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Il “Padrino” del violoncello italiano: il primo Concerto di Nino Rota

di Margherita Succio - 6 Ottobre 2023

Circondato di riconoscimenti e collaborazioni con i più grandi registi italiani del suo tempo, Nino Rota è stato un compositore tra i più prolifici e poliedrici del Novecento italiano. L’orchestra, protagonista della sua opera per il cinema, ricopre un ruolo importante in tutto il suo lavoro, anche nel mondo delicato e complesso della musica per solista e orchestra. Il primo Concerto per violoncello, coetaneo della colonna sonora de Il Padrino, è un esempio calzante di questo suo legame con la forma ampia e articolata del Concerto.

Nino, il Padrino della musica per il cinema

Il primo incontro di Rota con il cinema risale al 1933, quando a soli 22 anni è impegnato nell’accompagnamento musicale del film Treno Popolare di Raffaello Mattarazzo. Da quel primo lavoro, comporrà quasi 140 colonne sonore in trentasei anni di attività. Muove però i suoi primi passi nel mondo della composizione diversi anni prima, quando a neanche 11 anni compone l’oratorio L’infanzia di San Giovanni Battista. Fin dagli inizi della sua formazione, fitta di incontri e viaggi importanti, Rota si distingue per le sue capacità e l’ironia intrinseca della sua musica che diventerà una delle sue firme stilistiche.

Fondamentali lo studio privato con Alfredo Casella a Roma e gli incontri americani con Rosario Scalero, uno dei suoi insegnanti presso il Curtis Institute of Music di Philadelphia. L’amicizia importante con Aaron Copland e Samuel Barber plasmano la gioventù di Rota e la sua identità musicale estremamente prolifica e intelligente, limpida nel suo carattere e nel suo sviluppo.

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Nino Rota racconta i suoi inizi e l’accogliente ambiente musicale della sua famiglia

 L’identità e le intenzioni chiare del Nino bambino si confermano in età adulta. Il compositore, ormai maturo e di successo, non abbandonerà mai la ricerca e l’interesse per la musica sinfonica, vocale e da camera. Il Concerto n. 1 per violoncello e orchestra (1972) nasce poco dopo uno dei suoi più grandi successi, la colonna sonora de Il Padrino, che lo vedono coinvolto in un marasma di problemi legali e amministrativi. Nonostante l’esclusione dall’assegnazione dell’Oscar – alla fine solo rimandata di pochi anni, con la vittoria del Premio Oscar alla migliore colonna sonora con Il Padrino – Parte IIe le accuse di plagio, i regolamenti serrati dell’Academy, Rota riesce a rifugiarsi negli impegni per il Conservatorio Piccinni di Bari, di cui è direttore dal 1950, e riporta l’attenzione a uno strumento da lui molto amato, al quale si era dedicato molti anni prima.

La canzone “Treno Popolare” di Nino Rota ed Ennio Neri, il suo primo contributo nel mondo del cinema

Il Concerto n.0 (1925)

Il primo incontro con la scrittura per violoncello solista si colloca infatti negli anni di formazione, probabilmente frutto delle frequentazioni della famiglia Rota, tra i quali spicca Enrico Mainardi, una figura fondamentale del violoncellismo italiano.

Enrico Mainardi

Questo Concerto per violoncello e orchestra è un pezzo breve, in unico movimento, che abbozza cantabilità e profondità alternata a un umorismo cupo e corposo tipici della sua scrittura. Il concerto si apre con un solo dei bassi e si trasforma in un breve episodio luminoso di archi e fiati; un breve unisono degli archi introduce senza anticipazioni il secondo tema importante più ritmico, incalzante, ironico. Il violoncello solista riprende il tema iniziale sopra il materiale sinfonico che ne asseconda, per colore e carattere, la voce. Nei suoi commenti e interventi autonomi l’orchestra mantiene il nervo e la matrice ritmica del secondo tema, che trascina il solista in un vortice più agitato nella sezione centrale dello sviluppo.

La forma di tutto il brano ricorda, nell’alternarsi del materiale e nella sua gestione, l’autonomia e libertà di un Fantasia. Rota non si accomoda mai su un ambiente sonoro troppo a lungo e gli elementi che introduce non vengono mai solo accennati e poi scartati. Si riconosce una grande maestria, seppur ancora timida, nella composizione di dialoghi dal carattere apparentemente coloristico o solo impressionistico, che acquistano invece valore e s’incastrano tra loro con equilibrio e logica.

L’introduzione brillante torna, apparentemente identica, nella seconda metà del brano, ora ripresa ed esplorata dal violoncello che sembra approfondire i caratteri di entrambi i temi. Gli ultimi minuti del Concerto vedono la linea più melodica nei commenti dei fiati intersecarsi al disegno articolato e dal carattere cavalleresco e trionfale di archi e violoncello, in un’apparente discesa incalzante, ricca dell’ironia rotiana. Un apparente ricordo del primo tema si scapicolla in un’ultima apparizione dell’unisono fastoso che chiude, così come si era presentato, questo brano affascinante, con trionfale leggerezza. Un’opera giovanile poco conosciuta ed eseguita, un germoglio dell’interesse di Rota per il violoncello dal quale fioriranno ben due Concerti.

I. Allegro

Fin dalle prime battute, il Primo Concerto rivela spiccata maturità e intenzioni molto più definite rispetto al primo esperimento giovanile. Il carattere serio e nobile dell’introduzione è esplorato, aperto come un libro e sfogliato nei suoi colori da archi e fiati autonomamente, prima dell’entrata del violoncello. L’introduzione è completa, senza essere logorroica, e ricorda per autonomia e gestione dei temi le Sinfonie introduttive di alcune opere dello stesso Rota.

È abbandonata l’estrosità della varietà: Rota si concentra sul dialogo drammatico ma mai frontale tra solista e orchestra. Fin da un primo ascolto si percepisce una sensazione di spazio; la drammaticità intrinseca di questo movimento non è ottenuta tramite la compattezza del materiale, l’agitazione di scambi serrati tra solista e orchestra, ma dal suo dispiegamento, dalla sua espressione estesa e maestosa. Il primo tema, presentato fin dalle prime battute introduttive, non perde il suo caratteristico nervo quando viene ripreso dal violoncello, ma non è neanche stravolto. Dalla ripetizione di alcuni commenti dei legni, la parte solista attraversa il materiale presentato dall’orchestra nell’introduzione con completezza e nobiltà.

L’introduzione del secondo tema, che germoglia da un commento dei legni, è un cantabile sofferto e tormentato, sospeso su un accompagnamento denso, la cui valenza ritmica è momentaneamente alleggerita solo nella sua complessità, ma presenta un’instabilità e un movimento più orizzontale, che richiede un fraseggio più esteso. Rota non si libera mai davvero del velo di un dramma serio e composto, ne indaga piuttosto le potenzialità, senza mai isolare il violoncello dall’orchestra, o viceversa. L’esplorazione del secondo tema e la conseguente ripresa sono caratterizzate da una collaborazione più intima, all’interno della quale il violoncello commenta lunghi interventi dell’orchestra e si appropria dei temi principali senza violenza o interruzioni improvvise, ma emergendo come dall’ombra dalla sonorità che lo circonda. Il finale, dal carattere più urgente, sembra chiudere il movimento com’era iniziato, solo per capitolare improvvisamente e bruscamente.

II. Larghetto cantabile

L’interruzione brusca che conclude l’Allegro isola questo secondo movimento, incastonato tra due ben più incalzanti e turbolenti. Il Larghetto Cantabile è un breve intermezzo di dolcissima malinconia, attraverso la quale il violoncello dà spazio finalmente a tutta la cantabilità che lo contraddistingue. Dopo la presentazione asciutta del primo tema, accompagnata all’estrema riduzione della sonorità dell’orchestra nei pizzicati degli archi, il carattere introduttivo si scalda e si trasforma, sostenuto da un’armonizzazione intensa e dall’entrata avvolgente dei fiati all’interno del discorso musicale. Il conseguente sviluppo accenna vagamente il materiale tematico del primo movimento, ma ne esclude la drammaticità più cupa. Lo riveste di un velo di fiducioso slancio, liberandosi dai ritmi dal carattere tragico e sostenendo con maestosità il carattere cantabile che descrive il movimento.

Una cadenza carica di attesa e tensione armonica inaspettata mutano completamente l’atmosfera. Il tema iniziale riemerge preponderante, ora con un accompagnamento mesto ma più presente degli archi, che assecondano i volti armonici duttili del tema del violoncello, mentre i legni si appropriano con gentilezza della ripresa. La lunga sezione finale si muove incerta verso la chiusura del movimento con accenni e rimandi a materiale già esplorato, senza risultare però in una reiterazione logorroica. Gli armonici naturali del violoncello interrompono timidamente l’ultimo accordo dell’orchestra per condurla a un ultimo intervento, un finale sereno e atteso.

III. Allegro

L’ultimo movimento si presenta fin da subito con un’energia umoristica, velatamente macabra. Una danza provocante, scanzonata e più luminosa del primo Allegro. L’intervallo di quarta eccedente dirompente che apre il movimento degli archi in unisono, secco, diventa elemento di richiamo – ricorda vagamente lo stesso carattere saggiamente bizzarro di alcuni lavori di Prokov’ev – che torna spesso nei commenti e negli interventi dell’orchestra, variandone l’intervallo in forma melodica e accordale. Il violoncello introduce senza preparazioni il primo tema giocoso e incalzante, ricco di movimenti cromatici assillanti, che Rota riprenderà e utilizzerà come accompagnamento dei bassi.

Il secondo tema emerge con serenità ed è affidato prima a oboe e violoncello, mentre i legni commentano con rimandi di materiale dell’esposizione, in una breve parentesi più calma e stabile. In questo movimento Rota si dedica con rigore al dialogo e agli incastri degli strumenti, utilizzando sapientemente i colori e gli equilibri dell’orchestra. Il materiale musicale, per quanto variato, mantiene sempre un’individualità e un carattere decisi. La parte del solista risulta sempre incollata allo sviluppo dell’idea musicale dell’orchestra e viceversa. Rota sembra interessato a una composizione più corale, coinvolgente, nella quale il solista non è una voce prevaricante ma un altro componente dello stesso discorso musicale.

Una breve interruzione apre un breve fugato dei legni, che il violoncello presto insegue per iniziare una sezione più complessa da un punto di vista tecnico. Ora è l’orchestra la voce predominante, che si muove intorno ai commenti incalzanti, e poi più cantabili del violoncello. L’elemento ritmico appare e riemerge in variazioni e incastri quasi asfissianti, fino a esaurirsi nel primo vero momento di stasi del movimento. Una breve cadenza del violoncello, ora solo in un brevissimo corale, ricco di corde vuote e movimenti armonici tonali e consonanti, risulta particolarmente inusuale in questo contesto.

Questa apparente sosta risulta presto un espediente quasi teatrale, una burla che svanisce con la stessa velocità con la quale era emersa. La seconda metà del movimento vede il violoncello alla presa con un alternarsi instabile e serrato di un cantabile complesso, dal carattere più mesto, e uno scatto improvviso di commenti agitati, tecnicamente impegnativi. La corsa verso il finale del Concerto si esaurisce nel richiamo di quarta eccedente che aveva aperto il movimento e lo chiude con uno strappo, un punto fermo.

Margherita Succio

Autrice

Proud Gen Z che prende più aerei che autobus, legge tanti libri perché ha l'ansia di non averne letti abbastanza.

Musicista curiosa e grande amante della musica da camera, è titolare della Borsa di Eccellenza della Confederazione Svizzera per ricercatori e artisti stranieri ed è autrice e content creator per Quinte Parallele dal 2021.

Attualmente frequenta il suo secondo Master of Music presso il Conservatorium Maastricht con Gabriel Schwabe.

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