Giovanni Sgambati, la bellezza dimenticata

“Pianista e compositore eminente, assertore in Roma della musica strumentale”

Chiunque passeggi a Piazza di Spagna in direzione di Via del Babuino, dalle parti del Conservatorio, può imbattersi in questa memoria incisa sul muro del civico 93.
Qui è dove, per 37 anni, abitò Giovanni Sgambati.

Autore: Matteo Macinanti

19 Maggio 2016

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Parlare oggi di Sgambati vuol dire parlare di un personaggio pressoché sconosciuto ai più (“Sgambati? Non è certamente il mio compositore barocco preferito…”), ma, in ogni caso, non tenuto in gran conto nemmeno da coloro che praticano la musica più da vicino.

L’aggettivo però più appropriato per il nostro compositore romano è, per la verità, dimenticato.
Una delle principali cause di questo oblio ingiustificato risiede nel fatto che spesso nell’Ottocento italiano si inquadri unicamente il fenomeno artistico del melodramma, tralasciando e considerando minori tutti gli altri generi ed espressioni musicali.
La musica strumentale di questo periodo (non dimentichiamo Martucci) viene in tal modo presa in analisi solo da pochi curiosi che si rivolgono ad essa non tanto per fornire un giudizio estetico, quanto più per studiarla come espressione artistica di una cultura media.

Forse però il peggior ostacolo alla diffusione di tale musica si può ritrovare in un atteggiamento, tipicamente nostrano, di comparare, svalutandole, le musiche italiane con la Musica d’oltralpe.
Ecco allora che molti dei nostri non-compositori di melodrammi dell’800 risultano essere unicamente seguaci pedissequi dei grandi compositori mitteleuropei ed epigoni di poco valore che non hanno saputo apportare nessuna miglioria originale al panorama musicale europeo.

A risentirne di questo pregiudizio svelto e infondato risultano essere, di conseguenza, anche altre composizioni di Sgambati quali il Requiem e le musiche vocali da camera che presentano, al contrario, una scrittura raffinata e del tutto pregevole e che immeritatamente non vengono quasi mai eseguite.

Come controargomentazione a tale preconcetto inappropriato si può dire che l’esperienza compositiva di Sgambati per varî motivi non è tacciabile di provincialismo.
Infatti il nostro autore, le cui musiche venivano eseguite a Berlino, Londra, Parigi, ha varcato i confini nazionali, acquisendo in tal modo una dimensione a tutti gli effetti sovrannazionale: un vero e proprio compositore europeo, recepito tale anche dai suoi contemporanei.
Di lui infatti ebbero a dire personaggi dell’epoca del calibro di Wagner che poteva essere considerato “compositore nel senso più elevato, vero e grande, originale talento che desidererei presentare al mondo musicale”, e lo stesso Liszt molto lapidariamente disse “Sgambati comincia dove molti neppure finiscono”.
A riprova del fatto che il nostro personaggio non fosse rinchiuso nella semplice realtà della Roma umbertina ma che, anzi, era dotato di un ampio respiro europeo, risulta essere anche il fatto che fu proprio Sgambati a dirigere per la prima volta in Italia composizionucole quali la Terza e Settima di Beethoven, oltre a molte musiche di Bach, Schumann, Chopin e Liszt che faticavano a varcare la dogana nazionale.


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Di seguito qualche nota biografica per inserire il nostro compositore nel suo determinato contesto cronologico.

Nato il 28 Maggio 1843 a Roma da padre romano e madre inglese, il giovane Sgambati, già nei suoi primi studi effettuati con Amerigo Barberi, si rivelò molto portato per la musica.
Quando nel 1849 si trasferì con la madre a Trevi, in seguito alla morte del padre, accompagnò allo studio del pianoforte anche quello dell’armonia sotto la guida del maestro Natalucci.
Dopo essersi diplomato all’Accademia di Santa Cecilia, incominciò a farsi notare dall’ambiente accademico romano e, in particolar modo, da un personaggio di eccezione come Liszt, il quale risiedeva a Roma dal 1861.
Il legame che si strinse tra i due fu saldo per tutta la loro vita e fu foriero di ottimi risultati artistici.
Il celebre pianista e compositore ungherese vide in Sgambati un ottimo canale di diffusione delle proprie musiche e, difatti, il compositore romano, l’allievo di gran lunga preferito dal maestro Liszt, fu scelto come direttore della prima esecuzione della “Dante-Symphonie” e della prima parte dell’oratorio “Christus”.
Nel 1869 il ventiseienne Sgambati seguì il suo maestro in Germania, occasione che gli permise anche l’incontro con Anton Rubinstein, fondatore del Conservatorio di San Pietroburgo.
Un incontro ancora più importante avvenne nel 1876 quando Richard Wagner ebbe modo di ascoltare della musica da camera di Sgambati in occasione di un concerto tenuto a Roma presso la casa dell’ambasciatore tedesco.
Dopo essere rimasto ammirato dalle sue musiche, Wagner inviò una lettera di presentazione al suo editore Schott, il quale fu poi l’editore ufficiale delle opere di Sgambati.
A questo si sommò la fama crescente dovuta anche ai concerti che teneva in qualità di pianista e direttore di importanti formazioni: dapprima il Quartetto del quale facevano parte anche Ramaciotti, Forino e Pinelli, in seguito la Società orchestrale.
Ma la carica più prestigiosa che coprì fu quella di direttore del Quintetto di Corte della Regina Margherita, istituito dalla regina per fruire della musica da camera dell’amato Beethoven.

La fama del pianista romano si estese però anche all’estero e fu accresciuta da alcuni concerti (tra i quali ricordiamo quello tenuto a Parigi in qualità di rappresentante della nazione italiana, in occasione dell’Esposizione), e confermata dall’offerta del posto vacante lasciato da Rubinstein alla guida del Conservatorio di San Pietroburgo (incarico che venne rifiutato da Sgambati).

Ma l’esperienza biografica di Sgambati rivelò inoltre un altro importante aspetto ulteriore della sua vita, quello pedagogico.
Il nome del compositore romano è infatti legato indissolubilmente alla costituzione del moderno Conservatorio Santa Cecilia di Roma (l’allora “Liceo di Santa Cecilia”).

Sgambati, grazie anche all’amico violinista Ettore Pinelli, dopo aver aperto delle classi gratuite per gli studenti poco abbienti portati per la musica, ottenne dal governo pontificio lo spazio sul quale costituire il futuro conservatorio.
Fu così che il 23 Maggio 1870 venne sancita la nascita ufficiale della prima scuola musicale romana nata in seno all’antica Accademia di Santa Cecilia.

Quando morì nel 1914 nella sua città natale, Sgambati venne celebrato in tutta Europa come un illustre paladino della diffusione della musica strumentale e come un grande pedagogo, oltre che luminoso pianista e compositore.

Al giorno d’oggi però non possediamo più nemmeno la sua casa museo, venduta negli anni ’80, e i molti cimeli appartenuti al maestro giacciono inerti nei magazzini del Museo degli Strumenti Musicali di Roma.
I suoi manoscritti, invece, fanno parte di un fondo Sgambati, collocato presso la Biblioteca Casanatense di Roma.

[È proprio qui che, in occasione del centenario della morte, ha preso il via un “Progetto Sgambati”, portato avanti dal maestro Roberto Fiore, con lo scopo di rispolverare molte musiche ormai dimenticate o mai riportate in superficie.

Frutto di questo minuzioso lavoro filologico di approfondimento e revisione è stato proprio il recupero di alcuni manoscritti mai portati alle stampe.
Parliamo in particolar modo del Nonetto per Archi e del Cantabile, entrambi pubblicati dalla casa editrice Sonzogno.

Il Nonetto, composto nel 1866, quattro anni dopo l’incontro con Liszt, si colloca al centro di diverse spinte significative: le precedenti esperienze compositive del maestro, l’influsso delle innovazioni di Liszt e un certo carattere contrappuntistico, ma allo stesso tempo melodico, proprio della scuola italiana.

 

la prima esecuzione assoluta in Polonia del Cantabile per archi

Per quanto riguarda il Cantabile, il lavoro di ricostruzione dal manoscritto originale è stato ancora più difficile e travagliato.
Nonostante a noi sia arrivata una trascrizione dello stesso autore per violino e pianoforte, sappiamo, dalla classificazione del fondo Sgambati, che il destinatario originale del brano si identificasse più con un organico orchestrale non meglio definito.

Da un’attenta analisi della forma e delle qualità del brano, il maestro Roberto Fiore ha così deciso di tradurre il lavoro destinandolo ad un’orchestra d’archi, avvicinandosi così il più possibile all’idea originale del brano.

Sarà proprio quest’ultima composizione ad essere inserita come prima esecuzione assoluta in Italia all’interno del programma del concerto del 27 e 29 Maggio tenuto dall’Orchestra Verdi all’Auditorium di Milano.

Un’occasione unica di entrare in contatto con le musiche di questo eminente compositore troppo a lungo trascurato.]

Matteo Macinanti

Teatro Regio Parma – Accademia Verdiana

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