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Guardare l’opera: La Valchiria di Richard Wagner

di Silvia D'Anzelmo - 23 Marzo 2017

La giornata inaugurale della Tetralogia assorbe Wagner in maniera furiosa, una sequela di idee musicali si ammucchiano rapidamente nella sua testa tanto che il compositore è costretto ad appuntarle in “selvaggi scarabocchi indecifrabili”: in poco più di sei mesi l’opera è completamente sbozzata e pronta per essere orchestrata nel dettaglio.

È davvero singolare la rapidità con la quale Wagner butta giù l’impianto generale della Die Walküre, quella che egli stesso riconosce come “la cosa più bella che io abbia mai composto”; in realtà, quella “fretta” è simbolo di un’urgenza creativa, la necessità di fissare in musica il monodramma di Wotan, la presa di coscienza di essere caduto in una rete inestricabile di contraddizioni che rendono nulla la validità della “grande idea” concepita dal re degli dèi in chiusura del Rheingold.

La crisi del dio è avviata da una serie oppositiva ma legittima di punti di vista che sgretola il suo campo di azione riducendolo alla paralisi: sotto la patina irreale del mito, la concezione idealistica e monodirezionale, tipica del clima culturale imperante nella prima metà dell’Ottocento, subisce un brutto colpo; Wagner intuisce e realizza in quest’opera una visione relativistica della realtà che sottrae all’uomo, anzi addirittura al dio, la possibilità di dominare il proprio universo. Questa virata pessimistica percepita in maniera semiconscia dal compositore trova il proprio supporto concettuale nella lettura di Arthur Schopenhauer:

Il pensiero principale di Schopenhauer, l’ultima negazione della volontà di vivere, è terribilmente austera, ma d’un sollievo unico. Per me, ben inteso, non è nulla di nuovo e nessuno può concepire tal pensiero se non si è trovato nelle circostanze. Ma solo questo filosofo lo ha risvegliato in me con tanta chiarezza!

Dunque, la possibilità intravista da Wotan di salvare il mondo dalla corruzione avviata con il Rheingold risulta una falsa alternativa impossibile da realizzare, questa impasse informa la struttura narrativa della Walküre che si configura come vera e propria tragedia. Nella Walküre la struttura drammaturgica non segue le dinamiche domestiche del dramma borghese che si rapprende nelle due istanze nettamente separate e opposte di bene e male, ma si cristallizza nella ieratica poetica del tragico secondo la definizione che Friedrich Schiller ed Georg Wilhelm Friedrich Hegel ne danno: tragica è la situazione di personaggi aggrovigliati in una serie di istanze morali contrapposte ma tutte ugualmente valide e quindi inconciliabili; è questo il caso di Wotan che tenta di salvare il mondo dalla perdizione ma è costretto a rinunciarvi anzi a sacrificare l’amore in nome dei patti di cui è custode e difensore. L’impossibilità di scegliere lo porta ad abdicare, a preferire l’esilio nei panni del viandante ramingo che tutto conosce e tutto sa ma si astiene da qualsiasi intervento attivo sull’azione del dramma.

Tra Das Rheingold e Die Walküre passa un tempo indefinito dall’alone mitico durante il quale la maledizione ha cominciato ad agire corrodendo dall’interno l’intero universo. Dal tempo degli dèi si passa a quello degli eroi ma echi del mondo degli ultraterreni sono ancora chiaramente avvertibili nella musica del preludio che apre la giornata: una furiosa tempesta ci scaglia nel mondo degli uomini, una realtà che si presenta da subito minacciosa e violenta perché dominata da leggi ferree che braccano la libertà come illegittima e la costringono a una fuga forsennata; ci accolgono incessanti scrosci di pioggia, resi da un ossessivo pedale di tonica (re minore) affidato a violini e viole, e le violente folate di vento degli archi gravi che intensificano l’effetto con cambi repentini di dinamica; in questa notte tremenda, il cupo rullare dei timpani squarcia il fitto velo sonoro come il boato del tuono fa con il rumore continuo della pioggia. Le variazioni di intensità sonora creano fluttuazioni di tensione all’interno della quale riconosciamo la sinistra presenza del divino: l’ossessiva figura discendente tracciata da violoncelli e contrabbassi riprende il tema della lancia di Wotan e cioè la legge che dovrebbe proteggere ciò che è legittimo ma che, lo vedremo, si configura come limitazione e costrizione del campo d’azione; mentre, nell’eco che risuona minaccioso nel basso tuba per poi passare allo squillo di tre trombe scopriamo il richiamo con il quale Donner (Heda! Heda! Hedo!) domina gli elementi metereologici. In questo mondo ormai umano, la divinità cammina ancora sulla terra.

Il minaccioso agitarsi della tempesta incalza un giovane sconosciuto che cerca riparo accasciandosi esausto vicino al focolare di un’abitazione a lui ignota: è la dimora di Sieglinde, moglie di Hunding, che lo accoglie premurosamente. Le prime importanti informazioni su questo giovane ce le dà la musica che lo presenta come fortemente legato al tema della tempesta e quindi, per filiazione, al tema della Lancia di Wotan: egli è Siegmund della stirpe dei Velsunghi generata dal dio in persona per la realizzazione della sua grande idea. Il tema di Siegmund condivide con i due leitmotiv già noti il timbro strumentale affidato ai violoncelli, il registro grave e persino l’andamento discendente della melodia come a significare che la sua esistenza e il suo destino sono informati dalla volontà di Wotan. La donna che lo accoglie si rivolge a lui con  particolare attenzione mentre in orchestra ascoltiamo il suo gesto musicale che altro non è se non il rovescio del tema di Siegmund nel registro luminoso dei violini: i due personaggi si configurano come fatalmente legati anche se ancora non ne conoscono la motivazione; a dircelo è un altro tema, quello dell’amore -diretta filiazione del leitmotiv di Freia- che penetra attraverso gli sguardi furtivi e, proprio come accadrà a Tristan e Isolde, i due si riconoscono immediatamente come appartenenti l’uno all’altra. Dunque, la poetica dello sguardo si configura come fondamentale per il linguaggio artistico di Wagner fatto di gesti, segnali e allusioni e non solo per la tematica amorosa ma anche per altri aspetti come il coraggio o la sfida.

Riacquistate le energie, l’infelice si accinge ad abbandonare la dimora timoroso di portare sventura anche alla sua ospite ma Sieglinde lo prega di rimanere mentre le tube  annunciano minacciose il ritorno di Hundig che, rispettoso dei doveri sacri dell’accoglienza, decide di far rimanere Siegfrid per la notte chiedendo al giovane di rivelare la sua identità. Lo sconosciuto inizia a raccontare di come ha vissuto nella foresta con il padre Wolfe che lo ha abbandonato quando la stirpe nemica dei Neidinge –appunto quella di Hunding- ha bruciato la loro casa, ucciso sua madre e rapito la sorella; il racconto è accompagnato da accenni orchestrali al tema del Walhalla che ci svela come Wolfe, in realtà, è il dio Wotan sotto mentite spoglie: i gesti musicali chiariscono all’ascoltatore il quadro della narrazione che verrà esplicitato solo nel II atto dell’opera. Il racconto rivela la prima importante opposizione tra vita e forma: Hunding vorrebbe affrontare Siegmund, che ha riconosciuto come appartenente alla stirpe nemica, ma non può farlo perché deve onorale i codici sociali che impongono come sacra l’ospitalità, per questo farà passare la notte prima di affrontarlo in duello.

Lasciato solo, il fuggitivo invoca la promessa del padre di fargli trovare un’arma eccezionale nel momento del maggior bisogno: a questo punto arriva Sieglinde che, dopo aver somministrato un sonnifero al marito, va in soccorso di Siegfmund indicandoli proprio l’arma da lui cercata. Ella narra che, durante le sue nozze, un vecchio con occhio bendato -è ancora una volta Wotan che interviene nelle faccende umane!- fece irruzione nella sala del banchetto per conficcare, nell’enorme frassino al centro della sala, una spada dichiarando che sarebbe appartenuta al solo in grado di estrarla; e quel prode è proprio Siegmund che chiama la lama Notung, figlia della necessità, e la offre come dono di nozze a Sieglinde. Si apre l’articolatissima scena d’amore tra i due che li porterà a prendere consapevolezza del fatto che sono fratello e sorella e, nonostante questo, a donarsi l’uno all’altra. In questa sorta di duetto dalla forma estremamente duttile e fluida, si incastra perfettamente laCanzone della primavera di Siegmund, un’oasi lirica che richiama la tradizione operistica italiana senza però configurarsi propriamente come pezzo chiuso. La melodia cullante e fresca ben presto si mescola alle elaborazioni del leitmotiv dell’amore con una circolazione di idee musicali che confondono i confini della forma fissa sfumandoli in un oscillante fluire.

Una musica stizzita e cupa apre il secondo atto: frammenti del tema della spada e dell’amore si ritrovano in un registro scuro e con ritmi incalzanti che ci fanno comprendere come l’amore autentico, quello di Siegmund e Sieglinde, è costretto alla fuga dalla forma ossia da Hunding, legittimo marito della donna; tutto sembra perduto ma, nella coda, ascoltiamo la prima apparizione del tema della valchiria che apre uno spiraglio di luce e speranza. Se il primo atto è interamente dedicato agli uomini, questo secondo segue parallelamente due catastrofi: quella di Wotan, che scopre di essere caduto in una contraddizione inestricabile, e quello di Siegmund che deve essere sacrificato.

La prima parte dell’atto è dedicato alle divinità: Wotan incarica la sua valchiria prediletta, Brünnhilde di difendere Siegmund nel duello con Hunding. Subito dopo il colloquio con la valchiria, entra in scena Fricka annunciata da un gesto musicale agitato che rende bene la sua collera dovuta al “grido di Hunding che si è rivolto a lei, patrona delle nozze, per ottenere vendetta”. Ella vuole punire i due Velsunghi che hanno oltraggiato la legge divina  con due infrazioni, adulterio e incesto, offese che minano quelli stessi vincoli posti da Wotan a reggere l’universo. Inizialmente, il dio vorrebbe ignorare le obiezioni della consorte perché totalmente preso dalla sua idea di salvare il mondo dalla minaccia dell’anello; egli attacca Fricka perché “solo la tradizione riesc[e] a comprendere” mentre il suo “pensiero mira a quel che ancor non avvenne mai” e cioè la necessità di “un eroe che, senza la protezione divina, si liberi dalla legge degli dei” per compiere ciò che a loro è vietato. Wagner, come sempre, informa la contesa verbale con gesti musicali totalmente opposti: se Fricka rimprovera il dio appoggiandosi sul materiale musicale legato a Hunding; Wotan risponde attingendo ai motivi legati alla coppia dei Velsunghi. All’inizio della disputa, Wotan appare sicuro e padrone di se stesso ma, ben presto comincia a vacillare fino al crollo definitivo sotto la logica incalzante della consorte. Fricka, infatti, dimostra con argomentazioni inoppugnabili come Siegmund non sia l’uomo libero in cui il dio spera poiché è stato generato da lui e per sua volontà, appare forte e coraggioso solo per la protezione che lui gli ha accordato donandogli, tra l’altro, una spada invincibile: il suo piano è pieno di fallacie e contraddizioni. Nel registro grave serpeggia una musica che indica del tremore represso di Wotan, è il motivo della frustrazione che accompagnerà la sua dolorosa presa di coscienza.

Al ritorno di Brünnhilde, Wotan appare “turbato e triste” e con estremo sconforto ammette: “presi me stesso nel mio laccio – io di tutti il meno libero”; egli lascia esplodere la rabbia che ha represso nel duello verbale con la consorte e, furente per la propria frustrante impotenza, si lascia andare rievocando quanto accaduto nel Rheingold e rivelando quale fosse il suo progetto per salvare l’universo dalla distruzione. Wotan è costretto ad ammettere il fallimento del proprio disegno riconoscendo l’incoerenza di voler pretendere libero un uomo da lui generato e da sempre protetto e poi, scoraggiato, si rivolge a Brünnhilde intimandoli di abbattere il Velsungo.

La seconda parte dell’atto è, invece, dedicata a Siegmund e Sieglinde che scappano braccati dalla collera di Hunding; stremata per la fuga, Sieglinde cade addormentata e Siegmund vede apparire davanti a sé la valchiria che gli annuncia di essere lì per condurlo, dopo la morte, nel regno degli eroi ma, appena scopre di doversi separare da Sieglinde, l’eroe decide di rinunciare alla beatitudine eterna. Colpita da questo immenso gesto d’amore, Brünnhilde decide di disobbedire al padre e difendere il Velsungo purtroppo, quando l’eroe sta per assestare il colpo mortale su Hunding, interviene Wotan che manda in pezzi la spada, simbolo di libertà, con la sua lancia ossia la legge. Hunding trafigge il nemico uccidendolo mentre Brünnhilde raccoglie i frammenti di Notung e fugge portando con sé Sieglinde. Contemplando il corpo esangue del suo protetto, Wotan si rivolge a Hunding intimandoli di annunciare a Fricka  che l’offesa è stata vendicata ma, il disprezzo con il quale gli parla annienta il guerriero che cade a terra morto.

Ancora una volta divino e umano si mescolano nel terzo atto della Walküre aperto  dalla cavalcata delle valchirie che si radunano per condurre gli eroi caduti in battaglia al Walhalla; le giovani vergini si richiamano tra di loro creando un interessante gioco di echi sonori: sono tutte presenti all’appello tranne Brünnhilde che arriva in ritardo lanciando il suo cavallo a una velocità furiosa. Ella giunge portando con sé Sieglinde e racconta alle sorelle della sua infrazione al comando del padre; inorridite, vorrebbero abbandonarla al suo destino ma, quando scoprono che Sieglinde porta in grembo Siegfrid –di cui percepiamo l’avvento nell’anticipazione sonora del suo tema musicale- decidono di consigliarle di fuggire a oriente nella foresta dove il drago Fafner custodisce l’anello: è un luogo inospitale ma è l’unico che può proteggerla dalla collera di Wotan che si guarda bene dall’avvicinarsi. Brünnhilde saluta Sieglinde e le consegna i frammenti della spada Notung di cui si servirà il più grande degli eroi e cioè Siegfrid frutto dell’amore dei Velsunghi.

Wotan, furioso, si precipita contro le valchirie cercando la colpevole che le sorelle proteggono ma, ben presto, sarà ella stessa a rivelarsi alla collera paterna. Su varianti del tema del fato e dell’annuncio di morte, il dio pronuncia la sua sentenza: per aver trasgredito al proprio dovere non sarà più una vergine guerriera ma una comune donna che, privata della sua divinità, giacerà addormentata su una rupe facile preda al primo uomo che vorrà averla. Le valchirie compiangono la sorte della sorella e pregano il padre di ammorbidire la pena perché questa punizione disonorerebbe anche loro ma Wotan va su tutte le furie e le caccia. Rimasta sola, Brünnhilde tenta di discolparsi e supplica Wotan di risparmiarle la terribile sorte confidandogli che la stirpe dei Velsunghi non è estinta e che l’eroe libero da lui cercato si agita nel grembo di Sieglinde. Wotan acconsente a proteggerne il sonno della giovane con una coltre di fuoco che circondi tutta la rupe cosicché solo il più coraggioso e libero eroe possa penetrarvi, dopo di che addormenta la figlia baciandola sugli occhi e invoca Loge per l’incantesimo del fuoco.

Nella Walküre la tragedia di Wotan domina su tutto e funge da principio unificante a una narrazione eterogenea che segue due filoni legati alle divinità e alle faccende umane. Secondo il critico Sergio Sablich

La moderna grandezza di Wagner drammaturgo sta proprio nell’aver esteriorizzato sulla scena la lotta intima di Wotan con se stesso (un vero monologo interiore) in un contrasto fra Wotan e i suoi “doppi”, tutte diverse “parti di sé” che in lui convivono, siano esse proiezione di sue aspirazioni oppure presenze oscure che tendono a imporsi autonomamente.

In effetti, i due dialoghi del dio rispettivamente con Fricka e con Brünnhilde appaiono come dei monologhi di un io frazionato tra la razionalità e il desiderio inconscio; Fricka che appare come fredda avversaria di Wotan nel suo progetto luminoso, in realtà non è altro che la sua coscienza e la lucidità delle sue argomentazioni sottolineano la fallacia del desiderio del dio seguendo una struttura musicale che poggia sulla “quadratura del periodo” e quindi sul bilanciamento simmetrico tipico della costruzione tradizionale del pensiero musicale. Ella, come sottolineato dalla musica, rappresenta la cristallizzazione dei precetti e delle convenzioni che Wotan stesso ha definito per dare ordine al mondo creando un sistema contrattuale che opera contro la spontaneità e la libertà d’azione tipica dell’uomo nello stato di natura. La contraddizione insanabile in cui Wotan cade nasce dal bisogno di rispettare i dogmi idealistici e il desiderio di realizzare un mondo basato sull’amore e sulla libertà. Questa frustrante contrapposizione è sottolineata dall’altro monologo che Wotan ha con Brünnhilde, e cioè l’espressione più alta della volontà del dio che si erge a garante della giustizia contro quella che è solo la legalità definita da accordi e convenzioni.

Wotan, dunque, si scontra con se stesso e risulta il meno libero di tutti proprio perché garante dei patti: il suo errore concettuale sta nell’aver formato un mondo basato sul sistema contrattuale e su regole che vincolano l’azione libera, compresa la sua. L’unico modo per uscire dalla situazione di stallo sarebbe cambiare il sistema di riferimento sostituendo alla legge contrattuale, il sentimento. Ancora una volta Wagner propone nelle sue opere l’opposizione tra vita e forma, tematica che, evidentemente, risulta urgente per l’uomo di metà ottocento il quale si sta imbrigliando in una serie di regole e costrizioni fortemente vincolanti per l’io.

Silvia D’Anzelmo

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