Coincidenze: Dante, Sciascia e la verità che porta alla bellezza

Tre compositrici, due Coincidenze, così il Festival della Piana del Cavaliere celebra Dante e Sciascia.

Ci sono ricorrenze che è difficile non prendere in considerazione poiché le personalità da ricordare, nonostante possano essere lontane nel tempo, contribuiscono ancora oggi con le loro opere e il loro pensiero allo sviluppo della nostra società. Quest’anno le coincidenze hanno voluto che nei giorni del Festival della Piana del Cavaliere si è celebrassero il settimo centenario della morte di Dante Alighieri e il centenario dalla nascita di Leonardo Sciascia. Due figure che incarnano ancora oggi il ruolo dello scrittore e dell’intellettuale calato all’interno del proprio contesto sociale, che guarda con occhio critico, si confronta e soprattutto si scontra con le figure a lui contemporanee e con le idee che fluiscono all’interno della società. Due personalità sempre alla ricerca della pura verità, nella sua veste nuda e cruda che spesso coincide e si sovrappone a quella del bello, la cui scoperta non può che condurre ad un’esistenza libera, anche a costo di mettersi apertamente in discussione.
Dante, poeta del dolce stil novo, si mette a servizio di Firenze, la città di cui è figlio, ma da cui viene bandito a vita, proprio mentre è a Roma in un’ambasceria in nome della sua Patria; la fazione avversa è salita al potere e lo accusa in contumacia con queste parole:

“Alighieri Dante è condannato per baratteria, frode, falsità, dolo, malizia, inique pratiche estortive, proventi illeciti, pederastia, e lo si condanna a 5000 fiorini di multa, interdizione perpetua dai pubblici uffici, esilio perpetuo (in contumacia), e se lo si prende, al rogo, così che muoia”. [Libro del chiodo – Archivio di Stato di Firenze – 10 marzo 1302]

Accuse false e pesanti, che colpiscono Dante nella propria profondità di essere umano, ma soprattutto di uomo politico che ha dedicato la sua vita alla propria città; tanto che la voce del poeta all’interno della Commedia è anche quella di un personaggio politico, che non perde mai l’occasione per rimproverare e condannare il malcostume che, a suo modo di vedere, impera a Firenze e nel Papato guidato dal suo acerrimo nemico Bonifacio VIII.
Allo stesso modo Leonardo Sciascia, autore contemporaneo, è anch’egli uomo politico e più volte si incammina lungo la via dell’impegno civico: prima con il Partito Comunista Italiano, con cui viene eletto consigliere comunale a Palermo nelle elezioni del 1975 insieme a Renato Guttuso – esperienza che termina dopo due anni proprio per divergenze di idee con la dirigenza del PCI –, poi con i Radicali, con cui entrerà in Parlamento nel 1979 e che lo vedrà molto impegnato nella commissione d’inchiesta sulla strage di via Fani e sull’omicidio Moro.
Il suo impegno sociale però era già stato determinato dai suoi scritti, primo fra tutti Il giorno della civetta, dove per la prima volta nella storia della letteratura italiana, si portava in un romanzo quel fenomeno mafioso di cui all’epoca era anche solo difficile ammetterne l’esistenza. Le sue pagine mettono nero su bianco il ritratto di una parte della società, ritraggono il vero pur raccontando una finzione. La forza della sua scrittura e del suo pensiero risiedono lì, nella sua autonomia e nella sua libertà da qualsiasi gabbia ideologica, portandolo così a prendere più volte posizioni assai criticate, come quella del famoso articolo del gennaio del 1987, I professionisti dell’antimafia apparso sul Corriere della Sera. Posizioni che a posteriori sembrano sfiorare il limite della profezia e che testimoniano e sottolineano come una figura come quella di Sciascia, approfondita nella rassegna dalla conferenza Leonardo Sciascia e la bellezza politicamente scorretta del drammaturgo Fabrizio Catalano, manchi alla veloce e complessa società contemporanea. La capacità di leggere lucidamente gli avvenimenti della sua epoca grazie alle lenti della riflessione critica e indipendente, permetteva a chiunque di formarsi un’idea della direzione intrapresa dalla società, soprattutto alla politica, che un tempo chiedeva agli intellettuali di impegnarsi e di concorrere insieme allo sviluppo del Paese e che invece oggi li zittisce o perfino li irride.

In un luogo come Racalmuto, praticamente fuori dal mondo, il mondo riusciva ad entrare. Molti politici tra cui Mannino, Craxi, Martelli, Pannella, facevano visita a mio nonno per sapere come lui vedesse le cose che stavano accadendo nella società. Oggi avviene il contrario, l’intellettuale che parla viene subito additato e ci si chiede a che titolo abbia parlato o per conto di chi. [Fabrizio Catalano, durante la conferenza al Festival della Piana del Cavaliere, Leonardo Sciascia e la bellezza politicamente scorretta]

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Fabrizio Catalano durante la conferenza Leonardo Sciascia e la bellezza politicamente scorretta © Rossella Mele

Questi intrecci di vicende biografiche hanno permesso al Festival della Piana del Cavaliere di celebrare due giganti della letteratura con la musica, commissionando opere basate su alcuni loro testi a tre giovani compositrici: Beste Özçelebi, Livia Malossi e Daria Scia. Il progetto è nato dalla cooperazione con l’Accademia Chigiana di Siena, il Festival Impulse di Berlino e il Festival Gaudeamus di Utrecht, che hanno indicato le autrici. Le opere invece hanno visto la luce per la prima volta lo scorso 5 settembre, nel Teatro Mancinelli di Orvieto grazie all’orchestra residente del Festival – la Filarmonica Calamani – e alla direzione di Hossein Pishkar.
La sfida delle compositrici con i testi di Dante e Sciascia le ha stimolate a scavare a livello psicologico nella profondità delle prose e dei versi e a compiere una grande ricerca sonora; inoltre si sono dovute confrontare con convitati di pietra quali Liszt, Donizetti, Mercadante, Zandonai, Giuseppe Verdi, che hanno reso l’ottimo risultato finale ancora più soddisfacente. Avere tali giganti alle spalle non è stato facile, come non lo è stato interrogarsi sui diversi parametri sonori da utilizzare o sul trattamento della voce e delle parole, portate in scena da Giovanni Drago della Scuola Ronconi del Piccolo Teatro di Milano.

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Le tre compositrici al Teatro Mancinelli di Orvieto, da sinistra a destra: Daria Scia, Beste Özçelebi, Livia Malossi © Rossella Mele

Il viaggio di approfondimento tra le opere inedite è cominciato da quella bellezza e da quell’amore che il poeta ha sempre cercato negli occhi della sua Beatrice. Beste Özçelebi ha portato all’interno della sua musica il sonetto Ne li occhi porta la mia donna Amore (Vita nuova, cap. XXI), approfondendo e dando vita attraverso momenti sommessi e agitati, a tutta la dolcezza e la volontà spasmodica di Dante di rendere onore alla bellezza sua dolce amata. I versi del poeta, trattati in maniera strumentale, hanno interagito in modo efficace con gli episodi musicali all’interno della composizione, amalgamandosi perfettamente e mostrando continue rispondenze tra suoni e parole.
I profondi risvolti psicologici del testo dantesco hanno generato episodi inquieti e di sospensione all’interno dell’opera di Livia Malossi, che si è ispirata al sonetto Un dì si venne a me Malinconia (Rime, LXXII). Le discese vorticose delle note, la sua struttura circolare e la sospensione finale che lascia attoniti, porta in musica la complessa e intricata situazione mentale e sentimentale del poeta alle prese con il lutto della sua amata. Qui i versi di Dante assumono un ruolo più declamatorio con la musica che cerca un’adesione ai versi recitati.
La composizione di Daria Scia conclude la riflessione in musica sui due scrittori, con Su spiri d’oro ispirata a due brani di Leonardo Sciascia, autore che ha frequentato poco il mondo della musica ma che molto invece potrebbe dare con i suoi testi alla spinta compositiva degli autori. I testi declamati, In memoria (La Sicilia, il suo cuore) e la riflessione tratta da Dalle parti degli infedeli, suddividono il brano in tre episodi musicali pieni di tensione, all’interno dei quali gli elementi sonori fluiscono da una parte all’altra dell’orchestra, come a rispecchiare la nostra società fluida. La domanda cinica fatta da Sciascia, presente nella seconda parte del brano, sembra voler essere un risveglio traumatico, fatto però in nome di quella nuda verità che condurrà alla bellezza salvatrice del mondo.

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