Lo spazio delle musiciste: il Concorso Internazionale di Musica Antica Francesca Caccini
di Martina Cavazza - 10 Gennaio 2022
“Quali sono le condizioni necessarie per creare un’opera d’arte?”
Questa la domanda che si pone Virginia Woolf nel saggio Una stanza tutta per sé, del 1928.
La genesi dell’opera d’arte, sembra suggerire il titolo, riguarda innanzitutto lo spazio – la necessità primaria è l’esistenza di un luogo in cui l’opera possa nascere indisturbata. Si tratta di un luogo tanto fisico quanto ideale, della mente, quest’ultimo auspicabilmente nutrito da una buona educazione e libero dagli affanni della mera sopravvivenza.
Le condizioni racchiuse nella potente metafora della scrittrice sono difficilmente riscontrabili, stando alle ricerche storiche e le analisi sociologiche anche di culture differenti, in particolare nella vita delle donne. Medita a proposito la Woolf, mentre cerca, tra gli scaffali della biblioteca del British Museum, volumi utili per le conferenze che terrà a Cambridge su Le donne e il romanzo:
“[…] scrivere un’opera di genio è quasi sempre un’impresa di prodigiosa difficoltà. Tutto sembra opporsi alla possibilità che il lavoro venga fuori bello e intero, come era stato concepito nella mente dello scrittore. Di solito le circostanze materiali vi si oppongono. I cani abbaiano, la gente interrompe; bisogna fare dei soldi; la salute non regge. Oltre a queste difficoltà, ad accentuarle e a renderle ancora più intollerabili, c’è la notoria indifferenza del mondo […] Ma per la donna, pensavo […], queste difficoltà erano infinitamente più grandi”.
Virginia Woolf aveva però già alle spalle scrittrici come Jane Austen, le sorelle Brontë, George Eliot, e prima ancora Aphra Ben, che nonostante le difficoltà erano riuscite a far emergere vigorosamente la loro voce tramite il romanzo.
Per quanto riguarda la musica, invece, l’impresa, ai tempi della Woolf come oggi, si delinea più complessa. Pochissimi gli episodi, che sembrerebbero costituire vere e proprie eccezioni nella storia della musica occidentale, di affermazione di autrici donne.
L’accesso all’universo musicale, infatti, è stato storicamente consentito alle donne soltanto in alcune circostanze eccezionali: l’entrata in convento, l’essere figlie d’arte, l’appartenenza a un ceto elevato. I nomi di musiciste che ci pervengono, sorgono, nella stragrande maggioranza dei casi, da questi contesti.
Il genio poliedrico di Ildegarda ebbe modo di fiorire nel convento di Bingen; Isabella Leonarda era superiora del Nobilissimo Collegio delle Vergini Orsoline di Novara; a Vittoria Aleotti fu impartita un’educazione musicale presso il convento ferrarese di San Vito; Ludovica Cesis era una monaca agostiniana.
Tra il XVI e il XVII secolo i nobili natali di Anna d’Austria, della regina Elisabetta I d’Inghilterra e di Sofia Elisabetta, duchessa di Braunschweig e Luneburg, permisero a queste donne di coltivare le loro doti musicali, avendo loro ricevuto una formazione complessiva di cui faceva parte lo studio della musica, oltre a quello delle lingue classiche, della matematica, della storia e della danza.
La testimonianza di Pietro Aretino, che nel Primo libro delle lettere (1538) sostiene che “i suoni, i canti e le lettere che sanno le femmine sono le chiavi che aprono le porte della pudicizia loro”, ci mostra però quanto fosse radicato il pregiudizio sull’attività musicale femminile.
La possibilità di perseguire una carriera musicale restava infatti un’esclusiva degli uomini, smentita soltanto da fenomeni straordinari e isolati, come quello di Elisabeth-Claude Jacquet de la Guerre, clavicembalista e compositrice di musica vocale e strumentale, o di Maddalena de’ Mezari, detta la “Casulana”. Quest’ultima, nel suo Libro di madrigali a quattro voci, volle mostrare al mondo, con la sua dedica a Isabella de’ Medici, “il vanitoso errore degli uomini di possedere essi soli doti intellettuali, e di non credere possibile che possano esserne dotate anche le donne”.
D’altronde, per una donna, l’unico modo socialmente accettabile di incarnare integralmente la professione musicale era forse quello di ereditarla: videro così la luce le musiche di Barbara Strozzi e di Francesca Caccini, entrambe figlie d’arte.
Barbara Strozzi, infatti, poté eseguire i propri lavori (per lo più composizioni per soprano, due strumenti e basso continuo) presso l’Accademia degli Unisoni fondata, tra gli altri, dal padre Giulio.
Francesca Caccini fu invece primogenita del compositore Giulio Caccini, detto “Romano”, e si formò all’interno del cosiddetto Concerto Caccini insieme alla sorella minore Settimia e a Margherita, la seconda moglie di Giulio. Seguì il padre nei suoi viaggi sia all’estero che presso le corti delle città italiane e fu universalmente apprezzata per le sue doti di interprete, di compositrice e di poetessa. Scrisse Pietro della Valle, nel suo discorso del 1640 intitolato Della musica dell’età nostra, che non è punto inferiore, anzi, è migliore di quella dell’età passata:
“Fa grande onore a questa nostra età anche la signora Francesca Caccini, figliola del nostro Romano, detta in Toscana la ‘Cecchina’, che in Firenze, dove pure io in mia gioventù la sentii per la musica, tanto in cantare quanto in comporre, e per la poesia non meno latina che toscana, è stata molti anni in grande ammirazione.”
Stimata, tra gli altri, da Monteverdi, che la cita in una lettera indirizzata ad Alessandro Striggio, Francesca Caccini fu la prima compositrice di musiche sceniche. La sua Liberazione di Ruggiero dall’Isola di Alcina, definita nella partitura “balletto”, fu composta, nel 1625, in occasione della celebrazione dell’arrivo a Firenze di Ladislao Sigismondo, principe di Polonia e di Svezia.
Pochi anni prima, la stamperia Zanobi-Pignoni aveva pubblicato il Primo libro delle musiche a una e due voci della Caccini, dedicate al cardinale de’ Medici. La Caccini fu infatti attiva, per gran parte della sua vita, proprio presso la corte dei Medici, i quali si preoccuparono di alimentare la sua prolifica produzione. Quest’ultima comprende, oltre a La liberazione, l’opera Il ballo delle Zingare su libretto di Ferdinando Saracinelli e La fiera su libretto di Michelangelo Buonarroti il Giovane.
Nonostante i clamorosi successi della Caccini, i testi di Buonarroti stesso, destinati ad essere musicati da lei, riportavano l’indicazione “per la figlia di G. R.” oppure, “cantata dalla figlia di G.R.”. Inoltre, la compositrice veniva più spesso annoverata tra “le donne di Giulio” che ricordata come la “Cecchina”.
Un recente progetto curato dall’Associazione AEDON, presieduta da Livia Galluzzi e da Alessandro Viale, rende finalmente giustizia alla memoria della compositrice. L’Associazione, che si occupa della promozione musicale e artistica nel territorio di Roma e provincia, le ha intitolato il Concorso Internazionale di Musica Antica Francesca Caccini, ampliando così il ventaglio, ad oggi ancora decisamente limitato, di concorsi dedicati alle musiciste.
Il concorso, con il patricionio del comune di Albano, è stato inaugurato il 18 dicembre scorso nella splendida cornice dell’aula consiliare del Palazzo Savelli, alla presenza del sindaco Massimiliano Borelli e dell’assessora alle pari opportunità Enrica Cammarano. Ad affrontare il problema, ancora tristemente attuale, dell’assenza di buone condizioni per poter intraprendere la carriera musicale da parte delle donne, provvedono gli interventi dell’avvocato Terrenzio e della sociologa Milena Gammaitoni.
Un tema tanto importante quanto delicato è quello della maternità, spiega l’avvocato Terrenzio. Poiché non è contemplata alcuna agevolazione per la maternità per le libere professioniste, la forchetta della disuguaglianza tra musicisti liberi professionisti e quelli con contratto a tempo determinato, già ampia di per sé, si accresce notevolmente nel caso delle musiciste.
Anche i dati che emergono dal discorso della Gammaitoni, letto per l’occasione dall’avvocato Rosalba Turco (reperibili oltretutto nella recente pubblicazione Musiciste e Compositrici, a cura di L.Averano, O. Caianiello e M. Gammaitoni SEDM Ed. 2021 e Storie di vita di artiste europee. Dal medioevo alla contemporaneità, Cleup Ed., di Milena Gammaitoni) sono piuttosto allarmanti.
Tanto per cominciare, uno studio del 2003 ha messo in luce che nella programmazione concertistica delle maggiori istituzioni musicali italiane le compositrici sono pressoché assenti: su 1.768 concerti sono state rilevate solo 30 musiche di compositrici, di cui le italiane costituiscono lo 0.3%. Inoltre, la sociologa rileva che fino a un anno fa su Wikipedia era presente la categoria “compositori donne” dato che, fenomeno forse ancora più desolante, su Google alla parola “compositrice” corrisponde “macchina per la stampa”.
La questione del Ruolo delle donne in musica trattato durante la conferenza di presentazione del concorso ha dunque alla radice due problemi fondamentali: il primo è che le donne hanno dovuto, e devono tuttora, affrontare condizioni peggiori per svolgere la loro attività, il secondo è l’oblio in cui cadono quelle, poche, che hanno vinto le avversità con cui si sono scontrate pur di produrre e diffondere la loro musica. Non solo, quindi, le donne musiciste sono e sono state inevitabilmente di numero inferiore rispetto ai colleghi uomini, ma è anche stato fatto, almeno fino a questo momento storico, poco per ricordare quelle che ci sono state.
Il Concorso di Musica Antica Francesca Caccini, oltre ad iniziative come la Giornata di studio presso l’Università di Roma Tre, ideata nel 2015, tra gli altri, dalla professoressa Gammaitoni stessa, o la collana editoriale Voci di Musiciste, sono senz’altro soluzioni che offrono “una strada di visibilità, di approfondimento, di recupero di manoscritti e di opere musicali di quelle tante compositrici attive nel passato e nel presente”.
Possiamo così ricordare, per esempio, le trobairitz, musiciste di corte dell’XII secolo, la cui eredità giunge al Novecento con le grandi jazziste e cantanti blues, fino alle più recenti voci rivoluzionarie di Violeta Parra e Mercedes Sosa; o le compositrici, nonché attiviste, Elfrida Andrée o Ethel Mary Smyth, che tra la fine dell‘Ottocento e la prima metà del Novecento si impegnarono nel riconoscimento dei diritti sociali e si batterono per il libero accesso delle donne ai ruoli istituzionali; o anche la prima direttrice d’orchestra afgana, Negin Khpolwak.
Spetta a noi, dunque, sia fare in modo che “le condizioni necessarie per la creazione di un’opera d’arte” non siano negate alle donne, sia ricordare i nomi delle donne, tanto quanto quelli degli uomini, che alle opere d’arte riescono a dare luce.
E’ la memoria, infatti, a garantire la continuità della vita dell’opera d’arte, finalmente libera dal suo creatore, uomo o donna che sia, che può essere più o meno lontano nel tempo. Sostiene l’archeologo e storico dell’arte Salvatore Settis in Futuro del classico:
“Quanto più sapremo guardare al ‘classico’ non come una morta eredità che ci appartiene senza nostro merito, ma come qualcosa di sorprendente ed estraneo, da riconquistare ogni giorno, come un potente stimolo a intendere il “diverso”, tanto più da dirci esso avrà nel futuro”.
Questo in parte l’intento del Concorso di Musica Antica Francesca Caccini, che risponde all’esigenza di memoria e di diffusione della musica antica, intesa come rinascimentale e barocca. I concorsi di musica antica, infatti, sono ben pochi in Italia e praticamente inesistenti nel Lazio.
Il concorso, che si terrà a settembre del 2022 in territorio laziale, e che prevede un premio speciale per la migliore esecuzione di un brano di una compositrice, si articolerà due categorie: quella della musica da camera, su strumenti originali, e quella del canto, con accompagnamento di clavicembalo o diversa formazione.
La voce cristallina del soprano Sabrina Cortese e il raffinato tocco del clavicembalo di Alessandro Viale, che hanno inaugurato il concorso sulle note, tra gli altri, della stessa Caccini, sono state una prima dimostrazione della possibilità di dare nuova vita a un patrimonio musicale che non può che richiedere, a sua volta, “una stanza tutta per sé”.