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Tullio Serafin

di Nicola Guerini - 7 Gennaio 2020

e la prima Aida in Arena

Domenica 10 agosto 1913 Verona cambiava improvvisamente e per sempre. Quando si aprirono i cancelli dell’Anfiteatro romano il delirio, la sorpresa e lo stupore furono immensi e a tratti incontenibili: 20.000 «moccoletti» accesi diventarono un manto vibrante sospeso nella meraviglia degli occhi e dei suoni. Tutte le stelle di quella incredibile notte divennero il soffitto del nuovo teatro, il Tempio dell’Opera all’aperto più grande del mondo.
Il giorno seguente il quotidiano di Verona l’«Arena» annunciava al mondo, con toni trionfalistici, il successo della prima rappresentazione di Aida, che celebrava anche il Centenario della nascita del Cigno di Busseto.
Ecco i giovani protagonisti della straordinaria avventura: il celebre tenore Giovanni Zenatello, finanziatore del progetto, l’impresario Ottone Rovato, il maestro del coro Ferruccio Cusinati e l’architetto Ettore Fagiuoli. Colui che fu scelto a guidare l’impresa “ciclopica” e la rese possibile fu un direttore d’orchestra già attivo nel panorama internazionale: aveva trentacinque anni e il suo nome era Tullio Serafin.

La scelta di portare per la prima volta Aida nell’Anfiteatro provocava grande entusiasmo e non poche perplessità: trasformare infatti quel luogo in un teatro d’opera avrebbe dovuto soddisfare la gestione degli spazi, il rapporto tra la buca dell’orchestra e il palcoscenico e soprattutto l’acustica.
Uomo mite ma estremamente severo e rigoroso, Tullio Serafin avrebbe considerato tutti questi aspetti e quindi avvallato la fattibilità del progetto:

[blockquote cite=”da «L’Arena» del 3 febbraio 1968″ type=”left”]“Invitai alcuni professori di orchestra: un oboe, un flauto, una tromba, un violino. Ebbi subito l’impressione esatta del risultato. Singolarmente magnifico, l’oboe specialmente per la qualità del suono penetrante; ma ridotto l’effetto dalle masse anche se numerose. Nel confronto con l’ampiezza dell’ambiente la relatività sarebbe stata rimarchevole. Così fu, così è. Però l’effetto generale non poteva che riuscire magnifico. Molte e ardue furono le difficoltà da superare; ma il risultato ripagò tutti gli sforzi, prima quello dei coniugi Zenatello.”[/blockquote]

In due mesi costruirono il nuovo teatro, formarono la compagnia di canto, istituirono il coro e le comparse. Trovarono collaborazioni spontanee tra gli artigiani e gli appassionati. Le chiese cittadine prestarono le sedie, il famoso cartellonista Plinio Codognato, autore anche dei manifesti di Pirelli e Cinzano, schizzò il manifesto a colori e i commercianti fecero dono a Giovanni Zenatello del pugnale lucente di Radames. Aida era pronta per andare in scena.
Furono fissate otto recite (10, 12, 15, 17, 19, 21, 23, 24 agosto) e Tullio Serafin assunse ufficialmente il timone dell’impresa musicale. Da quel momento il Maestro si legherà a Verona e alla “sua” Arena in modo indelebile, mantenendo fino all’ultima recita del 1963 un rapporto speciale con l’orchestra, il pubblico e la città che lo aveva conosciuto e amato.

Il celebre manifesto,  completo di tutti i nomi dei protagonisti, venne affisso a tutti gli angoli di Verona e diffuso in migliaia di esemplari in Italia e all’estero, ecco gli interpreti: Aida, il soprano Ester Mazzoleni; Radames, il tenore Giovanni Zenatello; Amneris, Maria Gay Zenatello; Amonasro, Arrigo Passuello e Giuseppe Danise; Ramfis, Mansueto Gaudio; il re, Carlo Maugini; Un messagero, Ugo Malfatti. Le scene furono di Ettore Fagiuoli; direttore di scena, Napoleone Carottini; Maestro del coro, Ferruccio Cusinati; Coreografia, Enrico Biancifiori; Prima ballerina, Dolores Galli; 120 Professori d’Orchestra – 180 coristi d’ambo i sessi – 36 ballerine – 40 ragazzi – 280 comparse – 50 corifee – 120 trombettieri – Banda sul palcoscenico – trombe egiziane – 30 cavalli – buoi. Abbonamento per 4 rappresentazioni: posti distinti L. 20 – primi posti L. 12 – palchi di platea L. 75 (escluso l’ingresso). /Prezzi normali d’ingresso: posti distinti L. 5 – I posti L. 3 – II posti L. 2 – III posti L. 1 – palchi L. 20 (escluso l’ingresso).

Superati tutti gli ostacoli tecnici, l’aspetto meteorologico rimaneva la vera incognita:

[blockquote cite=”Corriere del Polesine” type=”left”]Alla prova generale si affacciarono sull’ovale areniano, nuvole temporalesche provenienti dal Garda, che provvidero ad innaffiare abbondantemente i presenti. I curiosi in platea scapparono e anche l’orchestra fuggì al riparo per mettere in salvo strumenti e parti. Tullio Serafin, avvolto in un tabarro pucciniano, si dimostrò incurante di tutto. Fattosi portare un pianino verticale, continuò a provare la marcia trionfale pestando sui tasti con l’energia di un fabbro e gridando con quanto fiato aveva in gola. Annichiliti dalle vestigia gladiatorie che spiravano le antiche pietre e dall’imperiosità del comandante, coristi e figuranti si rassegnarono. Indossato il soprabito sopra gli abiti egizi, sfilavano disciplinatamente su e giù per il palcoscenico con l’ombrello in mano finché il boss non fu soddisfatto.[/blockquote]

Finalmente arrivò la sera della première e l’esito fu trionfale. Ecco il celebre titolo apparso il mattino seguente sull’intera pagina del quotidiano Arena e una cronaca dettagliata su ciò che si è vissuto in quelle ore.

 

[blockquote cite=”L’Arena” type=”left”]«Nel I Centenario Verdiano. Il grande trionfo dell’“Aida” nell’anfiteatro romano di Verona. Consacrato dal delirante entusiasmo di una folla cosmopolita. La vittoria del tenore Zenatello – La sua ardita iniziativa ed il successo strepitoso. 50.000 Lire d’incasso». […] «Si apre» […] Agli ingressi, specie quelli popolari, si accalca una coda di folla impaziente di entrare. E nell’attesa si urta, si pesta, si rimbecca. Il vallo brulica come ingombro di un’invasione di pecchie. Per rompere la folla e per passare avanti, bisogna lavorare a gomitate. I cancelli si aprono; finalmente! Agli ingressi popolari accadono delle scene tremende per entrare per primi. […] «La cronaca artistica» Descrivere uno spettacolo fantasticamente grandioso come quello di iersera all’Arena d’innanzi ad un vero mondo cosmopolita – la riproduzione cioè dell’«Aida» in commemorazione di Giuseppe Verdi – non è che tentar di rivivere l’incanto sublime 24 ore fuggite come, ahimè, tutto fugge quaggiù, ma rimaste impresse nella mente colla inobliabile rimembranza di un’apoteosi di Titani. […] Come per un colpo di magica bacchetta, l’immensa Arena s’immerge per tre quarti nell’oscurità, mentre i quattro fari degli obelischi, illuminano la sala nel palazzo del Re a Menfi. […] Il maestro Serafin vorrebbe attaccare, ma non può. Un mormorio sordo, strano serpeggia d’un tratto nella massa umana del pubblico, e ne dice tutta l’enorme sorpresa dinanzi alla straordinaria novità della scena. In fondo, la cupa marmorea scalèa confusa con l’azzurro del cielo, più innanzi, ergentesi dall’ombra, il portale maestoso: più innanzi ancora, sfolgoranti di luce, le otto colonne egizie, idealmente costituenti la parete della sala. Il mormorio della sorpresa si tramuta in un applauso di ammirazione. Subito dopo l’opera comincia, in un silenzio impressionante. Pare che l’Arena sia divenuta all’improvviso deserta. […]Francamente siamo convinti che mai si sia raggiunta, in nessun teatro del mondo, la meravigliosa potenza d’effetti che ottenne iersera nella nostra Arena la magnificenza fantasmagorica di questo celebre quadro, dalla sfilata del colossale corteo del Re (su una biga a 4 cavalli) comprendente circa 800 persone, – all’ingresso veramente superbo di «Radames» su una portantina retta da 12 «schiavi» – alle danze elegantissime del corpo di ballo e della signorina Galli. […] È una valanga di clamori, di applausi che scende, precipita, si rovescia dalla montagna umana, sono fragori di ammirazione che si sprigionano come dalle viscere di questa montagna vivente.[…] Le chiamate degli artisti e del maestro Serafin alla ribalta non si contano più. Ad un tratto il direttore d’orchestra fa un passo innanzi e, ad un semplice cenno della sua mano, tutti si tacciono. Un grido prorompe allora dall’anima di Tullio Serafin: «Viva Verdi!».[/blockquote]

Tra i numerosi ospiti di quella première vi erano Arrigo Boito, Giacomo Puccini, Pietro Mascagni, Leopoldo Mugnone, Luigi Illica, Massimo Gorki, Roberto Bracco, Ugo Oietti, M. Ildebrando Pizzetti, Zandonai, Montemezzi. Ma il vero protagonista di quella notte incredibile doveva essere il popolo. E così fu. La novità di portare in Arena “l’opera per il popolo” trasformò presto la città scaligera in un nuovo centro di attrazione internazionale in cui arrivava e soggiornava quel pubblico di globe-trotters che fino ad allora frequentava solo le grandi capitali della musica europea da Milano a Parigi, da Venezia a Bayreuth.

Assistere allo spettacolo in Arena divenne quasi un rito pagano che l’emozione, insieme alla commozione, rendevano memorabile: molti infatti ritornarono alle repliche per rivivere quel delirio popolare che non cessava,anzi cresceva. Il successo di quel 10 agosto rappresentò il più grande avvenimento cosmopolita del primo Novecento e segnò profondamente il cambiamento e il destino di Verona che diventò presto  meta di un pubblico sempre più internazionale.

Nicola Guerini

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