo termine una composizione per piccola orchestra o per complessi di soli strumenti a fiato, eseguita di notte in occasione di feste mondane o durante i banchetti nelle ville di principi e ricchi mecenati.
Nel periodo classico le composizioni maggiormente rilevanti furono quelle di Joseph e Michael Haydn, nonché di Mozart: i più noti sono senza dubbio la Serenata notturna K.239 n.6 per orchestra, il Notturno K286 n.8 per quattro orchestre e la famosissima Serenata in Sol maggiore “Eine kleine nachtmusik” K.525 per archi soli. Anche nell’opera di Beethoven troviamo la Serenata per violino, viola e violoncello op. 8 e la Serenata per flauto, violino e viola op. 25.
Nell’Ottocento il Notturno si fece più lirico e intimistico, avvicinandosi per carattere alla Romanza: in questa chiave nacquero composizioni pianistiche dal movimento lento e dal carattere delicato e patetico “in cui la sensibilità sognante dell’anima romantica trovò una delle sue espressioni più commosse” (Roberto Caggiano). I primi Notturni intesi in tal senso furono quelli di John Field, ai quali si ispirò – portando questa forma in auge – Fryderyk Chopin, seguito a ruota da tutta la generazione romantica e tardoromantica. Solo negli ultimi notturni chopiniani comparve per la prima volta anche un senso di inquietudine e di tormento. L’aspetto evocativo proprio di questa forma trovò la sua massima espressione nel Notturno op.61 n.7 dal Sogno di una notte di mezza estate di Fèlix Mendelssohn-Bartholdy, in cui i colori orchestrali rappresentano la Notte con maggiore efficacia timbrica di quanto non possa fare il pianoforte solo.
È in questo solco che si inserisce la composizione dei Nocturnes di Debussy. Come lo stesso autore ammette però “non si tratta della forma abituale del Notturno, ma di tutto quello che questa parola contiene di impressioni e di luci speciali”. In assenza di un vero e proprio programma, i riferimenti extramusicali pur presenti – assorbiti da Debussy nei salotti parigini – costituiscono semplici input emozionali, chiavi interpretative delle sue composizioni: dalla pittura impressionista alla letteratura simbolista. Il progetto di questo trittico orchestrale era stato infatti annunciato nel 1892 con il titolo Trois scènes au crépuscule, che rimanda direttamente ai Poèmes anciens et romanesques di Hernry de Régnier, scrittore della cerchia simbolista di Pierre Louÿs e Stèphane Mallarmè, entrambi amici intimi di Debussy. Un’altra influenza notevole deve aver avuto Baudelaire – di cui il compositore era profondo conoscitore – con le sue Harmonie du soire. Come scrive Filippo Zattini:
Oltre a Régnier e a Baudelaire tra gli altri poemi che potrebbero aver ispirato Debussy sicuramente il “Nocturne” di Charles Swinburne occupa un posto molto rilevante. L’ammirazione del compositore per questo poeta era sconfinata, e Debussy stesso aveva recensito di tanto in tanto qualche suo poema sulle riviste simboliste e aveva redatto per l’amico René Peter (anch’egli grande appassionato dell’estetica e della lirica di Swinburne) una breve biografia dell’autore in cui riportava un commento personale sull’estetica e un piccolo indice delle opere più importanti
Le citazioni presenti in Nuages non si limitano però alle sole immagini: l’incipit di clarinetti e fagotti, il lento incedere cromatico che evoca la staticità delle nuvole, è un esplicito riferimento alla romanza Senza sole dell’amato Modest Musorgskij. Il compositore russo è uno dei pochissimi che si salvarono dalle taglienti critiche che Debussy riservò ai suoi contemporanei e rappresentava una strada “moderna” per superare l’egemonia musicale tedesca, in particolare di Wagner: se infatti Debussy ne ammirava il genio e ne condivideva in un certo senso l’estetica di fondo (supremazia della musica come strumento per indagare il mistero dentro e fuori gli individui), non ne condivideva il gusto, in particolare non sopportava il
“bisogno germanico di battere ostinatamente sullo stesso chiodo intellettuale; un timore di non essere capiti, che si appesantisce necessariamente di noiose ripetizioni…”
Nella sezione centrale del brano, sotto l’indicazione Un peu animé, un’altra importantissima citazione catturò l’attenzione del pubblico parigino fin dalla sera della prima il 27 ottobre 1901: il “rovesciamento timbrico” (per usare l’efficace espressione di Andrea Malvano) lascia scoperti il flauto e l’arpa, proprio come nel Werther del pur criticato Jules Massenet. Questa configurazione strumentale è associata nella letteratura dell’Ottocento al movimento degli astri notturni: tanto nel Clair de lune dell’opera di Massenet, quanto nell’Otello di Giuseppe Verdi, nella Gioconda di Amilcare Ponchielli o nella Scène d’amour del Romeo et Juliette di Berlioz, i timbri di flauto e arpa evocano i riflessi lunari, l’apparizione di Venere o, più in generale, l’ambientazione notturna. Ancora Filippo Zattini:
Le citazioni presenti in Nuages non sono casuali, Debussy ha sempre fatto uso delle citazioni musicali come simboli, archetipi musicali radicati profondamente nella cultura musicale occidentale e quindi chiavi d’accesso a un’analisi più profonda del testo. Infatti queste […] servono subito a dare delle ancore, dei paletti musicali ben riconoscibili, o per lo meno, rintracciabili, così da indurre […] nella mente dello spettatore precise suggestioni […]. La citazione di Senza sole di Musorgskij come del Clair de lune di Massenet servono per illustrare precise immagini; nel primo caso un “rannuvolamento del cielo”, mentre nel secondo […] un chiaro di luna che si alza e che filtra tra i vapori perlacei delle nubi serali.
Dal punto di vista formale si potrebbe dire che Nuages è in forma tripartita ABA’, ma l’episodio B non ha alcuna funzione di contrasto dialettico con il precedente: sebbene l’indicazione passi da Moderato a Un poco animato, l’andamento rimane sostanzialmente lo stesso così come le figurazioni ritmiche; allo stesso modo la ricomparsa del tema del corno inglese alla fine della sezione B non produce l’effetto di una ripresa, troppo breve e frammentata (si osservi la lunghezza della sezione A, di 63 misure, a confronto con A’, di 22), ma semplicemente il ripresentarsi di quella precisa suggestione della quale quel tema si è fatto portatore (in questo aspetto si può cogliere forse la lezione wagneriana del Leitmotiv, che sarà ben più ampiamente adottato nell’opera dello stesso periodo Pélleas et Mèlisande). La struttura di Nuages allude dunque ad una successione di immagini, sensazioni, avvenimenti notturni e si articola attraverso una giustapposizione che imita il fluire del tempo naturale più che una rigida e schematica dialettica romantica. Lo stesso avviene del resto con gli altri temi rintracciabili: il frammento affidato agli oboi della m.2 così come lo spunto della battuta 62 restano irrisolti, in una scrittura quasi atomistica, salvo poi ricomparire a sorpresa come sfondo ad altre “suggestioni” tematiche.
Da un punto di vista armonico notiamo aree in grande contrasto fra loro: se per molte misure l’armonia rimane ferma (mm. 21-30 Sol Maggiore, mm. 43-56, Mi Maggiore, mm. 80-95 nuovamente Mi Maggiore), in tutte le altre il cambiamento è repentino attraverso microcellule (di massimo 4 battute) che mettono in discussione la stabilità sonora dei lunghi passaggi su un solo accordo. Se quindi il superamento del sistema tonale è un fatto acquisito già con Wagner, il cui cromatismo apriva all’infinito le possibilità dei percorsi armonici, con Debussy l’armonia diventa evanescente, funzionale all’effetto coloristico e timbrico, entra ed esce dal sistema tonale, passando ora per il cromatismo (come ad esempio l’incipit di clarinetti e fagotti) ora per i vari sistemi modali (come quello pentafonico utilizzato per la frase di flauto e arpa della sezione B).
Nelle misure 42-56 si può forse rintracciare l’influenza del gamelang giavanese che Debussy ebbe il piacere di ascoltare dal vivo nell’esposizione universale del 1899, come apprendiamo da Guido Salvetti: la presenza di un basso lunghissimo allude ai rintocchi del bonang ageng (un grande gong), l’oscillazione su due note degli archi evoca il rebab (specie di violino a due corde appunto), i pizzicati degli archi corrispondono ai gambang o ai saron-baroug (antenati di marimba e vibrafono), l’uso infine delle scale slendro e pelong (rispettivamente di sette e cinque suoni) è un chiarissimo riferimento alla musica di Java. Questa scelta testimonia l’esotismo che stimolò Debussy e tutta la sua generazione, non più in un senso ornamentale come avveniva in passato (lo straniero era spesso rappresentato in modo fortemente stereotipato quando non addirittura caricaturale e dispregiativo), ma nel senso più profondo dell’assimilazione di un linguaggio che fosse altro dalla cultura Occidentale. La nascente globalizzazione, se da un lato aveva portato alla sprezzante autocelebrazione dell’ asse Europa-America, dall’altro aveva già stimolato le anime più nobili ad un sano cosmopolitismo, ad un sincretismo di linguaggi che ha permesso alla musica “Occidentale” di trovare nuova linfa ed evolversi dopo la fine del sistema tonale.