Muti e la Nona di Beethoven
di Redazione - 15 Luglio 2019
al Festival di Ravenna
Nei Minima Moralia Adorno osserva come la filosofia autentica risieda in uno sguardo capace di considerare tutte le cose come si presenterebbero dal punto di vista della redenzione.
Osservazioni che sono tornate in mente ascoltando l’interpretazione della Nona di Beethoven diretta da Riccardo Muti al Ravenna Festival, progetto realizzato all’interno delle Vie dell’Amicizia grazie alla collaborazione con il Festival di Atene ed Epidauro.
Il Maestro napoletano, in replica a Ravenna dopo l’esordio nell’Acropoli di Atene, esalta la solidità strutturale del capolavoro sinfonico illuminandone i nodi cruciali in relazione alla prospettiva dischiusa dall’ultimo movimento.
È infatti la Freude, “scintilla divina”, ad attraversare come un fuoco sacro tutta l’opera.
L’Allegro ma non troppo viene scolpito con maestosità e imponenza fin dagli esordi del processo creativo, inteso da Muti nel suo duplice volto, divino e umano. La materia cosmica appare così sorretta da una legge fatale, come se la gioia, il cui tema è già enucleato nel primo movimento, fosse un destino consustanziale all’intero universo, la ragione stessa della sua genesi.
Se il Molto vivace rinuncia allo slancio dionisiaco, il trio acquista in questa lettura una straordinaria levità, una sorta di festosa anticipazione della visione celestiale da cui sboccia l’Adagio molto e cantabile.
Tutto si svela con coerenza nel finale, ove la Freude splende come una sorta di energia benefica che protegge l’arduo e talvolta doloroso cammino di formazione e autoconsapevolezza dell’uomo.
Il punto di svolta è collocato subito dopo la rievocazione degli incipit dei vari movimenti, quando il baritono, con la voce intensa di Evgeny Stavinsky, invita a elevare altri canti più gioiosi.
La coscienza si risveglia a nuova vita, nella prospettiva della redenzione.
Attraverso le variazioni Muti esalta proprio la trasformazione motivica che accompagna l’evolversi dal presentimento del principio primo (l’Ahnung di cui parla Schiller in An die Freude) fino alla radicale palingenesi spirituale, sorretta dalla consolazione dell’abbraccio solidale con il mondo intero.
La via per ritornare a quell’uno originario, superando l’angoscia e il buio, passa proprio attraverso la condivisione che insieme preserva l’unicità irripetibile dell’individuo, simbolicamente affidato dalle voci soliste.
Grazie al canto di Stavinsky, Maria Mudryak, Anastasia Boldyreva e Luciano Ganci, infatti, sempre equilibrato ma presente, il singolo esalta la propria dimensione individuale grazie all’incontro con il diverso e la collettività (a rievocare il zusammengehen, il camminare insieme, nel rispetto e accoglienza reciproca, auspicato da Hegel).
La cattedrale si erge maestosa, generi diversi si affiancano in questo inno che si innalza come una preghiera dell’intera umanità finché a sommergerla giunge un fiume di gioia, spirito celeste che tutto unisce in un vertiginoso abbraccio universale, come accadeva nel finale della Sonata per pianoforte op. 110.
Muti concerta in modo magistrale le molte compagini orchestrali (Orchestra Cherubini, Athens State Orchestra, City of Athens Philharmonic, Greek Youth Symphony Orchestra,Thessaloniki State Symphony Orchestra, ERT National Symphony Orchestra) e corali (ERT National Choir, Choir of Municipalità of Athens, Coro Costanzo Porta), ottenendo un bilanciamento delle masse non semplice da realizzare, considerando l’acustica del Palazzo Mauro De Andrè, gremito per l’occasione.
Affidare tale messaggio di fratellanza e speranza all’entusiasmo di giovani strumentisti rappresenta uno dei molti meriti del ponte di amicizia lanciato verso il cuore stesso dell’Europa, in un momento storico in cui il vecchio continente si interroga sulla propria cangiante identità.
Lunghi e commossi applausi.
Letizia Michielon