Tra insegnamento e potere: Beethoven e l’arciduca Rodolfo

La storiografia musicale si è occupata a lungo della narrazione in merito alle vite e alle opere dei grandi nomi. D’altro canto, però, si è interessata in modo meno sistematico ai rapporti che i grandi compositori hanno intessuto con altre figure, le quali hanno inevitabilmente influenzato la produzione, il pensiero o la posizione professionale degli autori.

Il caso dell’Arciduca Rodolfo e dei suoi importanti rapporti con Beethoven ricopre in questo contesto un ruolo importante: il compositore fu infatti suo insegnante di pianoforte e composizione, mentre l’Arciduca suo protettore e mecenate. Il reciproco rapporto tra le due personalità viaggia su due precisi livelli: in primo luogo, un livello artistico fatto di scambi, insegnamento e di numerose dediche di composizioni da parte di Beethoven; in secondo luogo, un livello di tipo politico ricoperto dall’Arciduca, che ha garantito a Beethoven un reddito di sostentamento importante, oltre che una importante protezione.

La data simbolo di questo legame è il 1809, anno drammatico per le sorti di Vienna e degli Austriaci: la città fu infatti posta sotto assedio dalle truppe di Napoleone, a cui seguì la fuga della casa reale asburgica. L’Arciduca Rodolfo dovette seguire le direttive della famiglia: anch’egli, infatti, dovette allontanarsi dalla città, lasciando il suo maestro nell’incertezza di un futuro ancora non definito.

Legata a questo momento di notevole difficoltà fu la Sonata per pianoforte in Mi bemolle maggiore op. 81a scritta da Beethoven tra quel fatidico anno e l’inizio del successivo, denominata successivamente da un’editore francese Les Adieux, che come vedremo rappresenta un vero e proprio viaggio psicologico (dalla notizia dell’allontanamento da parte dell’Arciduca, fino alla sua assenza e al suo desiderato ed agognato ritorno).

 

Il legame tra Beethoven e il suo pupillo si divide dunque in tre aspetti: oltre ai due già menzionati se ne aggiunge un terzo, ovvero in merito alla reciproca stima ed amicizia; un aspetto psicologico che, negli ultimi decenni, ha stimolato profondamente gli studiosi. Le connessioni tra le opere, i loro autori e i loro dedicatari sono sempre vincolanti: ciò si evince in modo ancora maggiore nel momento in cui i rapporti tra le due figure si fanno stretti e carichi di implicazioni anche per il futuro che li attende.

CHI ERA L’ARCIDUCA RODOLFO?

Ultimogenito di sedici figli, Rudolph Johann Joseph Rainer von Hasburg von Österreich nacque a Firenze il 9 Gennaio 1788 da Leopoldo, granduca di Toscana e sua moglie, la principessa Maria Ludovica di Spagna. Nel 1790, in occasione dell’incoronazione imperiale del padre, la famiglia si traferì a Vienna e i bambini furono educati sotto la guida del fratello maggiore Franz (1768-1835), anch’egli imperatore dal 1792.

Xilografia che ritrae l’Arciduca Rodolfo

Secondo la prassi allora consolidata, tutti i figli della coppia imperiale ricevettero un’istruzione per la carriera militare, religiosa o governativa. Inoltre, la sensibilità degli Asburgo nei confronti dell’arte musicale era universalmente nota: l’istruzione, in tal senso, era affidata ad Anton Teyber (1756 – 1822), che in seguito diverrà compositore di corte. Fin dalla più tenera infanzia, il talento musicale di Rodolfo era evidente: aveva una profonda aspirazione a divenire un pianista, almeno fino a quando i primi sintomi dell’epilessia si palesarono nella sua vita, tormentandolo.

Inizialmente, come la maggior parte dei suoi fratelli, Rodolfo fu indirizzato verso la vita militare, tuttavia la delicata salute (l’eredità genetica dell’epilessia e le importanti convulsioni a cui fu soggetto per tutta la vita) impedì questo tipo di percorso, sostituito con la carriera ecclesiastica. Nel 1805 prese infatti i voti minori e le insegne dello status clericale e, nel medesimo anno, fu nominato coadiutore dell’arcivescovo di Olmütz (oggi Olomuc), il Cardinale Maria-Thaddeus von Trauttmansdorf Wiensberg. La sua carriera di ascesa ecclesiastica proseguì fino al 1819-20, quando fu ordinato prima vescovo e poi cardinale. A partire dal 1820 trasferì la sua residenza principale presso il palazzo arcivescovile di Kromeriz, spostandosi poi, per alcuni periodi di cura, a Teplitz, Bad Ischl e Baden.

Fu in questo ultimo luogo che, il 24 luglio 1831, all’età di quarantatré anni, morì a causa di un’emorragia. Il suo cuore riposa attualmente nella Cattedrale di Olomuc, mentre il suo corpo è sepolto nella Cripta dei Cappuccini a Vienna, assieme agli altri membri della dinastia degli Asburgo e Asburgo – Lorena.

I RAPPORTI CON BEETHOVEN

Si ipotizza che i rapporti tra Beethoven e l’Arciduca Rodolfo siano iniziati a partire dall’inverno del 1803-1804; in tale periodo, infatti, l’Arciduca iniziò a godere di un certo grado di indipendenza, trasferendosi con il proprio seguito presso alcuni appartamenti privati nella Hofburg.

Con tutta probabilità, le interazioni iniziali fra i due furono però relativamente marginali: durante quel periodo, infatti, i rapporti principali di Beethoven erano rivolti alla cerchia del Principe Lobkowicz e a quella di Karl Lichnowsky il quale, a partire dall’anno 1800, fece trasmettere annualmente a Beethoven un assegno di seicento fiorini.

I rapporti tra Lichnowsky e Beethoven, regolati da tale accordo di sostentamento, durarono fino al 1806, quando al compositore fu richiesto di suonare per un gruppo di ufficiali francesi nella residenza estiva del principe. Ne scaturì una violenta reazione da parte di Beethoven, il quale «si arrabbiò e si rifiutò di fare ciò che bollò come lavoro servile ». La dura lite provocò l’immediata reazione di Lichnowsky, il quale di conseguenza non rinnovò più l’assegno annuale fino ad allora elargito. Senza tale sostentamento, la situazione economica personale di Beethoven diventò complessa ed estremamente preoccupante.

L’anno seguente, nel 1807, il compositore rivolse una petizione all’Imperial Regio Teatro di Corte (a cui era legato, tra gli altri, il principe Lobkowitz) con una richiesta di contratto per un reddito annuo di 2400 Gulden, impegnandosi nella composizione di un’opera all’anno e in altri lavori, ma tale domanda non fu mai presa in considerazione dal Teatro.

La situazione economica di Beethoven rimaneva altresì problematica, palesando dunque la sua volontà di lasciare Vienna: «Stanno costringendomi a farlo», confidò all’organista Wilhelm Rust.

Nell’ottobre 1808, il re di Vestfalia Jerôme Bonaparte (fratello minore di Napoleone) invitò Beethoven a Kassel per ricoprire il ruolo di Kappelmeister per un salario di 600 ducati. L’idea di dover lasciare Vienna, come sostiene il musicologo Lewis Lockwood, probabilmente dispiaceva non poco al compositore e al circolo di amicizie che intorno a lui gravitavano: fortunatamente, una proposta di vitalizio più allettante giunse un mese più tardi da parte dei principi Lobkowitz e Kinsky e dall’Arciduca Rodolfo.

Il contratto, che Beethoven accettò, fu stilato il 1° marzo 1809 e prevedeva impegni da entrambe le parti: per quanto riguardava il compositore, egli s’impegnava a stabilirsi definitivamente a Vienna e, in cambio, i nobili in questione accettarono di versargli 4000 fiorini all’anno, fino al momento in cui Beethoven non avrebbe ricevuto un incarico per la medesima somma.

Da questo momento in poi, Beethoven accettò senza remore il ruolo di insegnante per l’Arciduca Rodolfo – caso più unico che raro, dato che il compositore non fu mai particolarmente propenso, per tutta la sua vita, all’insegnamento – il quale di sua riconoscenza garantiva una speciale protezione e numerosi favori, incluso l’accesso alla sua biblioteca musicale.

Come evidenzia Lockwood “nessuno, nella vita di Beethoven, divenne così intimo come l’Arciduca Rodolfo” , a testimonianza di un duraturo legame che si rispecchiò nelle numerose dediche che il compositore intestò al suo protettore – allievo.

Questa situazione di stabilità economica iniziò a vacillare a partire dal maggio 1809, quando le armate di Napoleone, impegnate nella guerra contro l’Impero Asburgico, raggiunsero Vienna iniziando a bombardarla e occupandola successivamente per più di sei mesi. Beethoven, rifugiato a casa del fratello, ebbe a scrivere il 26 luglio in una lettera, pochi giorni dopo la battaglia di Wagram combattuta alle porte della città:

«Che vita di distruzione e disordine vedo e odo attorno a me: null’altro che tamburi, cannoni, e miseria umana di ogni tipo».

All’inizio di maggio, non più al sicuro, la famiglia reale lasciò la città recandosi ad Ofen, in Ungheria, facendo ritorno a Vienna solo nove mesi più tardi. L’Arciduca lasciò la città il 5 maggio, dirigendosi prima in Moravia e raggiungendo successivamente la famiglia ad Ofen: farà ritorno a Vienna solo il 30 gennaio 1810.

La partenza di Rodolfo e la sua relativa assenza è direttamente connessa alla stesura, da parte di Beethoven, della Sonata per pianoforte Op.81a Lebewohl. Dedicata all’Arciduca, essa rappresenta dal punto di vista psicologico “la palese espressione del rapporto di Beethoven con Rodolfo e la forza dell’emozione che l’opera incarna e rivela” (Lockwood).

Sebbene Beethoven non amasse impartire lezioni, soprattutto nei periodi di intensa produzione creativa (numerose sono infatti le lettere che testimoniano l’impossibilità del compositore di potersi recare a palazzo, additando spesso motivazioni di salute), quelle con l’Arciduca, dopo il suo ritorno in città, proseguirono: intensi furono infatti gli studi di contrappunto, in particolare sulla fuga, testimoniando l’importanza che tale forma rivestirà nell’ultima produzione del genio di Bonn.

L’Arciduca fu molto concessivo nei riguardi del suo maestro: da sempre collezionista di importanti partiture dei secoli passati, permise a Beethoven di avere accesso alla sua biblioteca personale per la consultazione; gli consentì, inoltre, di utilizzare le stanze del palazzo reale per prove e concerti. Importante fu anche il ruolo che egli ebbe nei confronti della disputa per la tutela legale del nipote Karl.

Il ruolo di Rodolfo fu inoltre decisivo durante il periodo del Congresso di Vienna (1814), presentando Beethoven ai monarchi riuniti, i quali tessero le lodi nei suoi confronti (il compositore riuscì persino ad ottenere udienza presso l’Imperatrice di Russia, alla quale offrì la Polonaise op.89, ricevendo un riconoscimento economico di cinquanta ducati).

 

Negli anni seguenti, l’Arciduca fu dedicatario di numerose pagine di Beethoven. A tal riguardo, oltre alla Sonata op.81a, ricordiamo: nel 1811 il Quinto concerto per pianoforte op.73 ed il Trio per pianoforte e archi op.97 detto per l’appunto Arciduca, ultima opera concepita dal compositore per questo organico; nel 1816 la Sonata per violino e pianoforte op.96; nel 1819 la Sonata per pianoforte Hammerklavier op.106; nel 1823 la Sonata per pianoforte op.111 e infine, nel 1827, la Grosse Fuge per quartetto d’archi op.133.

 

 

Legata fin dalla sua genesi alla figura di Rodolfo è, inoltre, la Missa Solemnis op.123: essa fu infatti concepita inizialmente per celebrare la nomina dell’Arciduca ad arcivescovo di Olmütz il 9 marzo 1820, ma la lunga gestazione di tale opera (dal 1819 al 1824) impedì l’esecuzione in tale occasione, che sarà eseguita soltanto quattro anni dopo l’evento, nel 1824, a San Pietroburgo.

 

 

Lungi dal soffermarci approfondendo nello specifico tale opera, è se non altro interessante evidenziarne alcune caratteristiche dal punto di vista religioso e di carattere generale, anche per comprendere determinate posizioni molto probabilmente condivise dal dedicatario. In una lettera all’Arciduca, Beethoven afferma:

«Non vi è nulla di più elevato che accostarsi alla Divinità più degli altri mortali, e grazie a questo contatto diffondere i raggi della Divinità tra il genere umano».

L’idea di risveglio della fede diviene centrale nel profondo significato dell’opera: l’obiettivo è universale, profondamente ‘ecumenico’ nelle sue asserzioni d’intenti. Ideale che, seppur in veste pienamente laico, verrà successivamente ripreso all’interno dell’ultimo movimento della Nona Sinfonia. Il legame testimoniato tra le due figure si rafforzò ulteriormente anche in relazione alle alte posizioni ecclesiastiche che l’Arciduca stava di volta in volta raggiungendo.

In una lettera del compositore, risalente al marzo 1819 e rivolta a Rodolfo, è chiaramente evidenziato l’orgoglio e la soddisfazione che aveva nei confronti dell’allievo, insieme all’incoraggiamento a lui rivolto di adoperare la propria posizione (probabilmente la sua nomina a vescovo di Olmütz, risalente a quell’anno) ai fini dei propri fedeli e di continuare sulla strada della composizione.

La storiografia si è a lungo interessata alla figura di Rodolfo, ma solo recentemente si è approfondita anche la sua produzione compositiva. In particolare, la monografia pubblicata dalla musicologa americana Susan Kagan (Archduke Rudolph, Beethoven’s patron, pupil, and friend: his life and music, Pendragon Press, Stuyvesant, 1988) ha permesso di mettere ulteriormente in luce molte pagine fino ad allora prevalentemente sconosciute: la produzione dell’Arciduca è prevalentemente pianistica – sia come solista che in duo – insieme a diverse sonate soprattutto per strumenti a fiato. Ma il genere principale in cui l’allievo di Beethoven eccelse furono le Variazioni, nelle quali il compositore rielabora sapientemente il materiale musicale proposto con ironia e spiccato vezzo creativo: il più importante ciclo di questa produzione sono le Quaranta Variazioni su un tema di BeethovenO Hoffnung. Il ciclo fu composto, insieme al proprio insegnante, tra il 1818 e il 1819 e il tema di queste variazioni è, per l’appunto, il breve lied “O Hoffnung” WoO 200, che Beethoven stesso scelse per questa prova di scrittura. Dopo il lungo lavoro di stesura, correzioni (come testimoniano i quaderni di schizzi presenti nell’archivio di Kromenz), il risultato fu giudicato dall’insegnante come “variazioni magistrali”, descrivendo il proprio pupillo come “favorito delle Muse”, impegnandosi affinché la composizione fosse pubblicata presso l’editore Steiner.

 

Infine, Rodolfo collaborò nelll’importante progetto collettivo Vaterländischer Künstlerverein, voluto dall’editore Anton Diabelli a partire dal 1822. Il progetto, successivamente pubblicato in due parti tra il 1823 e il 1824, coinvolse 51 compositori di area austriaca – tra cui figura anche un giovanissimo Liszt, tredicenne – i quali dovettero realizzare una variazione su un valzer composto in precedenza, opera dello stesso Diabelli. Rodolfo compose la variazione no. 40, una fuga, firmandosi come “S.R.D”, ovvero “Serenissimus Rudolf Dux”, uno dei titoli dell’Arciduca. Anche Beethoven contribuì con il progetto attraverso la composizione 33 monumentali variazioni, poi finite sotto il numero d’opera 120, divenendo in seguito un caposaldo della letteratura pianistica mondiale, ovvero le ‘Variazioni Diabelli’.

 

Negli ultimi anni, l’Arciduca smise di comporre: ciò fu probabilmente dovuto alla lontananza nei confronti del proprio maestro (unico “motore creativo” per l’allievo) che, isolatosi sempre di più nel proprio mondo, non fu più in grado di impartire lezioni.

Dopo la morte di Beethoven, nel 1827, l’Arciduca si dedicò alla continuazione della propria biblioteca musicale (oggi denominata ‘Collezione Rodolfo’), realizzata in collaborazione con Beethoven e l’editore Thomas Haslinger, con l’obbiettivo di creare una collezione monumenta di tutto il sapere musicale. Ovviamente, grande spazio fu dato alle opere di Beethoven, di cui conservò numerosi manoscritti.

Alla morte di Rodolfo, per sua volontà testamentaria, i 61 volumi della collezione furono trasferiti nella biblioteca della Gesellschaft der Musikfreunde di Vienna, trasferiti poi tre anni dopo (nel 1834) nella biblioteca del palazzo di Kremisier, sempre a Vienna.

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