Successi dimenticati: Il Concerto di Marie Jaëll
di Margherita Succio - 1 Aprile 2024
La vita di Marie Jaëll è ricordata per un primato storico: è la prima donna a essere ammessa come membro attivo della Società dei Compositori di Parigi. Ma è molto altro; straordinaria pianista, compositrice apprezzatissima da colleghi illustri, insegnante, ricercatrice e figura cardine della pedagogia pianistica. Il suo Concerto per violoncello è un esempio di una scrittura colta, sensibile e di ampio respiro. Non solo regge il confronto con altri esempi contemporanei ma propone una pagina di grandissimo interesse e ricchezza. È dimostrazione di un’identità forte fondata sul pensiero, l’intelletto. Supera le barriere ridicole seppur attuali delle discriminazioni di genere perché ne evita gli argomenti, ne ignora le illazioni, perché concentrata per tutta la vita sui suoi interessi artistici più alti.
Talento babbano e incontri straordinari
La vita di Jaëll si rivela peculiare e costellata di incontri fondamentali con grandi maestri. Fin dai suoi esordi è possibile notare la costante presenza nella sua vita dell’elemento pedagogico e relazionale della figura dell’insegnante. Jaëll approfondirà questo mondo nella seconda parte della sua vita, attraverso la ricerca e la produzione di diversi volumi dedicati a questo affascinante argomento.
Nata nel 1846 a Steinseltz, un villaggio dell’Alsazia settentrionale vicino al confine con la Germania, Marie Trautmann vive la sua infanzia in una famiglia priva di diretti esempi musicali. L’incontro con il pianoforte è un suo personale e libero desiderio subito assecondato dalla madre, che ne seguirà per tutta la vita la carriera. Un primo incontro a soli 8 anni è quello con Ignaz Moscheles, insegnante di un altro prodigio, Felix Mendelssohn. Nel 1856, Rossini assiste a un suo concerto a Wildbad, e pochi anni dopo madre e figlia si trasferiscono a Parigi, dove Marie inizia i suoi studi di pianoforte insieme a Henri Herz, con risultati straordinari per la sua età.
Alfred Jaëll
Incontro fondamentale della vita di Marie è quello con il futuro marito Alfred Jaëll, che chiederà di sposarla nel 1865: un sodalizio personale e artistico che si rivela presto essere il fulcro della vita di entrambi. Alfred, uno dei primissimi pianisti europei a visitare l’America, incontra al suo ritorno figure fondamentali del romanticismo europeo, tra cui Brahms, Joachim, Vieuxtemps e Liszt, grande amico, la cui musicalità sarà di fondamentale ispirazione per Marie. Presto la coppia si stabilisce a Parigi come uno dei punti di riferimento della vita artistica della città. Ospitano un salotto dove si esibiscono spesso insieme. Marie, anche ma non solo attraverso questa collaborazione artistica, è accettata dalla critica con gli stessi riguardi del marito.
Marie non ha paura di vedere traballare tale posizione pubblica, e non rinuncia mai a vivere con slancio le sue idee, soprattutto politiche. Un esempio lampante si verifica durante il conflitto del 1870, con l’annessione dell’Alsazia alla Germania. Marie Jaëll, ferocemente alsaziana (chiederà la nazionalità francese nel 1871) decide di smettere di esibirsi lì. Una presa di posizione politica autonoma, svincolata dalle volontà del marito e anzi compresa, appoggiata dallo stesso Alfred, che segue la sua decisione.
La vocazione della composizione
Presto la vita di strumentista non sembra più bastare. Nel giugno 1880, a Colmar, si confida con un amico intimo, ammettendo come il desiderio di imparare a comporre continui a inseguirla. La morte prematura del marito nel 1882 è un triste incentivo di tale interesse, che si unisce quello per l’insegnamento. In questo periodo l’appoggio e l’esempio di Franz Liszt, che la incoraggia sostenendo la pubblicazione dei suoi Valses à 4 mains a Lipsia già nel 1876, si rivelano fondamentali per il superamento del lutto.
Ad accompagnarla nei suoi primi passi della composizione sono Camille Saint-Saëns e Gabriel Fauré. Nel 1887, con il loro patrocinio, è la prima donna ammessa alla Société des Compositeurs de Musique de Paris. Il critico di Le Ménestrel scrive di lei nel 1885:
«Il concerto tenuto da Mme Marie Jaëll nei giorni scorsi ha messo ancora una volta in luce le rare e preziose qualità di questa artista potente, appassionata e poetica, che solo a volte si potrebbe desiderare un po’ più femminista. Che la si consideri una virtuosa o una compositrice, un’esecutrice o una creatrice, Mme Jaëll è certamente una grande artista, in tutti i sensi, che accompagna i suoi ascoltatori attraverso ogni fase dello spettro emotivo e passionale.Il suo concerto in do minore è un capolavoro e lei lo ha eseguito in modo superbo, così come il concerto in mi bemolle di Liszt. Tra queste due potenti composizioni, si è dilettata a presentare alcuni brani di Chopin, Schumann, Hans de Bülow e di se stessa, nella cui interpretazione ha portato uno squisito sentimento e un senso musicale e poetico molto raro da trovare».
Alla ricerca del suono
L’ossessione particolare della pianista per il tocco lisztiano e la sua perplessità nei confronti dei metodi di studio basati sulla ripetizione crea in Marie Jaëll un nuovo interesse per la ricerca. Alla sua base c’è una corrente di pensiero sui cui ancora oggi si fonda lo studio e la sfida di ogni strumentista: la produzione del suono e soprattutto la ricerca di uno stato psicofisico favorevole alla liberazione, fruizione del proprio pensiero musicale.
Questa straordinaria curiosità la spinge fino a seguire studi di fisiologia, neurologia e psicologia presso l’Università Sorbonne, convinta che queste nuove scienze in rapida espansione fossero di vitale importanza, e che avrebbero arricchito la comprensione degli insegnanti dei meccanismi di apprendimento.
Il metodo che pubblica per la prima volta nel 1894-1895, Le Toucher, è basato sulla fisiologia. Opta per un approccio opposto alle pedagogie prevalenti, prevalentemente meccanicistiche. Il suo approccio sperimentale, incoraggiato dal fisiologo Charles Féré, primario dell’ospedale Kremlin-Bicêtre di Parigi, si rivela fondamentale nella stesura di questo lavoro. Marie Jaëll segue così la corrente di un nuovo insegnamento che avrebbe preso piede nel secolo successivo, che in quegli anni comincia a configurarsi anche in Germania e Inghilterra. Élisabeth Caland, insegnante di pianoforte a Tubinga e allieva di Deppe, padre dell’approccio fisiologico all’insegnamento del pianoforte in Germania, studierà con lei a Parigi nel 1897-1898.
[…] Mme Jaëll è certamente una grande artista […] Il suo concerto in do minore è un capolavoro e lei lo ha eseguito in modo superbo, così come il concerto in mi bemolle di Liszt.
Da Le Ménestrel, 1 febbraio 1885, p. 72
Il Concerto per violoncello e orchestra in fa maggiore
I. Allegro moderato
Eseguito per la prima volta nel maggio 1882 presso la Salle Érard dal dedicatario Jules Delsart sotto la direzione di Charles Lamoureux, il Concerto per violoncello in fa maggiore di Marie Jaëll abbraccia fin dalle prime battute un clima bucolico, pregno di immagini sonore legate al Nuovo Mondo, come farà Dvorák dopo di lei nel suo Concerto per violoncello. Affronta senza timore l’ampia tessitura del violoncello e le sue agilità tecniche, con chiari rimandi al primo Concerto di Saint-Saëns, composto dieci anni prima.
Il primo movimento, seppur breve, risulta completo, autonomo. Il Concerto si apre con una lunga frase dei bassi su pedale di trilli dei violini e delle viole, dal carattere cantabile e conciliante. L’esposizione in fa maggiore è un’ottima e bilanciata introduzione al Concerto che si muove per imitazione su una parte orchestrale, sapientemente costruita per assistere la voce del violoncello con carattere ed eleganza. Brevi momenti di agilità e impegno tecnico di gusto tipicamente francese anticipano lo sviluppo, che si fa largo con un espressivo e improvviso unisono degli archi. In una tonalità così lontana per colori e atmosfere come il do minore, la cantabilità del violoncello si fa più drammatica e concitata, mantenendo sempre la sua eleganza e maestosità.
L’orchestrazione non annega il violoncello solista neanche in questo breve episodio, ma anzi lo conduce con una leggerezza molto espressiva alla ripresa del primo tema, che conclude il movimento con un’aria serena e amabile.
II. Andantino sostenuto
Il secondo movimento è un breve momento pastorale, cantabile e di fine espressione, in cui trapela l’impronta francese tardoromantica nella gestione del materiale musicale, del tema melodico curato e incorniciato con sapienza e leggerezza, senza appesantirne l’espressione né renderlo frivolo. L’aria affabile e accogliente che pervade tutto il movimento s’individua facilmente dell’elemento puntato introdotto dall’orchestra, un genoma estratto dal movimento tipico della Siciliana che risulta vincente per la narrazione del movimento che scorre sempre fluida.
Gli archi aprono il movimento con una breve anticipazione del tema predominante di questo Andantino con grande morbidezza, ripresa e approfondita dal violoncello che può cantare nelle zone dello strumento più espressive e naturalmente più comunicative. I legni intervengono ricamando di commenti estrapolati dal primo tema intorno alla voce del violoncello, anche se nell’accompagnamento orchestrale del movimento prevale l’uso degli archi con una funzione avvolgente e accomodante.
L’orchestra sfoga tutta la sua l’espressività in tutti i suoi colori solo nella ripresa quando finalmente anche ottoni e timpani si liberano per un breve momento di quest’intensità contenuta, con nobiltà e senza nervosismi. La coda del movimento è ancora una volta in mano al violoncello, che riprende l’esposizione iniziale, ora influenzata dall’accompagnamento degli archi sempre più tranquillo e trasparente, ridotto a tremoli e pizzicati. Il finale ricorda quello di un’aria d’opera, scritto con eleganza e coerenza musicale, senza esaurirsi frettolosamente.
III. Vivace molto
L’ultimo movimento è un’interessante convergenza di stili e influenze diverse: si respira un tipo di virtuosismo violoncellistico esplorato sia da Fauré nel suo Papillon op. 77 sia nei Concerti di Saint-Saëns, ma è molto presente anche l’esplorazione della forma dello Scherzo. La breve introduzione degli archi ricorda molto, per struttura e gioco di voci, il carattere beethoveniano della sua Quinta Sinfonia.
Orchestra e strumento solista si divertono in questo ultimo movimento attraversandone l’agilità orizzontale e la leggerezza che Jaëll usa come elemento caratterizzante. Dopo la breve esposizione il violoncello ripropone il tema principale con un’attitudine più cantabile, vagamente canzonatoria a tratti, influenzando la risposta dell’orchestra che ne imita il carattere, pur mantenendo nelle voci interiori degli archi questo fuoco fatuo, quasi un’interferenza dei ribattuti che si percepisce appena all’interno di questa sezione ed è invece il motore utilizzato ed esplorato nello sviluppo. Il violoncello si muove su questo virtuosismo funambolo verso la ripresa che presenta una breve parentesi molto curiosa: una cadenza ricca di accordi, arpeggi, ottave segna la conclusione formale del movimento e separa la Coda finale, un ultimo sfarfallio del violoncello che conclude con carattere e brio questo Concerto.