L'utopia di Brahms: la Quarta Sinfonia

“Quarta immensa, nel complesso una legge a sé stante, individualità del tutto nuova, d'acciaio. Trasuda energia senza precedenti dalla prima all'ultima nota”

Brahms iniziò a scrivere la sua Quarta Sinfonia nell’estate del 1884 a Mürzzuschlag, una sonnolenta cittadina delle Alpi austriache, terminando il lavoro un anno dopo. Nel mese di settembre del 1885, egli scrisse a Hans von Bülow, direttore dell’Orchestra di Meiningen, per programmare le prove e un’esecuzione. Brahms si mostrò preoccupato. Nutriva dubbi circa la sua nuova sinfonia, secondo lui troppo acerba e dura. Ma, nonostante le preoccupazioni del compositore, von Bülow riconobbe il merito del nuovo lavoro; dopo la sua prima prova, il direttore d’orchestra riferì:

“Quarta immensa, nel complesso una legge a sé stante, individualità del tutto nuova, d’acciaio. Trasuda energia senza precedenti dalla prima all’ultima nota”

Brahms stesso guidò l’orchestra di corte di Meiningen, dirigendo la prima della Quarta Sinfonia il 25 ottobre 1885 e, nonostante i suoi dubbi, sappiamo che vi furono applausi dopo ogni movimento. È quasi superfluo scrivere che oggi resta una delle sinfonie più eseguite di sempre, stabilmente nel repertorio.

Molti compositori abili nell’adoperare tecnicismi in modo isolato si sono rivelati essere sinfonisti mediocri e, viceversa, pionieri di nuovi generi sinfonici sono crollati sotto il peso delle loro stesse stramberie, non avendo gettato fondamenta veramente solide. Quando per Brahms arrivò il momento di scrivere la sua Quarta, il problema di riuscire a convertire in vera musica le prodezze tecniche era già stato ampiamente risolto. Per Brahms però lo studio e l’esercizio furono da sempre mezzi necessari a raggiungere un fine; senza questi elementi era consapevole che non poteva esserci vera musica, figurarsi una sinfonia. Solo con il pieno controllo della tecnica l’immaginazione avrebbe potuto liberare le infinite possibilità racchiuse nello spettro sonoro, coordinando e incastonando il tutto in schemi di sublime bellezza. Ed infatti, in questa sinfonia non si sente mai il cigolio di quei meccanismi interni. Qualunque prodezza contrappuntistica vi sia (e davvero più si guarda e più appaiono infinite), passa oltre l’ascoltatore, perché il tutto è sempre racchiuso dal caloroso spirito della musica. 

Tutto in Brahms sembra essersi sviluppato contemporaneamente: la sua inventiva e una tecnica espressiva adeguatamente controllata che vanno di pari passo verso l’obiettivo prefissato. Una fusione perfetta di due ideali, non necessariamente in contrasto fra loro. Per molti aspetti, come si vedrà, la Quarta rimane una sinfonia estrema, poiché costituisce la summa dell’arte brahmsiana e un punto di non ritorno non solo per l’autore ma anche per la ‘sinfonia’ classica e romantica come genere. Infatti, dietro la cornice tradizionale di questa composizione si nascondono arditezze ritmiche e armoniche, il plurilinguismo che va da quello del modello Kapellmeister barocco fino all’orchestrazione che, sorprendentemente, in alcuni punti prefigura quella ‘a macchie’ e di suoni legati per timbri di Debussy (si conceda questo confronto inaspettato).

 

Il Primo Movimento

Poiché nelle tre sinfonie precedenti ogni movimento è scomponibile in sezioni ben definite, i temi potrebbero essere analizzati e discussi chiaramente e senza troppe difficoltà. Con la Quarta invece la questione è stranamente diversa. Nel primo movimento, per esempio, la musica si sviluppa dalla prima all’ultima nota con quasi nessuna pausa, e con una tecnica così infallibile che si potrebbe quasi immaginarla come una lunghissima frase estesa fino alla fine del movimento in cui soggetti, episodi, contrappunti, armonie e strumentazione si uniscono miracolosamente in un unicum. E poiché ogni tema secondario o contrappunto assume una volta o l’altra un’importanza quasi primaria, risulta molto difficile decidere cosa si debba menzionare o no.

quarta brahms

Per iniziare si consideri l’incipit e il tema principale in Mi minore. Questo tema è il vero motore dell’intero movimento, e contiene già tutte le caratteristiche che vengono poi sviluppate a un notevole grado di potenza e bellezza: gesti musicali che denotano la maggior parte di ciò che verrà, sia dal punto di vista della digressione espressiva all’interno dello sviluppo che della forza cumulativa verso la coda. Al di là di ogni dubbio, questo incipit di Brahms, quasi in medias res, è tutt’altro che un semplice tentativo di ricerca dei mezzi per procedere. 

Questo celebre tema sinfonico, sospiro sommesso dei violini, non è che una melodia derivata unicamente da intervalli di terze discendenti (poi ascendenti). Quello di terza minore è l’intervallo musicale che lega ogni movimento agli altri in un insieme organico. Notare i legni che all’inizio fanno brillantemente eco a questo intervallo di terza minore in controtempo, e poi gli archi che introducono una figura ascendente per controbilanciare il sospiro iniziale. Sotto, una linea di basso sale cromaticamente, prefigurando anche la linea di basso ascendente del movimento finale. La tensione qui presente tra i contorni – le linee languenti che scendono verso il basso contro i gesti di ricerca che cercano ancora di salire verso l’alto – è davvero l’unico mezzo di contrasto in questa forma sonata A-B-A’, dove fra l’altro Brahms omette la ripetizione dell’esposizione. Si osservi anche come le due note che compongono ogni frase corrispondono alle sillabe a due piedi di un giambo (breve-lunga). Nelle frasi musicali sopra, la varietà intervallare ha una qualità recitativa che ricorda quasi l’intonazione della voce umana, lasciando ipotizzare che il tema d’apertura della sinfonia assomigli a un verso, o piuttosto a un distico di versi musicali. 

Un’altra grande conquista è che l’intervallo di terza con Brahms sembra aver preso così tanto il sopravvento nelle sue strategie d’invenzione melodico-armonica da aver sostituito i gradi quarto e quinto della scala (sottodominante e dominante). Questi, infatti, nel sistema tonale temperato sono i gradi fondamentali nella creazione di quella massima e necessaria tensione dialettica in musica, che possiamo sentire (per esempio) in numerose cadenze perfette a fine di brano. Da questo mutamento di sensibilità si evince che anche Brahms iniziava già a considerare erosa e consumata questa relazione (V-I) per certi aspetti, ma naturalmente non ancora non del tutto. Questo collegamento brahmsiano per distanza di terza vale anche per le tonalità raggiunte in altri movimenti in relazione a quella d’impianto, o anche all’interno di un movimento stesso nelle modulazioni o sezioni di sviluppo. Brahms quindi si attiene al suo intervallo di scelta, piuttosto che introdurre un secondo tema dal carattere diverso. Con questa fusione di procedure di sviluppo e variazione, Brahms dà il suo contributo all’integrazione motivica che sono evidenti già in molte sinfonie di Beethoven, tra cui la Terza e la Quinta. E in effetti il tema iniziale sembra sempre cantare di nascosto dietro ogni sviluppo, riecheggiando anche negli accompagnamenti. Un esempio: subito dopo l’incipit mentre viole e legni eseguono una versione elaborata del tema iniziale, quest’ultimo appare con risposte antifonali tra i primi e secondi violini in modo scarno e per ottave alternate.

Questo pregio di saper creare costanti rifrazioni del tema e accompagnarlo a se stesso in modo sempre variato è stato anche oggetto di critica di alcuni nella cerchia più stretta di Brahms, che vedevano il paradosso di un procedere dove l’essenziale è reso accessorio al non-essenziale. Eppure il maestro i contrasti necessari alla forma sonata li trovò sempre, come nella splendida melodia lirica e per corni e violoncelli (secondo tema) e una fanfara frammentata che dona notevole spinta propulsiva alla musica.

Se Brahms sottopone il suo materiale a un simile livello di variazione già dall’inizio, è facile supporre quanto diventi meravigliosamente intricato e ingegnoso lo sviluppo di questo movimento, paragonabile solo a certe manipolazioni di Mozart, per esempio nel finale della sinfonia ‘Jupiter’. Brahms trattiene sempre le caratteristiche tematiche, ma altera armonie, aggiunge note, crea varianti ritmiche, canoni e sovrapposizioni. È il trionfo del contrappunto: mai rigidamente accademico e sempre pieno di vitalità. Questa varietà garantisce un ascolto sempre nuovo della sinfonia, lasciando scoprire ogni volta nuove sfumature e combinazioni.

In particolare modo la coda di questo movimento, per tutte le sue 47 battute, merita grande attenzione. Il tema di apertura del movimento viene martellato a tutta forza dai violoncelli e bassi contro imitazioni canoniche nella maggior parte degli altri strumenti. Infatti, ogni strumento (tranne i timpani), guidato con forza a questa grande preparazione mostra quasi un desiderio smisurato di prendere il controllo del tema e renderlo proprio. La musica qui quasi collassa su se stessa nel dare sfogo alla sua tremenda forza, mentre la sua spinta magistrale verso qualche altro climax non ancora raggiunto mantiene l’intera orchestra in uno stato di massima agitazione. È un momento in cui Brahms, ad eccezione del secondo tema, in una sorprendente concatenazione di effetti tematici, armonici e ritmici, fa sentire all’ascoltatore come ogni piccolo tema stia lottando disperatamente per avere il sopravvento. Ma l’atmosfera della musica è fedele al carattere generale: la fine è raggiunta con il ritorno agli accordi diatonici austeri come all’inizio. Accordi dati con tale enfasi che sembrano negare il diritto della tonalità maggiore a qualsiasi posto nel movimento. Inoltre, soffermandosi a riflettere, è possibile sentire la cadenza plagale delle due battute finali che si accordano alla perfezione con l’armonia di La minore, che si trova proprio nella seconda battuta dell’inizio del movimento.

 

Il cuore della Sinfonia: secondo e terzo movimento

Il lento secondo movimento inizia con un nuovo solenne motivo di fanfara intonato prima da un corno, poi a due da fagotti, oboi e ancora i flauti. Infine giungono i clarinetti a completare questo ensemble di fiati allargato; il suono è quello di un organo celeste con il quale Brahms spalanca le porte verso un mondo ultraterreno, una notte dalle tinte chiaroscuro illuminata da una luce lunare, gelida e pallida. L’insolita sonorità deriva anche dall’uso del modo frigio che contribuisce a creare un’atmosfera arcaica in questo movimento.

Clarinetti e fagotti portano avanti la torcia della melodia (una terza sopra) mentre il pizzicato degli archi sostiene questa processione solenne. Lo sviluppo ‘cantabile’ del tema avviene con i violini, mentre il resto degli archi usa ancora il pizzicato. Di straordinario effetto è quando per la prima volta nel movimento i violini usano l’archetto. In questo movimento, infatti, troviamo grande varietà di colore orchestrale, e come quando Bach trattava e rielaborava un soggetto di fuga, anche con Brahms troviamo simile maestria nell’armonizzare o strumentare in modo sempre nuovo lo stesso materiale musicale. In seguito Brahms ricava degli scambi accentuati tra le sezioni dell’orchestra: legni e corni, poi archi, poi di nuovo legni e corni. Sei battute dopo a velocità rallentata questo motivo sarà la base per una meravigliosa melodia nei violoncelli, con un ricamo da parte dei violini nelle parti superiori.

Nella ripresa saranno le viole a tingere di colori scuri il tema del clarinetto, sempre con i misteriosi pizzicati degli archi ma ora anche dolci echi a cascata nei legni. Poco dopo giunge  un climax orchestrale di grande effetto, sezione dove Brahms mette ancora una volta in mostra le sue prodigiose capacità drammatiche. Tutto si sviluppa dai corni, raggiunge un picco della potenza, ma finisce per svanire in un miraggio. Stralci della dolce melodia dei clarinetti (ora anche con l’oboe) sopra le ondulazioni dei violini e viole, armonie sostenute nei fagotti e corni. I timpani, pulsanti, suonano in triplo piano. Qui la musica sembra disintegrarsi: un ritardando, silenzio e poi di nuovo i pizzicati e il clarinetto, malinconico, che riesce appena a chiudere il discorso. Qui pare quasi di vederlo Brahms, seduto nella penombra in una cattedrale gotica davanti a un organo, distratto momentaneamente e assorto nei suoi pensieri, poco prima di portare a termine il movimento chinandosi nuovamente sullo strumento. Infatti, risuona di nuovo la melodia iniziale in una inaspettata ripresa. Ora è potente e sicuro il pedale di Mi, gli arpeggi dei violoncelli eroici con ogni loro slancio. È un finale grandioso, certo, ma sempre ancora solenne e giocato sopra quel magico dialogo chiaroscuro fra la tonalità di Mi e Do maggiore. È l’ultimo sussulto dell’orchestra, che infine cede e si riposa.

Il terzo movimento è di umore allegro, bonariamente chiassoso. È l’unico delle quattro sinfonie di Brahms che si può considerare come un vero e proprio scherzo sinfonico. Brahms qui si è sentito in grado di lasciarsi andare, per così dire, aggiungendo anche ottavino e triangolo all’orchestra. È un movimento orchestrale dotato di energia concentrata, musica che rallegra lo spirito e l’umore. Un gradito cambiamento dopo un secondo movimento così intenso e drammatico. I timpani, sembrano essere il motore segreto di questo movimento. Il Fa in fortissimo alternato al triangolo, sembra reiterare il motto brahmsiano “frei” o anche “froh”. In effetti, quella nota Fa rimarrà con noi anche dopo che il movimento si sarà concluso e che Brahms porterà a conclusione sicura con i suoi passaggi vigorosi, tocchi lirici e sempre un generale sentimento di gaiezza. Forse una naturale reazione, uno ‘sfogo’ dell’autore, che scrisse questo movimento per ultimo, dopo la lezione di contrappunto che è il quarto ed ultimo movimento.

 

Quella famosa passacaglia…

L’ultimo movimento costituisce un vero e proprio prodigio della musica sinfonica. Ormai celeberrimo tra gli studiosi ed appassionati, si tratta di un imponente finale scritto nella forma di passacaglia. Brahms trasse ispirazione dalla centocinquantesima cantata di J.S. Bach il cui movimento finale, “Meine Tage In Dem Leide”, è una ciaccona, una forma tipicamente costruita su una ripetizione di un basso ostinato:

quarta brahms

Brahms ne intravide le possibilità feconde per la creazione di un movimento sinfonico, ma il suo basso si differenzia da quello di Bach, evitando le ripetizioni e usando più alterazioni cromatiche:

Grazie a questo espediente, egli avrebbe potuto costruire una serie di variazioni in successione, attenendosi a questa traccia elementare. A livello simbolico, quest’intenzione da parte sua dimostra quanto il suo interesse e studio quotidiano per le forme musicali storiche influenzassero il suo modo di concepire la composizione, più vicina a quella di un kapellmeister barocco che di un esuberante compositore romantico. Queste forme rivitalizzarono l’immaginazione di Brahms, e non è un caso se un altro esempio di movimento sinfonico su basso ostinato lo possiamo già trovare nel finale delle sue Variazioni per Orchestra del 1873. 

A livello formale quindi non vi è uno sviluppo sinfonico tradizionale in questo movimento, anche se si può riconoscere una macrostruttura ternaria. La passacaglia si divide infatti in 31 sezioni di 8 battute ciascuna: il tema più 30 variazioni, 4 battute di transizione che seguono e poi un’estesa coda di 59 battute. Eppure Brahms non ignora la retorica della forma sonata alterata, dato che temi come quello ascoltato nella seconda variazione o nella terza ritornano in altre variazioni a seguire. Come si addice a un movimento dal carattere veramente sinfonico, la musica di Brahms, nonostante la sua periodicità autoimposta, non vacilla mai e, sorprendentemente, non arriva mai a una serie di punti fermi. Di questo pericolo Brahms era ben consapevole, ma variando anche le sue armonie nel modo più ingegnoso e logico, egli riuscì a ottenere una continuazione così straordinaria nella musica che raramente ci si rende conto di queste ricorrenti divisioni di otto battute. Non avendo altra scelta che Mi come tonalità d’impianto del movimento, Brahms ha anche saputo evitare un’altra insidia, ossia un abuso dell’accordo di tonica sia all’inizio di ogni variazione che nella cadenza finale. 

Il movimento inizia in modo non convenzionale, con la prima inversione dell’accordo di sottodominante: la minore raggiunge un accordo di mi minore solo alla terza battuta. e all’ottava battuta si trova addirittura un accordo di mi maggiore. Il timbro dell’orchestra è solenne e austero, con i tromboni e il trombone basso (arricchito dal controfagotto un’ottava sotto) che ora finalmente fanno il loro debutto. L’effetto ottenuto è straordinario. Brahms evita anche che violini e viole suonino con l’arco se non fino a battuta 33. I loro duri pizzicati a battuta 9 (ossia la seconda entrata del tema di passacaglia) allontanano ogni presagio di stucchevole romanticismo. Quando finalmente suonano con l’archetto non vi è traccia sensualità: c’è solo una musica pura, priva di compromessi. Pur ripetendo il tema della passacaglia in forme diverse, il maestro di Amburgo resta sorprendente nella sua capacità di variarne il colore e l’armonizzazione, sfruttando l’intera gamma di possibili armonie: la triade minore, maggiore, diminuita e aumentata hanno tutte il loro posto sia nelle posizioni fondamentali che nelle rispettive inversioni. Gli accordi diatonici e cromatici sono tutti giustapposti con un equilibrio e una precisione scientifica. Ma anche i temi e i contrasti ritmici sovrapposti all’ostinato, sono di pari livello alla loro armonizzazione. Ogni nuova variazione pur essendo un’entità completa e a se stante è anche naturale sequela di quella che la precede. La musica cresce in modo logico di variazione in variazione.

Senza pari è la bravura di Brahms nel arrivare in modo coerente e impercettibile anche a variazioni dal carattere cupo e malinconico, persino dolce. Lo si può notare, per esempio, nella dodicesima variazione con quel esteso solo di flauto, il pedale di Mi nei corni e l’accompagnamento sui tempi deboli dei violini e le viole. La melodia del flauto tiene chi ascolta col fiato sospeso. In questa variazione diventa da un lato difficile trovare esplicitamente il basso originale il quale sembra essersi come dissolto, dall’altro però si concentra tutta la tensione dell’orchestra in un unico strumento. I tromboni rimasti in silenzio per dieci variazioni dopo l’incipit, tornano nella variazione no.14 per intonare un solenne corale di un sublime rituale. Il misticismo della musica qui è accresciuto dall’accompagnamento arpeggiato delle viole e violoncelli. Questo clima di ‘interludio’ prosegue anche nella variazione successiva, dopodiché la musica rinnova il suo titanico scontro con un’intensità ancor più grande. Brahms da questo punto in avanti non cederà più fino alla fine. Ogni variazione scorre nell’altra senza il minimo accenno di interruzione riuscendo persino a chiudere il cerchio della sua imponente sinfonia con le variazioni 27,28 e 29 che tornano ad essere cosi’ vicine allo spirito austero del primo movimento. Inoltre, la variazione finale con il suo forte marcato, è uno stretto che si basa sulla variazione precedente: un canone all’ottava. Ma basta trasportare queste note su di un intervallo di quarta per scoprire qui proprio il tema iniziale del primo movimento. 

 

L’essenziale è tutto

In un’arte così sintetizzata come una sinfonia, era convinzione di Brahms che ogni particella di tema o ritmo o anche di espressione dovesse crescere e svilupparsi in modo logico da ciò che l’aveva preceduta. Non erano dunque ammesse questioni in sospeso; erano permesse solo tante note quante sarebbero state necessarie per dare alla musica la sua perfetta espressione. Nulla di più. A causa di tutto ciò, le sinfonie di Brahms contengono esempio dopo esempio melodie usate di frequente come parte di un accompagnamento ad altre melodie. Brahms ha saputo dunque intrecciare il tessuto della sua musica in modo più stretto e preciso di qualsiasi altro sinfonista classico e di altri sinfonisti a lui contemporanei, salvo forse per un altro sommo maestro della sinfonia e contrappunto a lui contemporaneo, Anton Bruckner. 

Come nelle opere di J.S. Bach, nella musica di Brahms nessuna linea musicale sembra essere ‘sprecata’. Ogni singola linea canta e indica una direzione precisa – una cadenza, un climax o un punto di allentamento della tensione – la melodia principale, l’accompagnamento e soprattutto la linea del basso che sorregge tutta l’impalcatura. Ma a Brahms non bastava enunciare una melodia e accompagnarla con le armonie giuste. Le sue melodie dovevano sempre essere molto più utili allo schema generale di un’opera. Non possono quindi esserci sottoprodotti, residui o trucioli da nascondere in qualche angolo delle partiture. Quindi nessuna digressione e nessuna parentesi per lui: ogni frammento di melodia deve giustificarsi con la sua capacità di agire in qualità di accompagnamento se chiamato in causa. 

Si pensi, per esempio, alle tre note – Re, Do diesis e Re – che ricorrono proprio all’inizio della Seconda Sinfonia di Brahms. Queste tre semplici note sono poi presenti in una forma o nell’altra per tutta la maggior parte del movimento, riapparendo anche in forma ritmicamente alterata all’inizio del finale per diventare infine il nucleo del fluido movimento di crome che sostiene l’ampio secondo soggetto melodico. Sarà questo poi il ​​principio adottato integralmente anche dalla scuola modernista di Arnold Schoenberg (autore anche del celebre saggio “Brahms il progressivo”), ossia quella di variazione-sviluppo (developing variation). Schoenberg stesso era un perfetto esempio del principio compositivo brahmsiano esteso in chiave modernista, che in lui e i suoi allievi venne elevato a massimo sistema. Tema e variazioni ossia l’ovulo che feconda se stesso. E, non a caso, anche i due grandi allievi di Schoenberg inizialmente scrivono passacaglie sinfoniche traendo ispirazione da Brahms: l’op. 1 di Anton Webern è una Passacaglia per Orchestra mentre di Alban Berg resta un abbozzo giovanile di un’altra passacaglia orchestrale. Berg poi si servirà nuovamente della passacaglia, per una scena della sua celebre opera Wozzeck.

 

L’orchestra brahmsiana

Considerando tutte le quattro sinfonie, che sono tutte scaturite dalla maturità dello stile di Brahms, potremmo dire che la Quarta è la miglior candidata in quanto simmetria e rigore strutturale, ma forse non la prima in termini di variazione di colore nell’orchestra. Questo semplicemente per sottolineare che Brahms non si è risparmiato nei suoi sforzi per perfezionare i dettagli musicali di questa sinfonia, scegliendo solo quei colori che non interferissero con la chiara presentazione delle sue idee. L’amore di una vita di Brahms per il contrappunto e il classicismo si manifesta anche nella sua scelta per l’orchestrazione. Troppo spesso Brahms è stato accusato ingiustamente di essere stato ottuso o grigio come orchestratore, quando in realtà egli si sforzò continuamente per ottenere la migliore interazione tra le sezioni dell’orchestra. E in effetti, ascoltando attentamente è possibile sentire quanta sorprendente varietà di colori Brahms sia riuscito ad ottenere con il continuo gioco e dialogo fra le famiglie strumentali, elevando l’ingegnosa interazione di diversi ritmi e linee contrappuntistiche. 

La banale sovrapposizione con Brahms è relativamente rara. Ogni sezione dell’orchestra ha quasi sempre un suo peso e movimento indipendente ma che s’incastra perfettamente con il resto, fondendosi con altre sezioni all’unisono solo quando la musica si avvicina a grandi climax. La sua orchestrazione può essere definita come un taglio netto: solo ciò che la musica esige e nulla più, potente ed espressiva nella sua chiarezza. Anche le sfumature e le marcature delle dinamiche erano per Brahms questioni di estrema importanza. Stravaganti ed isteriche esplosioni sonore, come si trovano in molte pagine musicali a lui contemporanee, da quelle di Liszt a Wagner ma anche di un altro celebre compositore sinfonico come Tchaikovsky, erano per lui un anatema. Non si trova mai un fortissimo a caso quando un semplice forte può bastare. Da nessuna parte nelle sinfonie si trova il triplo forte e ci si può scordare l’uso da parte di Brahms di stravaganze strumentali come un tam tam, nacchere o l’arpa. Sarebbe stato l’equivalente di un pacchiano alettone colorato sopra una elegante automobile. 

L’espressività dell’orchestrazione brahmsiana e della Quarta Sinfonia si manifesta per ‘sottrazione’. Ovvero, quali strumenti non ha usato Brahms? E se li usa, quando e perché lo fa? I tre tromboni come si è già scritto, intervengono solo nell’ultimo movimento. Un compositore qualsiasi non avrebbe resistito alla tentazione di usarli anche nel primo movimento e persino nel secondo. I legni sono sempre a due, ma spicca l’uso del controfagotto, il cui timbro Brahms usa accuratamente e ingegnosamente per valorizzare i tromboni e i suoni ‘fondamentali’ gravi di certe sezioni. Che dire poi dell’inizio del movimento finale? Non è forse un colpo di genio l’omissione degli archi dall’esposizione del tema? Gli accordi della passacaglia in sequenza diventano così davvero parole austere e drammatiche, persino severe.

 

Cadenza finale: grandezza o nostalgia di grandezza?

La mente musicale di Brahms sembra essere sempre stata collocata al di sopra delle vanità del mondo, condizione forse necessaria per raggiungere certe vette d’espressione musicale. Brahms lavorava sempre con temi apparentemente innocui, semplici ma li adornava di contrappunto e altre melodie tanto libere quanto naturali, raggiungendo una sublimità dell’espressione riservata a pochi. Ciò che rende ancor più affascinante la figura di Brahms come compositore, anche risalendo addietro fino al suo primo Concerto per Pianoforte o la Serenata in Re maggiore, è che la sua musica lascia intravedere non solo una patina nostalgica e crepuscolare ma anche una sorta di spirito irrequieto e geniale; spirito che è alla fonte di tutta la grande musica. Modulazioni ardite, artifici contrappuntistici, melodia: tutto è guidato dal seme infuocato della vera ispirazione. La musica possiede un’anima viva ma allo stesso tempo riesce ad essere inconsapevole della struttura del proprio corpo o di come funzioni. Dopotutto, nella creazione di tutte le grandi opere d’arte un vero genio è poco conscio della sua abilità tecnica e si preoccupa solo dell’espressione vitale di ciò che ha in mente.

La Quarta Sinfonia contiene rivelazioni su rivelazioni in termini di artigianato e tecnica, ma raramente finiscono per sembrare gli effetti calcolati di un abile teorico o accademico. Eppure anche oggi non tutti sono in grado di riconoscere a pieno la grandezza di Brahms. Vi sono infatti frequenti critiche che accusano una supposta mancanza di vera ispirazione, melodicamente per esempio, che nessuna quantità di ingegnoso lavoro contrappuntistico potrebbe mai compensare. O, in generale, che a Brahms manchi quella abilità di sapersi lasciare andare completamente, di non aver saper cedere a esplosioni sonore puramente emotive e trascinanti. Naturalmente tutto questo è lontano dalla verità, che risiede in maniera tangibile (anzi, udibile) nella musica di cui disponiamo. Forse una motivazione per questo tipo di critica potrebbe essere che l’ascoltatore occasionale semplicemente non sia in grado di riconoscere con quale suprema logica e maestria Brahms abbia preso il suo materiale e lo abbia poi intrecciato in modelli di pura bellezza. Vero o no, dopotutto non vi è alcun male. Siamo forse tutti obbligati a guardare la musica attraverso una prospettiva analitica? No. Ma si può essere frettolosi nel giudicare, forse anche superbi? Questo sì. 

Dunque se il genio è la capacità di essere esatti, oltre che spingersi dove nessuno prima aveva osato andare, allora Brahms dimostra con questa sinfonia le ragioni e la rettitudine dei suoi metodi. Si potrebbe anche affermare, in maniera provocatoria, che prim’ancora di essere ‘bella’, la musica dev’essere esatta o, meglio ancora, perfetta. Usando queste parole, bellezza e perfezione, inevitabilmente ci si confronta con due concetti relativi, in un certo senso irraggiungibili e non quantificabili. Tuttavia ascoltando Brahms e messi di fronte a un suo lavoro appare chiaro, una volta che in noi si sono dissipate le sensazioni più immediate e di superficie, di quanto egli si sia sforzato nell’ottenere tale perfezione. L’ispirazione la lasciò sola, semplicemente perché l’ispirazione poteva prendersi cura di se stessa, venendo in suo aiuto ogni volta che sarebbe stato necessario e illuminando tutto ciò che era stato già creato dalla sua profonda determinazione.

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