I Mondi riflessi del Palazzetto Bru Zane: a conversazione con Alexandre Dratwicki

Il Palazzetto Bru Zane – Centre de musique romantique francaise, dedica un intero ciclo dal titolo “Mondi Riflessi” a tutti quei paesi, lontani o vicini, conosciuti nei viaggi o semplicemente immaginati, che sono stati d’ispirazione nella musica francese del XIX secolo.

La programmazione veneziana, dal 23 settembre al 27 ottobre, vede avvicinarsi il weekend inaugurale (23-24 settembre) in cui fra arie d’opera e duetti vocali e pianistici, dalla Spagna e dal Portogallo fino all’India e al Giappone, porterà il pubblico in giro per il mondo.

Abbiamo chiesto al direttore artistico del Palazzetto Bru Zane, Alexandre Dratwicki, di raccontarci la programmazione.

Il ciclo autunnale di quest’anno del Palazzetto Bru Zane prosegue nel solco dei festival non strettamente correlati ad un compositore o ad un gruppo di compositori (o compositrici!) ma con una tematica più ad ampio raggio, che possa trasversalmente coprire il secolo romantico della musica francese. Da dove è partita l’idea di questo tema?

Abbiamo avuto modo di lavorare su compositori nel cui percorso artistico il rapporto con il viaggio e con l’esotismo (o il folkore) – ovvero con l’alterità – riveste un ruolo fondamentale, in particolar modo Félicien David e Camille Saint-Saëns. È stato quindi naturale occuparsi poi in maniera più generale del tema del “rapporto con gli altri mondi” in epoca romantica. Tanto più che il XXI secolo ci pone nuovi interrogativi e rimette in questione il passato senza le concessioni o la miopia politica di un tempo: il razzismo, le aberrazioni del colonialismo, il turismo sessuale, le intollerabili caricature delle civiltà cosiddette inferiori… tutto questo si ritrova nelle varie arti, ma in maniera molto più sfumata e ambigua. Chabrier o Ravel nutrono una sincera venerazione per la Spagna, Saint-Saëns è soggiogato dal Maghreb, Félicien David stregato dal Medio Oriente… è di tutte queste cose insieme che si dovrebbe parlare, o quantomeno ascoltarne gli echi talvolta misteriosi nella musica romantica.

Parliamo ora dell’esperienza del pubblico. Il pubblico dell’Ottocento scopriva gli altri mondi (orientale, asiatico, sudamericano, ecc) attraverso la rilettura e, in alcuni casi, l’esperienza diretta del compositore, che portava con sé gli elementi ritmici e melodici delle culture visitate o con cui era entrato in contatto. Cosa può invece trovare in questi mondi musicali il pubblico di oggi, quello per cui tutto il mondo è a portata di click e che può raggiungere l’altra metà del globo in meno di una giornata?

Prima del 1830, l’esotismo musicale è spesso un costrutto teorico puramente inventato da compositori che non hanno mai viaggiato oltre i confini dell’Europa. I mezzi di trasporto erano così rudimentali che la Spagna, l’Italia, la Scozia o i paesi del nord sembravano dei mondi così lontani da divenire appunto esotici. In musica, gli stessi sistemi armonici o ritmici venivano talvolta utilizzati per simulare l’arte turca, giapponese o egiziana. Soltanto a partire dal 1830, e più ancora con l’avvento delle ferrovie e dei viaggi oltre oceano, la documentazione “scientifica” inizia a diffondersi e gli stili musicali si perfezionano. Bisogna poi attendere gli inizi del XX secolo e lo sviluppo dell’etnomusicologia perché ogni tipo di folklore o esotismo possa essere fedelmente riprodotto (o quanto meno essere preso seriamente in considerazione). Oggi che le problematiche ecologiche sollevano giustamente la questione del turismo di massa, bisognerebbe forse ricordarsi che il pubblico dei concerti del XIX secolo sapeva accontentarsi di viaggiare col pensiero grazie a queste composizioni intrise di un “Altrove” soltanto immaginato. Per il compositore l’importante non era tanto essere preciso, quanto accattivante. Un po’ come avviene oggi con i film o le serie televisive a tema storico, che non badano granché all’esattezza…

L’immagine copertina della stagione

Francia e Parigi sono da sempre elementi di attrazione per i mondi stranieri, lo furono nel 1889 con l’esposizione Universale e lo saranno il prossimo anno con le Olimpiadi del 2024 (dopo quelle del 1900 e del 1924). Ma al contempo gli artisti e in particolar modo i compositori francesi ritenevano essenziale il rapportarsi con l’esterno, a partire dal prix de Rome, anche alla ricerca di nuove strade artistiche. Quanto di questa caratterizzazione c’è nella programmazione e nell’identità dello stesso Palazzetto Bru Zane?

Per prima cosa bisogna dire che l’ispirazione esotica o orientalista consente di sottrarsi al giogo della morale. Dal momento che la storia raccontata non avviene in Francia, oppure in una Francia così antica (gotica o medievale) che sembra si stia parlando di un altro paese, si possono svestire i corpi, stringere relazioni intime, maledire gli dei, inscenare la depravazione più sfrenata, la brutalità più scandalosa, l’incesto, il crimine efferato… Carmen, la ribelle, non poteva certo essere francese. Quando i compositori del prix de Rome raccontano nelle loro lettere i loro viaggi attraverso l’Italia, è in fondo un paese sostanzialmente contadino quello che si compiacciono di ritrarre… Prendono nota delle armonie rudimentali dei pifferai nelle campagne più sperdute, descrivono escursioni sul dorso di un asino o su imbarcazioni di fortuna, ecc. Si avverte chiaramente l’esasperazione di una messinscena teatrale. Dal punto di vista musicale, questa materia grezza, non levigata, permette ai compositori di lavorare in ogni direzione: armonie sospensive, scale pentatoniche, intervalli di seconda aumentata, pedale prolungato, ostinato ritmico, misure irregolari ecc. In questo contesto possono trovare spazio l’approccio puntinista di un Debussy quanto la rudezza aggressiva di un Gustave Charpentier. La nostra programmazione cercherà di far ascoltare un ventaglio il più completo possibile di tutte queste sperimentazioni, dalle opere più naif di Félicien David alle più intellettualistiche composizioni dell’impressionismo. Per cogliere in pieno la varietà della proposta, è consigliabile assistere a un concerto in particolare, quello a due pianoforti del 24 settembre, dato che questa formazione rappresentava un vero e proprio laboratorio per i compositori.

Domanda di rito per quanto riguarda la presentazione di una nuova stagione. Addentriamoci negli eventi in programma: dall’evasione in territori esotici ai viaggi sulle sponde del Mediterraneo, passando per danze e melodie straniere. Che percorso possiamo tracciare attraverso i concerti in cartellone?

A parte un magnifico saggio di chitarra basato sull’ispirazione e l’influenza spagnola nei salotti di inizio XIX secolo, ogni programma racchiude al suo interno un percorso variegato. Abbiamo preferito non imporre al nostro pubblico un approccio scientifico rigoroso, in cui ogni sera si sarebbe approfondito un solo tipo di influenza, perché dopo un’ora di “cineserie” o “turcherie” ripetute all’infinito inevitabilmente ci si stufa. Sarà quindi possibile, in quasi ogni concerto, passare dall’Europa all’Oriente, dal Maghreb alla Polinesia, e interrogarsi – pur non essendo degli esperti musicologi – sulla pertinenza delle scelte e sul risultato ottenuto dal compositore: quella barcarola “suona” davvero italiana? Quella danza persiana non è forse un po’ giapponese? E questo esotismo “arbitrario” o impreciso impedisce veramente di assaporare fino in fondo una pièce, nondimeno molto riuscita?

La Scuola Grande di San Giovanni Evangelista, foto di Matteo De Fina

Ha citato la chitarra che fra gli usuali strumenti del repertorio francese (canto, voce, archi) è sicuramente uno strumento atipico, che difficilmente associamo alla Francia e al romanticismo francese. Con l’evento del 3 ottobre (conferenza e concerto a cura dell’artista Luigi Attademo) si potrà approfondire maggiormente questo falso storico. Che cosa può raccontarci di questo evento e di questo repertorio in particolare?

Così come la fisarmonica, l’arpa o il sassofono, la chitarra ha una storia antica che il più delle volte è ignorata. Eppure viene praticata con passione già in epoca barocca. In Francia, alla fine del XVIII secolo nasce una vera e propria “chitarromania”, che raggiunge il suo apice intorno al 1820: una raffinata liuteria produce strumenti eccezionali, i più grandi virtuosi spagnoli si trasferiscono o fanno tappa a Parigi e si moltiplicano le edizioni di una musica sempre più complessa e intrigante. È proprio quest’avventura “alla spagnola” – riprodotta col pianoforte sul finire del secolo da Albéniz e Granados – che verrà presentata quel giorno al Palazzetto Bru Zane. La nostra sala da concerto si presta perfettamente a questo genere di repertorio per via della sua acustica avvolgente e le sue modeste dimensioni. Perché ovviamente la chitarra è uno strumento da ascoltare da vicino. Sarà forse per noi anche l’occasione di attirare un pubblico che conosce soltanto la chitarra moderna – per non dire elettrica – e rimarrà stupito nello scoprire che c’è tutto un repertorio romantico già pubblicato in Francia.

Il 2024 sarà l’occasione per celebrare il centenario dalla morte di Gabriel Fauré e riscoprire non solo il suo lavoro ma anche quello dei suoi allievi. Cosa possiamo anticipare sul Festival che si articolerà fra marzo e maggio? La tradizione di ricerca musicologica del Palazzetto Bru Zane mi induce a pensare che qualche brano sarà una nuova scoperta per il pubblico. Cosa aspettarci in questo senso?

A parte qualche opera conosciuta, Fauré non è ancora una star della musica francese, ma è pur vero che per noi è un ottimo pretesto per far conoscere compositori che sarebbe difficile promuovere separatamente, come ad esempio Roger-Ducasse o Louis Aubert. Fauré è stato un insegnante che spronava i suoi allievi a coltivare la propria personalità. Per ognuno di questi sarà possibile ascoltare quanto deve all’insegnamento del maestro e quanto invece al proprio apporto personale. Anche per questo abbiamo prediletto le opere giovanili di questi compositori, dove l’influenza di Fauré si può individuare più facilmente. Inoltre, alcuni di loro, morti molto tardi, oltrepassano nettamente i confini della musica romantica francese… Sono da notare in particolar modo figure alquanto sorprendenti come il rumeno George Enescu, che visse diversi anni a Parigi e seguì l’insegnamento di Fauré al punto di considerarsi egli stesso un po’ parte della scuola francese. Una sorta di Cherubini o di Chopin del XX secolo.

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