Erik Satie e il brano più lungo della storia

Nella Francia del tardo ottocento, che era già molto bohemienne di suo, il tipo più bohemienne in assoluto era senza dubbio Erik Satie. Oggi universalmente noto come pianista e compositore appartenente alla corrente dell’impressionismo, fu uno dei personaggi più singolari della sua epoca.

Autore: Redazione

17 Maggio 2016

I suoi biografi raccontano che il giovane e ribelle Erik, dopo essere stato escluso dal conservatorio di Parigi si arruolò per la leva. Ma, avendo in breve tempo insindacabilmente stabilito che la vita militare non gli si addiceva, si autoespose volontariamente ad una tempesta di neve per buscarsi una bronchite che lo avrebbe debilitato dal servizio militare. Dopo queste vicissitudini, comunque, Satie divenne compositore studiando da autodidatta e la sua opera ebbe un ruolo fondamentale per tutto quello che seguì.

Al giorno d’oggi ci ricordiamo di Satie per le sue celebri raccolte di composizioni per pianoforte solo, le Gymnopedie e le Gnossiennes, che sono ormai talmente famose da essere state utilizzate persino da Lana Del Rey. Le raccolte sono probabilmente entrambe ispirate a tematiche dal carattere vagamente esoterico, visto l’interesse che la materia suscitava nel compositore. Ma se queste sono certamente le composizioni più note ed eseguite di Satie, il brano Vexations merita un discorso a parte. Si tratta di un insieme di appena 152 note, scritte in un periodo di tempo compreso tra il 1892 e il 1894 che nonostante l’aspetto apparentemente minuto rappresentano il brano più lungo della storia. Basti pensare che l’esecuzione del brano dura in media tra le 16 e le 24 ore!

Se apparentemente c’è una certa discrepanza tra il numero esiguo di note scritte nella partitura e la durata del brano, occorre notare che Satie aggiunse un’indicazione fondamentale: il brano doveva essere ripetuto nella sua interezza per ben 840 volte. Il perché di questa scelta eccentrica è difficile da stabilire. Già lo spartito infatti è lacunoso di suo: Satie infatti non si preoccupò di dare indicazioni riguardo al tempo al di fuori di un generico “Tres Lent“, scrisse le note con una notazione decisamente poco amichevole attraverso una scrittura che in gergo tecnico potremmo chiamare enarmonica, di non facile lettura nonostante la brevità del brano. Le uniche note dell’autore sembrano più che altro rivolte a dare una preparazione psicologica ai futuri esecutori che non a dare indicazioni musicali. Ah, e naturalmente non si preoccupò neppure di indicare lo strumento su cui il brano andava eseguito.

Alcuni studiosi hanno ipotizzato che la scelta di comporre un brano così lungo fosse dovuta alla verve goliardica di Satie che, in polemica con Wagner e i suoi epigoni, avrebbe composto quello che è stato ribattezzato il “Ring dei Nibelunghi dei poveri” (la durata media di una esecuzione completa del Ring si avvicina infatti alla giornata intera). Altri ancora prendendo in esame la struttura armonica del brano hanno ipotizzato che, trattandosi per la gran parte della composizione di intervalli aspramente dissonanti non risolti, la polemica di Satie fosse indirizzata contro quell’accademia che l’aveva scartato tempo addietro e lo avrebbe portato a scagliarsi contro i dogmi dell’armonia convenzionale e del tempo musicale convenzionalmente inteso (Satie si trovò spesso a comporre i suoi brani senza indicare neppure i limiti delle battute, salvo poi tornare sui suoi passi a seguito di uno studio approfondito del contrappunto tradizionale attorno alla fine del secolo). Sta di fatto che coloro che si sono cimentati nell’impresa dell’esecuzione integrale, di cui la prima fu di John Cage assieme ad una ricca squadra di pianisti nel 1963, si sono preoccupati degli orpelli filosofici nell’affrontare questa sfida titanica. La performance durò 18 ore e soltanto una persona tra il pubblico resistette sveglia per tutta l’esecuzione. E l’esecuzione fu talmente brillante, a quanto pare, da ottenere la richiesta di un bis.

Un gran finale per quel che forse è stato un grandissimo scherzo. Il più lungo della storia della musica.

Filippo Simonelli

Teatro Regio Parma – Accademia Verdiana

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