Il filo di Fauré del Palazzetto Bru Zane: a conversazione con Alexandre Dratwicki

Gabriel Fauré è un artista considerato atipico nel panorama dei grandi compositori francesi dell’ottocento. Capace di voltare pagina rispetto al romanticismo di gran parte dei suoi predecessori, ma senza portare gli stravolgimenti radicali che furono propri di Debussy: da questa sua posizione mediana nasce gran parte del fascino di un compositore straordinario e al tempo stesso di un docente capace di formare e segnare le generazioni francesi future. Ereditando la sua atipica vena dalla scuola di Camille Saint-Saens, formò artisti del calibro di Nadia Boulanger e Koechlin. Questa figura così multiforme è l’oggetto del nuovo ciclo “Il filo di Fauré”, organizzato dal Palazzetto Bru Zane che, come oramai è consuetudine, porta avanti la sua opera di riscoperta di artisti più e meno noti del panorama ottocentesco francese. Ne abbiamo parlato con Alexandre Dratwicki, direttore scientifico dell’istituzione veneziana.

Il ciclo primaverile di quest’anno del Palazzetto Bru Zane torna a presentare al pubblico un compositore specifico e raccontarci il mondo musicale che lo circondava. Spesso il lavoro di ricerca del Palazzetto Bru Zane ha affrontato una ‘personale’, alternando compositori più conosciuti a nuovi protagonisti da scoprire. Che cosa può dare al pubblico questo tipo di programmazione dedicata?

Da diversi anni il lavoro del Palazzetto Bru Zane si concentra, su almeno uno dei due cicli annuali, su un compositore del repertorio romantico francese, come Massenet, Franck e Saint-Saëns. Sicuramente avere un nome conosciuto, aumenta l’interesse del pubblico e dei media nei confronti della nostra programmazione, ma se prendiamo, ad esempio, questo ciclo su Fauré si vede come il focus non sia solo sul compositore ma anche sui suoi studenti.  Un’occasione unica di scoprire i lavori di Roger-Ducasse, di Louis Aubert, di Louis Masson e molti altri, veramente poco sconosciuti e a cui è difficile poter dedicare un intero ciclo.

Ritornando al compositore soggetto dei vari festival una nostra cifra stilistica è quella di dedicarci anche alla riscoperta delle parti meno sconosciute del suo catalogo. Può avvenire con esecuzioni o con registrazioni, spesso in prima mondiale in tempi moderni, a seconda delle possibilità e questo dimostra il carattere di riscoperta che ci caratterizza, anche su grandi nomi come Offenbach, Franck o Saint-Saëns, di cui non conosciamo tutto.

Su questo ultimo concetto mi collego per parlare del protagonista di questo ciclo. Gabriel Fauré è un compositore sicuramente noto al pubblico in cui però, forse, come accade alcune volte, una parte della produzione ha avuto più fortuna della rimanente. Con quale approccio si programma una stagione dedicata ad un compositore come Fauré: puntando sulle scoperte, dando al pubblico il brano che conosce o inventando una terza strada?

Generalmente direi una terza via perché quando vogliamo programmare un titolo conosciuto, cerchiamo di abbinarci sempre qualche scoperta o prima edizione poco suonata, come ad esempio faremo a breve a Parigi. Insieme al più conosciuto Requiem legheremo alcune orchestrazioni di mélodies di Fauré stesso, veramente poco eseguite.

Ma è utile ricordare che la programmazione del Palazzetto Bru Zane si articola su più nazioni, in cui non sempre il concetto di “brano conosciuto” coincide con l’idea che il paese successivo ha. Quelle che all’apparenza possono sembrare brani più conosciuti e vengono fatti circolare tengono conto anche di questo.

Tutti gli anni ci teniamo anche a lavorare con grandi istituzioni, orchestre e artisti, il cui rapporto anno dopo anno si è costruito su una bilanciata alternanza fra brani conosciuti e riscoperte. Dopotutto non possiamo neanche fare finta che non esistano quei brani, soprattutto negli anni in cui il compositore ha uno specifico anniversario, ma nella globalità della nostra brochure programmeremo un Requiem di Fauré e non dieci.

Fauré è una figura di spicco del panorama romantico francese, non solo per i suoi meriti compositivi ma anche per quelli didattici, con tanti e importanti compositori usciti dalla sua scuola, e ancora per i suoi meriti programmatici che l’hanno portato ad essere un filo di connessione fra romanticismo e prima modernità musicale. Quanto di queste tre anime sono all’interno della programmazione e in quali concerti avremo modo di confrontarci con esse?

La scelta di Fauré nel 2024 nasce anche dal voler celebrare l’anniversario (cento anni dalla morte, ndr) ma abbiamo fin da subito deciso che presentarlo da solo non corrispondesse, come detto in precedenza, alla logica del Palazzetto Bru Zane. Quindi la sua anima didattica è sicuramente tratteggiata con l’esecuzione dei brani dei suoi allievi. Ma anche scegliere quali dei loro brani presentare non è una scelta scontata: quando parliamo di Enesco, di Schmitt o di Ravel, scegliere i brani alla fine del loro catalogo non permetterebbe realmente di delineare il rapporto tra docente ed allievi, anche per la particolare pedagogia di Fauré che lasciava libera e vivace la personalità dei suoi discepoli. Dunque sentiremo quei primi numeri di catalogo come uno dei quartetti con pianoforte di Enesco, uno dei quintetti di Roger-Ducasse.

All’interno delle scelte di questa programmazione c’è anche decidere quale formazione strumentale sia veramente tipica. Dai più classici come Quintetto con pianoforte o quartetto con pianoforte, ai generi come le mélodies, e poi qualcosa di più particolare come il repertorio per flauto e pianista, su cui si sono concentrati anche molti suoi studenti. C’è da dire che poi alcuni brani del repertorio sono già stati eseguiti in altre occasioni, per cui bisogna bilanciare attentamente questa presenza che può diventare ripetitiva.

Decisioni che non sempre avvengono a tavolino ma che possono avvenire anche per caso. Il concerto per flauto che abbiamo programmato per il 19 aprile nasce da una conversazione con Alexis Kossenko (il solista del concerto, ndr) in cui abbiamo visto questo collegamento fra Fauré e i suoi allievi sul repertorio per flauto. Da lì è nata l’opportunità di un concerto su un repertorio che abbiamo esplorato meno e approfondire anche questo genere musicale.

Questa programmazione però ci permetterà anche l’originalità della composizione di Fauré, un autore che di fatto aveva girato pagina, seppur non in modo radicale, attraverso personalità musicale a metà fra romanticismo e modernità. E questo si manifesta anche nel non voler dare una direzione precisa ai propri allievi: una libertà pedagogica assolutamente moderna.

In programma spicca un concerto fuori dai conosciuti confini degli spazi del Palazzetto Bru Zane, quali il Palazzetto stesso e la Scuola Grande di S. Evangelista. Da dove nasce questa nuova esigenza di spazi performativi?

All’inizio dell’esperienza del Palazzetto Bru Zane, per qualche anno, per farci conoscere abbiamo cercato luoghi sempre diversi, a Venezia e fuori Venezia, dove programmare la nostra stagione. Questo ci ha permesso di lavorare nella città e con la città.

Poi abbiamo scelto di creare un’abitudine per il nostro pubblico, da cui il rito dell’inaugurazione alla Scuola Grande di S. Evangelista e i concerti nei nostri spazi.

Ora inauguriamo una terza fase di possibilità verso nuovi spazi soprattutto se legato alla volontà reciproca di costruire qualcosa e che ci permette di soddisfare anche la domanda sempre più alta di partecipazione ai nostri concerti.

Le possibilità per noi sono due: o creare una replica del concerto o trovare spazi più capienti in cui incanalare il pubblico interessato.

Lasciamoci con uno sguardo sul futuro dei prossimi programmi del Palazzetto Bru Zane e, magari, qualche anticipazione sull’autunno veneziano.

Chi tiene nota delle ricorrenze allora può aspettarsi un omaggio a Bizet per il 2025, e dunque possiamo anticipare il ciclo dedicato a Bizet e al suo tempo. Poi sul futuro ulteriore servirà ancora aspettare, anche perché il nostro lavoro, che parte da una strutturazione scientifico-musicologica nasce dalla reiterazione ma le modalità di presentazione di questi risultati non può ripetersi. Ci piace anche l’idea di riprendere qualche soggetto passato e vederlo sotto una nuova luce. Nel 2010 parlammo del pianoforte romantico, il prossimo anno potrebbe essere l’occasione per parlare di un altro strumento romantico.

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