Divulgatore per un giorno - Intervista a Daniele Vulpiani

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In quest’ottica nasce la rubrica “Divulgatore per un giorno”, curata dal nostro Marco Surace, che negli scorsi mesi ha guidato un gruppo di studenti di musica del Conservatorio Franco Vittadini di Pavia nella ricerca della loro personale voce e della loro identità di divulgatori musicali.

Il terzo articolo della rubrica è un’intervista di Francesca Laforenza al giovane compositore e docente Daniele Vulpiani.



Francesca Laforenza* intervista il compositore Daniele Vulpiani

Ho conosciuto Daniele Vulpiani lo scorso anno come nuovo docente dei corsi di Teoria e tecniche dell’Armonia e di Analisi delle forme musicali presso il Conservatorio che frequento. La sua figura mi ha presto stupito sia per l’interesse e l’attenzione che dimostrava nei confronti di noi studenti, sia per le sue personali competenze disciplinari e metodologiche, decisamente notevoli per un giovane docente alla sua prima esperienza. Incuriosita dalla sua personalità eclettica e da qualche accenno alla sua attività di compositore emersa durante le lezioni, a fine corso l’ho contattato per intrattenere con lui questa interessante chiacchierata [N.B. l’intervista è stata svolta prima della scorsa estate, ndR].

*studente al III anno del corso accademico di I livello presso l’ISSM “Franco Vittadini di Pavia

Francesca: Caro Daniele, durante quest’anno accademico noi studenti del Conservatorio Vittadini abbiamo avuto il piacere di conoscerti e apprezzare le tue lezioni, appassionate escursioni nel mondo delle forme musicali. Sappiamo però che la tua principale attività è quella del compositore e questo ci suscita più di una curiosità, a partire da com’è nata la tua passione per la musica…

Daniele: Ho iniziato da bambino all’età di nove anni, partendo come tanti dallo studio del pianoforte. Più che dallo strumento in sé sono rimasto subito attratto dalla musica di Bach che ho sempre ascoltato moltissimo. Ero stregato dalle Variazioni Goldberg nell’incisione di Glenn Gould del 1981, una interpretazione originale, particolarmente creativa. Da lì mi sono sempre più avvicinato alla musica antica, fino a lasciare lo studio del pianoforte e diventare organista. Ancora non pensavo di fare il compositore, mi interessava piuttosto smontare, rimontare le composizioni bachiane in particolare per comprenderle meglio e perfino tentare di imitarle.
Di fatto mi sono proprio avvicinato alla composizione a partire dalla musica antica che è fantastica anche per la sua forte componente improvvisativa: il basso continuo si fa in maniera estemporanea, il musicista può intervenire qui e ora in quel genere musicale come si presume si facesse all’epoca in cui è stata composta.
Intorno ai 19 o 20 anni ho avuto però un ripensamento: le possibilità che mi si prospettavano era fare il continuista per tutta la vita oppure proseguire gli studi nel campo della ricerca storica, mentre avevo nuove curiosità e volevo esplorare nuovi orizzonti.
Intanto stavo cominciando a scrivere qualcosa di mio, senza riferimenti storici precisi. I miei primi pezzi, magari un po’ ingenui, mi hanno stimolato ad iniziare gli studi di composizione veri e propri ripartendo sì dalle forme storiche e dalle infinite esperienze d’ascolto ma con l’intento di perfezionare le varie tecniche per arrivare ad esprimere le mie linee di pensiero musicale. Intanto ho concluso gli studi di Filosofia con tesi di Estetica della musica, in particolare sulla comparazione fra lEuridice di Jacopo Peri e l’Orfeo di Claudio Monteverdi.
Continuando gli studi ho sempre portato avanti lo studio delle partiture e parallelamente gli studi sulla percezione, su come le percezioni uditive prendono consistenza nella forma. E insieme mi interesso all’architettura.

F: Trovi un nesso fra architettura e musica?

D: Pe me non c’è solo un nesso, ma un’identità: si parte dallo studio dei materiali, le loro possibilità di utilizzo e di evoluzione nel tempo; si deve sviluppare un progetto tanto per costruire un palazzo quanto per realizzare un brano musicale.
Così mi sono orientato verso la contemporaneità, anche se il termine in sé vuol dire poco: vi sono compositori neoromantici che oggi scrivono musica nello stile di Puccini senza essere Puccini…

F: Ci hai detto quanto abbia significato Bach per la tua formazione. Quale musicista o genere musicale del passato invece non ascolti volentieri?

D: Sembrerà strano ma non amo ascoltare musica del periodo classico, compresi Mozart e il primo Beethoven, pur riconoscendo il loro indiscutibile genio: quel genere così quadrato e composto non è il mio, non mi appassiona. Amo l’irregolarità, in primis quella del Barocco: la forma può essere generata da diverse prospettive di un frammento, è già insita nella materia (Michelangelo diceva “la scultura è già nel marmo”) e ciò è ben diverso dall’avere una struttura predeterminata da riempire secondo le regole.

 

F: Con quali musicisti ha studiato composizione e quali hanno influito più significativamente sulla tua formazione artistica?

D: Ho incontrato tre figure importanti: Maria Luisa Balza con cui ho iniziato gli studi di composizione; mi ha fatto fare molta “accademia”, mi ha dato le basi e le strutture, mi ha insegnato l’attenzione al dettaglio.
Poi Daniele Bravi, mio docente del biennio al Conservatorio di Foggia, ora con cattedra a Latina. Aveva un approccio didattico particolare, per niente prescrittivo ma capace di metterti in crisi, obbligarti ad una continua riflessione e ricerca di soluzioni. È stato lui a insegnarmi la progettazione “architettonica” della composizione.
Infine, all’Accademia di S. Cecilia ho frequentato il corso di Alta Specializzazione con Ivan Fedele, che mi ha insegnato la professionalità.

F: Veniamo alla tua musica: a chi si rivolge?

D: A persone curiose. È musica non ricollegabile ad un periodo storico, quindi è per chi ha voglia e un minimo di abitudine ad ascoltare qualcosa di nuovo. Può sembrare musica strana ma ritengo che abbia senso: in fondo qualsiasi forma d’arte ha lo scopo di stimolare a porsi domande. Però lavorando sulla percezione cerco di proporre qualcosa che sia comprensibile, che l’ascoltatore sia in grado di processare, farsene un’idea e poi apprezzare o meno.
Non è musica per il grande pubblico perché ritengo che il grande pubblico non esista. Per una produzione di grande diffusione inoltre bisogna rifarsi ad archetipi e quindi non dire niente di nuovo, il che non ha senso per un’attività artistica creativa.

F: Quali canali usi preferibilmente per diffondere le tue idee musicali?

D: Al momento non ho un canale YouTube, però ho un profilo SoundCloud con buone registrazioni dei miei lavori. Per i giovani compositori (si è classificati tali fino ai 45 anni) le possibilità di farsi conoscere non sono tante. A volte, raramente, è possibile ottenere delle commissioni dove però impongono il minutaggio dei brani e l’organico degli interpreti. Attualmente sto lavorando ad un progetto discografico in collaborazione con amici compositori con cui ho un’ottima intesa ma è un progetto autoprodotto. Interessanti possibilità sono date da rassegne e concorsi di composizione. Quest’estate sono stato invitato in Finlandia per il Kaivos Festivaali, una rassegna di musica contemporanea che si tiene nelle sale ricavate da una vecchia miniera. Lo scorso anno vi avevo inviato un brano che è stato gradito, quindi mi hanno invitato a partecipare. Ho dovuto fare l’applicazione e inviare il nuovo pezzo che è stato vagliato dalla commissione e verrà eseguito al Festival. Sarò ospite dell’organizzazione per un mese!

 

F: Quindi progettualità, creatività e fantasia sono necessari anche per farsi conoscere! Quanto per i tuoi lavori impieghi la tecnologia, in particolare i suoni modificati elettronicamente?

D: Non ho mai scritto musica solo elettronica. Uso prevalentemente strumenti acustici. In qualche caso ho scritto musica per strumenti acustici ed elettronica.

 

F: Ci sono musicisti con cui collabori di preferenza?

D: Certamente, illustri sconosciuti come me!

F: Prima di diventare famosissimi…

D: Collaboro con ottimi musicisti con cui ho anche un grande rapporto di amicizia: fra i compositori, Matteo Tundo, conosciuto in Accademia, grande esperto di musica elettronica, e Pasquale Punzo, che insegna Composizione a Cosenza.
Fra gli strumentisti, Davide Cicconi, grande amico e fantastico clavicembalista: gli ho scritto un pezzo che abbiamo elaborato insieme e presentato più volte in concerto.
È stato molto interessante anche lavorare con il Quartetto Diotima: quest’ultimo eseguirà un mio brano al prossimo Festival di Graz. Sono due formazioni molto professionali, fra le migliori per la musica classica contemporanea.

F: Come si inserisce la tua recente esperienza didattica nella tua vita di musicista?

D: Di certo ho imparato a gestire meglio il mio tempo! E poi ho dovuto elaborare un metodo. Mi piacerebbe tanto insegnare Composizione ma mi ha appassionato anche tenere i corsi di Armonia e Analisi. Sono curioso di conoscere i percorsi, i repertori, le scelte, le aspirazioni dei miei studenti. Da qui ho tratto idee per almeno un paio di nuovi pezzi da scrivere!

F: Magari anche qualcosa per chitarra? Sarebbe bello! Più volte durante le lezioni è emersa fra gli studenti una certa diffidenza nei confronti della nuova musica come scelta di repertorio ma anche come scelta di ascolto. Come mai, secondo te?

D: Penso che in molti casi dipenda dai docenti di strumento o canto, molto legati ai repertori tradizionali e alle scelte più tecniche e ad effetto. Nei confronti della musica contemporanea o non si esprimono, oppure, se va bene, la reputano “interessante, vi sono bei suoni, c’è della ricerca però… la musica è un’altra cosa”. In realtà va fatta almeno ascoltare, sperimentare; magari non la si capisce subito ma lascia traccia.
Una certa responsabilità è anche dei compositori stessi: alcuni tendono a proporre musica troppo difficile o poco gradevole da ascoltare, come per rimarcare la loro originalità e superiorità rispetto al pubblico.
È il caso di depurare la musica da incrostazioni del passato, dai fenomeni di divismo, ad esempio: l’esperienza musicale è un fatto umano, la perfezione non esiste e il grande concerto non deve essere calato dall’alto, altrimenti la musica sarà sempre ad appannaggio di pochi. Per questo andrebbe portata il più possibile fuori dalle sale da concerto e dai teatri: nelle scuole (ma ben fatta), nei quartieri, nelle carceri… Questo richiede investimenti pubblici ma l’arte non può essere vincolata sempre alle logiche del profitto, deve coinvolgere il maggior pubblico possibile, deve essere condivisa con la gente.
Nell’URSS delle origini, poco dopo la Rivoluzione di Ottobre ebbe luogo un interessante esperimento: si formò un collettivo di compositori, musicisti e artisti vari, il ProletKult, formato da un amico di Lenin, Anatolij Lunačarskij. Non si era ancora affermato il dogma del realismo socialista e l’arte era davvero al servizio del popolo della rivoluzione: veniva portata, proposta, condivisa anche nelle fabbriche e negli altri contesti sociali. Ad un certo punto gli iscritti al collettivo divennero più numerosi degli iscritti al Partito Comunista, finché il processo staliniano di burocratizzazione non lo ritenne pericoloso per il sistema e ne determinò la chiusura. Il successo che ebbe fra la gente però fa riflettere: il vero coinvolgimento e la vera crescita culturale sono determinati non da ciò che viene calato dall’alto o confezionato per il consumo ed il profitto, bensì dall’esperienza condivisa anche se sperimentale e non perfettamente strutturata. È forse un’utopia, però… sarebbe bello realizzarla.

F: Ti ringrazio, Daniele, per la tua disponibilità e per le tante riflessioni importanti sulla musica e sull’arte ci hai proposto. Ti auguro le migliori opportunità di crescita professionale ed artistica. Aspettiamo la tua nuova musica!

Francesca Laforenza

 

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