Albéniz nell’Europa

di fine Ottocento

Autore: Redazione

1 Novembre 2018

et qu’il n’y a qu’un Albéniz sur terre, digne d’être Albéniz…
Gabriel Fauré

Nella seconda metà dell’Ottocento si cominciò a formare, anche se in modalità del tutto particolari e indipendenti tra un paese e l’altro, una nuova “corrente” musicale, a livello non solo europeo, che prese successivamente il nome di “scuole nazionali”. La figura musicale di un artista come Isaac Albéniz non è estranea a questa tendenza generale.
Iniziata in Russia dal 1860, con figure musicali come Michail Glinka  e Alekdandr Dargomynžky, e culminata con la nascita del cosiddetto Gruppo dei Cinque, composto da Milij Balakirev, Aleksandr Borodin, Tzezar’ Cui, Modest Musorgskij e Nikolaj Rimskij-Korsakov, l’ondata di nazionalismo musicale investì in breve tempo tutta l’Europa, facendo emergere la cultura “popolare”, propria di ogni Paese, e rendendo comune nella composizione musicale l’uso delle melodie tradizionali. Gli esempi più interessanti e di maggior rilievo di questo fenomeno, oltre alla citata Russia, furono i compositori boemi come Bedrič Smetana, Antonin Dvořák e Leóš Janáček, i norvegesi con Edvard Grieg, finlandesi con Jean Sibelius e, tra gli spagnoli, oltre al già citato Isaac Albéniz, abbiamo Felipe Pedrell, Manuel de Falla, Pablo de Sarasate, Enrique Granados e Francisco Tárrega, che hanno avuto il merito di guardare, nei loro concerti pubblici e nelle loro composizioni, alle nuove correnti internazionali.
È però necessario fare una precisazione a proposito di tutti questi personaggi, giacché risulta in molti casi eccessivamente riduttivo ritenere compositori come Sibelius, de Falla, Albéniz o Dvořák, esclusivamente come dei rappresentanti di scuole nazionali. La loro opera, nella maggior parte dei casi, oltrepassa il confine della musica nazionale, e numerosi sono i casi che dimostrano queste affermazioni: basti pensare alle Sette Sinfonie di Sibelius, o ai suoi poemi sinfonici, nei quali non compare neanche una sola volta un tema tratto dalla tradizione popolare. Stesso discorso per Albéniz, nella cui musica, pur abbondante (specie nelle opere giovanili) di temi a forte carattere folcloristico, non compaiono mai citazioni di musica popolare.
L’etichetta di musica folclorica appare, in questi casi, almeno riduttiva; inoltre, non in tutti i paesi si fondarono delle vere e proprie “scuole nazionali” incentrate sul folclore. Difatti, l’uso della musica popolare nelle composizioni d’autore era già stato determinante in tutto l’Ottocento (basti pensare alle Mazurke e alle Polacche di Chopin, o ai Ländler di Schubert), non solo in quei paesi alle cui musiche comunemente non si attribuiscono etichette di “nazionali”.
Questa definizione sembra quindi aggiungere un’accezione di subordinazione e tende a declassare i molti capolavori prodotti in questi paesi.

In Spagna la situazione culturale era ben diversa rispetto ad altri Paesi europei, per varie congiunture di tipo sia politico (lo sviluppo della mentalità borghese-liberale fu lentissimo) che culturale (ad esempio le Nove Sinfonie di Beethoven, ben conosciute in tutta Europa, impiegarono più di mezzo secolo a entrare definitivamente nelle sale da concerto). Ciò rappresentò un notevole ostacolo al rinnovamento musicale e agli influssi esteri – specialmente francesi – che compositori di altri paesi cercavano di proporre. Nonostante i ripetuti viaggi di Franz Liszt, Louis Gottschalk e altri notevoli musicisti, in Spagna non attecchirono né il sinfonismo né il pianismo romantico. L’interesse generale era rivolto soprattutto verso l’opera italiana, con sporadiche incursioni anche verso il wagnerismo (anche se il Tristan und Isolde fu rappresentato solo nel 1912).
Proprio per questa mancanza di uno sforzo comune “nazionalista”, come in Russia, appoggiato da intellettuali, la musica popolare (specie grazie alle operette, dette Zarzuelas) per un certo periodo del secolo ebbe una predominanza decisamente marcata sulla musica colta. Questo aspetto attirò molti compositori esteri in Spagna, in particolare in Andalusia, per attingere da questo folclore, che ai loro occhi aveva qualcosa di esotico e favolistico. Furono scritte pagine di grande interesse anche da molti compositori che della Spagna avevano solo sentito parlare tramite i racconti e i libri che giravano e che avevano maggiore diffusione in Europa (una fra tutte, l’opera lirica Carmen di G. Bizet), tanto che, per il numero complessivamente elevato delle composizioni, si potrebbe analizzare la storia della musica spagnola sulle musiche che hanno scritto i non spagnoli. Solo per citare i più importanti, ricordiamo Chopin (con il Bolero per pianoforte), Glinka (con la Jota Aragonesa per orchestra), Liszt (con la Rapsodia Spagnola per pianoforte), Lalo (con la Sinfonia Spagnola per violino e orchestra), Rimskij-Korsakov (con il poema sinfonico Capriccio Spagnolo), Chabrier (con il poema sinfonico España, e molte altre miniature pianistiche), Debussy (con moltissimi brani sia orchestrali sia pianistici), Ravel (con la Rapsodie Espagnole, il Boléro per orchestra e l’opera lirica L’Heure espagnole).
In realtà, fu quindi per il ritardo culturale del loro paese se sia Albéniz che Granados che de Falla emigrarono in Francia, per stabilirvisi e fondare paradossalmente dall’estero una scuola spagnola nazionale.
La scelta di Parigi non fu casuale per loro, in quanto la maggior parte dei compositori francesi (in particolare Debussy, Ravel, d’Indy, Bizet e Lalo) e in generale il pubblico parigino apprezzavano molto e guardavano con interesse agli sviluppi della cultura ispanica, spesse volte citata anche in opere francesi. La cultura spagnola era comunque apprezzata in Francia non solo per le sue esclusive particolarità, ma perché rientrava nel più ampio contesto dell’esotismo in musica; dall’ultimo trentennio del XIX secolo fino all’inizio del nuovo, questo nuovo interesse favorì la produzione di opere del calibro di Carmen di Georges Bizet, basata essenzialmente sul folclore gitano e ispanico, Samson et Dalila di Camille Saint-Saëns, incentrata in molti momenti su armonie tipiche dell’area nord-africana, e anche nell’opera Thaïs di Jules Massenet, ambientata nell’antico Egitto; si possono includere in questo panorama anche gli spettacoli di balletto provenienti dalla Russia. Tutto ciò contribuì a fare della Francia e di Parigi, per tutto il Novecento, un terreno fertile per la cultura avanguardistica e per le sperimentazioni della modernità.

Il carattere nazionale delle composizioni dei maggiori artisti ispanici non deriva esclusivamente dal “colore spagnolo” (che pure illumina le composizioni in modo assai vivace) in quanto esso risulta essere un connotato non del tutto peculiare, essendo già fonte di ispirazione di molti musicisti di ogni nazionalità.
L’elemento indigeno caratterizzante della scuola nazionale spagnola, ammesso che si possa parlare di una “scuola” vera e propria, fu il risultato della profonda influenza di Felipe Pedrell e Francisco Asenjo Barbieri, entrambi musicisti, i quali, oltre a lavorare intensamente nell’ambito teatrale, diedero un impulso allo studio approfondito della musica spagnola tra il XV e il XVI secolo. La loro attività di ricerca filologica e didattica, che si arricchì anche di importanti pubblicazioni di arie e musiche sacre rinascimentali, alla fine prevalse su quella compositiva, per la quale, infatti, questi musicisti sono scarsamente ricordati.
Le pubblicazioni di musiche e trattati dei secoli passati avevano già dato un certo impulso alle nuove generazioni dell’inizio del XIX secolo e i maggiori artisti spagnoli diedero un grande peso e rilevanza alla componente tradizionale emersa nei trattati e nelle raccolte di arie.
In seguito all’opera dei citati artisti, la situazione musicale spagnola ebbe un’improvvisa accelerata, che la riportò in breve alla pari con le tradizioni degli altri stati europei.
Albeniz
Isaac Albéniz nacque a Campodrón, in Catalogna il 29 maggio 1860 e morì a Cambo-les-Bains, nei Bassi Pirenei, il 18 maggio 1909. Dopo aver cominciato a studiare già in tenera età a Parigi con Antoine François Marmotel e a Madrid con Feliciano Primo Ajero, il suo temperamento avventuroso e irrequieto lo portò all’età di 13 anni a fuggire di casa e ad imbarcarsi per Portorico. In America diede i primi concerti, sia nel Nord che nel Sud. Una volta rientrato in Europa dovette affrontare un lungo periodo di stenti e privazioni, finché nel 1874 non entrò al Conservatorio di Lipsia, dove studiò con Reinecke e Jadassohn. Ricevette una borsa di studio dal Conservatorio di Madrid l’anno successivo per studiare a Bruxelles con Dupont, Gevaert e Brassin. Nel 1878 avvenne per il Nostro un incontro fondamentale per il suo sviluppo sia di pianista che di compositore; una volta a Budapest incontrò Franz Liszt e lo seguì a Weimar e a Roma. Dal 1880 diede moltissimi concerti e cominciò una vera e propria carriera solistica in Europa e in America. Nel 1882 conobbe Pedrell, entrando in contatto con il bagaglio di conoscenze che quest’ultimo stava accumulando e approfondendo. A dispetto dell’amore che Albéniz nutriva per le tradizioni musicali popolari del suo paese, cominciò in breve a non apprezzare più la politica e la cultura conservatrice spagnola. Questo lo portò a continuare la carriera concertistica fino al 1893 quando si stabilì a Londra e cominciò ad allontanarsi dalle scene per dedicarsi maggiormente alla composizione. S’impegnò molto in campo teatrale e collaborò con Francis Money-Coutts, librettista che utilizzava lo pseudonimo di Mountjoy.
Alla fine dello stesso anno pose la sua residenza fissa a Parigi, dove insegnò pianoforte alla famosa Schola Cantorum. Fondata a Parigi nel 1984 da Charles Bordes e Vincent d’Indy, la Schola Cantorum formò alcuni dei migliori compositori del ventesimo secolo (come Erik Satie e Joaquin Nin-Culmell). Pensata come un bilanciamento al Conservatorio, esclusivamente votato all’opera, la Schola formò per lo più compositori di musica strumentale. Il suo programma prevedeva un cospicuo revival della musica gregoriana e del XVI e XVII secolo.
Lì conobbe e divenne amico intimo di personaggi come d’Indy, Fauré, Chausson (alla cui moglie è dedicato il primo Quaderno di Iberia), Debussy e Dukas. Fu in questo periodo che lo stile del Catalano ebbe un profondo rivolgimento, contagiato soprattutto dalla musica francese, che lo portò alla composizione delle ultime opere, arrivando a dei veri e propri lavori pianistici di spessore artistico elevato, e non più solo dei “quadri”, seppur felici, anche se decisamente stereotipati e salottieri.
A titolo di curiosità, l’avvicinamento alla Schola Cantorum ispirò ad Albéniz una delle sue composizioni più particolari, Yvonne en Visite!, che apparì in una raccolta per bambini di vari autori, tutti appartenenti alla Schola Cantorum. Questo delizioso sketch contiene nello spartito anche annotazioni ironiche, alla maniera di Erik Satie, le quali descrivono l’arrivo della giovane pianista Yvonne Guidé che viene costretta dalla madre ad esibirsi.

Nel 1900 per via di problemi fisici dovette far ritorno al caldo clima spagnolo. Cominciò un lungo e duro lavoro insieme a Enrique Morera con la promozione di nuove opere liriche catalane. Quando si accorse che tutti i suoi sforzi erano inutili e le sue musiche non erano apprezzate dal pubblico spagnolo, tornò a Parigi, dove invece le sue composizioni erano elogiate e, soprattutto, eseguite. La residenza di Albéniz a Parigi divenne un rifugio per altri artisti spagnoli, come Turina e de Falla, che qui incontrarono un appoggio e una valida spinta.
Negli anni seguenti viaggiò molto in Europa, ma aggravandosi la sua malattia cercò riposo in un paesino dei Pirenei, dove dopo solo un mese di residenza morì.
La vita travagliata e spesse volte difficile permise comunque ad Albéniz di viaggiare moltissimo in quasi tutto il mondo, e ciò fu per lui un continuo stimolo di nuove esperienze. Dalla musica popolare spagnola, a quella clavicembalistica di Domenico Scarlatti (le cui sonate Albéniz eseguiva molto spesso in concerto), al pianismo trascendentale di Liszt, alla musica di Wagner ascoltata a Weimar, alle influenze modali della Schola Cantorum di d’Indy ed infine all’armonia esatonale di Debussy, gli influssi che questo artista raccolse furono davvero molteplici e ricchi di interesse. Nella sua opera compositiva, e in particolare nella Suite Iberia, essi sono tutti rintracciabili con grande evidenza, a dimostrazione delle capacità di “assimilazione” del loro autore, che seppe partire dalle musiche salottiere composte da giovanissimo, colme di motivi folclorici e di richiami alla tradizione clavicembalistica (ne sono un esempio le Sonate per pianoforte), fino ad arrivare a costituire uno stile molto personale nelle opere dell’ultimo periodo, in cui confluiscono tutte le esperienze e le influenze pregresse.
Debussy aveva, per questo compositore, una profondissima ammirazione sia artistica che umana, ed ebbe con lui un rapporto collaborativo e di reciproca influenza su vari livelli, ad esempio per quanto riguarda l’uso della scala esatonale, le cui tracce s’incontrano ben evidenti nel Primo Quaderno di Iberia, come anche nell’ultimo brano composto, Azulejos, rimasto incompiuto. Debussy compose a sua volta una suite orchestrale denominandola Iberia, più breve, ma ispirata al capolavoro di Albéniz.
Nel 1913, sulla rivista Revue musicale, Debussy scrive:

[…] Avendo prima guadagnato la fama di immenso virtuoso del pianoforte, Albéniz acquistò anche un’eccezionale conoscenza nell’arte della composizione. Senza assomigliare in nulla a Franz Liszt, egli lo richiama per l’abbondanza generosa delle idee. Albéniz fu il primo ad utilizzare le melanconiche armonie e il carattere particolare della sua terra d’origine. […] Sebbene non citi mai direttamente dei motivi popolari, la sua musica è stata scritta comunque da una mano imbevuta in quei motivi; motivi che il compositore ha interiorizzato fino a farli penetrare nelle sue composizioni senza che ci si possa accorgere della linea di demarcazione. […] Mai una musica ha raggiunto delle impressioni così sfaccettate e riccamente colorate, tanto da far chiudere gli occhi troppo abbagliati dalle immagini.

Non meno entusiastico il giudizio del compositore del secondo Novecento francese Messiaen, che in molti suoi scritti non manca di spiegare come egli sia arrivato alla formulazione del suo stile grazie proprio alla musica di Albéniz, e in particolare sugli ultimi lavori.
La Suite pianistica Iberia si pone quindi al di sopra di tutte le composizioni dell’autore, vero compendio dell’arte musicale spagnola, nella quale è possibile toccare con mano tutta la capacità di Albéniz di amalgamare tante esperienze musicali in un’unica opera, che riassume sia il clavicembalo scarlattiano, sia il pianoforte romantico tedesco, sia la colorata orchestra sinfonica, capace di infiniti timbri e sfumature, senza far avvertire dove l’uno comincia e dove l’altro riprende.

[parte 1/3]


Massimo Spada
 

Teatro Regio Parma – Accademia Verdiana

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