L. van Beethoven: l’uomo oltre lo sguardo accigliato

“Nell’intimità Beethoven mostrava il suo vero carattere
dando agli amici continue prove del suo affetto”
Stephane Von Breuning

Autore: Gioia Bertuccini

16 Dicembre 2020

Sono passati 250 anni dalla nascita di Ludwig van Beethoven (1770-1827), il talento ribelle disegnato, e da sempre ricordato, con l’immagine di un uomo inquieto dallo sguardo cupo e severo. Certo, sicuramente in lui si concentravano tutte le peculiarità delle menti geniali: malinconico ma a tratti entusiasta, nevrotico e ipersensibile. Tuttavia, inquadrare Beethoven attraverso i ritratti romantici e i busti ottocenteschi può essere fuorviante. Il disegno esatto del compositore, neanche a dirlo, si trova nella sua musica: sono le sinfonie, i quartetti, le sonate a raccontarci la complessa struttura del suo essere e a racchiudere le numerose sfaccettature del suo carattere. Il mito del Beethoven unicamente arrabbiato, per fortuna, sta perdendo di consistenza. Qual era allora l’indole del compositore?

Indubbiamente, la vita di Beethoven non fu facile: un’infanzia segnata dalle brusche maniere di un padre sempre ubriaco che pretendeva dal figlio prodigiosi risultati al clavicembalo, e dalla prematura scomparsa della madre; una fanciullezza che già dai primi anni lo preparò alle avversità della vita e che lo indusse a pensare all’esistenza come un combattimento, e alla società come un organismo da riedificare. Poi, la morte del fratello maggiore, la lotta per l’affidamento dell’amato nipote Karl e il tentato suicidio di quest’ultimo; il costante senso di colpa causato dall’averlo separato dalla madre e, nel contempo, la tenace convinzione di aver fatto la cosa giusta. All’amico Schiller dirà: “la vita non è la più grande delle benedizioni, ma la colpa è il più grande dei mali”.

Eppure, negli anni della gioventù, Beethoven camminava per le strade di Vienna comportandosi come ogni altro giovane Gentleman del tempo. Nonostante le biografie del compositore riportino spesso che: “Beethoven non si sposò né, cosa piuttosto singolare, ebbe mai alcun rapporto sentimentale”, sappiamo dalle corrispondenze dei suoi più cari amici che mai accadde a Beethoven di non essere innamorato. Per di più, sembra che il suo coinvolgimento emotivo rasentasse l’esasperazione: ogni qualvolta incrociasse una donna che reputava piacevole, si voltava a osservarla attentamente e spesso era impegnato in ardue conquiste amorose. Sono sempre gli amici, poi, a raccontare di un Beethoven spassoso, che amava lo humor nella musica come nella vita: i visitatori della sua dimora, sempre a un indirizzo diverso, venivano accolti, a parte rari casi, con estrema gentilezza. Era poi noto che, per avere la certezza di trovarlo sereno e rilassato, bastasse recarsi nell’osteria in cui il Maestro, prima dell’isolamento dato dalla sordità, andava spesso a mangiare. Lì, circondato da amici e conoscenti, il compositore, più che conversare, tendeva a un monologo in cui saltava volentieri di palo in frasca: dalla musica passava alla politica, dai pettegolezzi cittadini alle ultime notizie, il tutto condito da battute originali e divertenti, tipiche di un uomo vivace, dotato di una fantasia fervida e mai a riposo.

Quest’uomo, stravagante e acceso, era però lo stesso che ogni giorno si alzava di buon’ora e si preparava il caffè macinando esattamente sessanta chicchi per tazza, né uno di più né uno di meno, per poi comporre precisamente fino alle due del pomeriggio. Il frequentatore dell’affollato ristorante era anche lo stesso che si isolava volentieri in campagna, per lavorare in totale silenzio. Questo contrasto lo avvertiva anche e soprattutto nella musica: la vicinanza con la natura esaltava il suo genio creativo; l’ispirazione poteva arrivare improvvisa, un tema, un’idea armonica che prontamente annotava sul fedele taccuino. Tornato a casa, cominciava però per lui una vera e propria battaglia in cui tutto ciò che aveva scritto veniva cambiato, rielaborato e ridefinito in lunghi ed estenuanti conflitti che potevano durare anni.

In sostanza, Beethoven era più che un semplice burbero austero, era un uomo dal carattere complesso ma terribilmente fiero, che si ritrovò a combattere una società che non lo rispecchiava, a cercare un equilibrio che non riusciva a trovare. Anche nelle sue espressioni divertenti e satiriche non mancava una certa stravaganza, probabilmente dovuta al profondo distacco fra il compositore e la routine quotidiana del mondo attorno a lui. In questa lotta costante, perfino il suo corpo gli si rivoltò contro: oltre le numerose malattie, giunse la sordità. Una condizione che lo minacciava da tempo e che prese possesso del suo udito dal 1802: dapprima le resistette, finse, provò a non farlo capire agli altri tentando di ingannare anche se stesso, fece credere di essere distratto, ma la crudele verità era che non sentiva più. Aveva perso il senso che gli permetteva di lavorare, di esprimere la sua arte, quello che avrebbe dovuto essere in lui più perfetto che in altri; ma sarà dal fondo di questa rovina che nascerà in lui l’impeto di sfidare la sorte, di imporre la propria energia creatrice, persistendo a far nascere e a dirigere i suoni nel silenzio. “Voglio afferrare il destino alla gola; non riuscirà certo a piegarmi e ad abbattermi completamente” scriverà all’amico d’infanzia Franz Wegler.

Nonostante le numerose vicende tragiche di cui la biografia di Beethoven è costellata, non è sempre possibile associare le sue composizioni più tetre ai momenti drammatici: nei periodi più cupi scrisse anche musica serena, mentre la sua vita ordinaria seppe ispirargli brani estremamente conflittuali. Al periodo della perdita dell’udito, per esempio, risalgono sia la Quinta Sinfonia, che mette in musica il dramma del destino incombente, sia la Terza Sonata per violoncello e pianoforte, che è invece un’intensa manifestazione di spensieratezza.

Nella musica di Beethoven c’è anche molto humour. Quando era di animo ben disposto, tendeva a scrivere motti di spirito di un umorismo del tutto particolare: giochi di parole e battute sui nomi degli amici, che se di frequente erano mossi dall’affetto, altre volte implicavano un’acre ironia. All’amico compositore Friedrich Kuhlau, il 3 settembre 1825, inviò un canone umoristico tutto incentrato sulle parole “Kuhl nicht lau” (fresco non tiepido), ossia Kuhlau. Altro amico che ricevette riguardi musicali simili fu l’editore Tobias Haslinger, il cui nome venne scomposto e ricomposto al fine di creare frasi affettuosamente scherzose durante l’autunno del 1826. Beethoven non riservò umorismo e stravaganza solo ai piccoli lavori compositivi. L’Ottava Sinfonia ne è un esempio: nonostante i richiami al mondo classico di Haydn, primo fra tutti la lunghezza (Beethoven stesso la definì una “piccola sinfonia”), già dalle prime battute si insinuano sottigliezze e peculiarità tipiche di un nuovo modo di pensare. L’introduzione è gagliarda, manca un vero e proprio movimento lento e i cambiamenti armonici sono inconsueti: se con la Settima Beethoven incanta il suo pubblico, con l’Ottava lo disorienta. Questi sono anche i motivi per cui la composizione è una delle meno eseguite del repertorio beethoveniano, il che ha forse contribuito a celare ai posteri il lato più spiritoso e stravagante del Maestro. Nonostante ciò, la critica più illuminata del tempo apprezzò anche questi lavori. Schumann dirà che “… perfino a Lipsia, dove [le sinfonie di Beethoven] sono tutte conosciute e popolari, si nutre qualche prevenzione nei confronti dell’Ottava. Che invece per profondità ed umorismo non ha forse l’eguale”.

A ben vedere, il carattere di Beethoven aveva molti tratti dello Sturm und Drang, con tutti quei contrasti che lo portavano a una continua intemperanza emotiva nella quale, di sovente, momenti molto seri e profondi si accompagnavano a fragorose risate in grado di rasserenare l’animo più grigio.
Sono proprio l’ironia e l’allegria che si celano dietro lo sguardo cupo e accigliato del compositore a infondergli le energie necessarie a vincere la lotta contro il destino e ad alimentare il processo creativo di qualcosa di straordinariamente bello. A distanza di due secoli e mezzo, Beethoven non può essere più considerato solo come il genio dirompente che ha stravolto il vecchio per far largo al nuovo, ma è colui che attraverso la sua musica ci ha svelato il segreto della perenne freschezza del classico, suggerendoci un’ulteriore via per il progresso umano.

Illustrazione di Anna Pagliara

Teatro Regio Parma – Accademia Verdiana

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