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Esiste la “musica barocca”?

di Mauro Masiero - 26 Maggio 2024

“Barocco” nasce come aggettivo dispregiativo per definire qualcosa di bizzarro, informe, irregolare e accumulatorio, come questa frase

Il termine deriverebbe dal nome dato a una varietà di perla bitorzoluta (dal portoghese barrueco, con la stessa etimologia latina di verruca), ma anche da un nonsense mnemonico desunto dalla filosofia medievale: baroco, che assurge al significato di obsoleto e inutilmente concettoso. Questi due significati si intrecciano e si sovrappongono sino ad arrivare nelle mani degli alfieri del classicismo settecentesco, che brandiscono l’aggettivo barocco per descrivere la visionaria architettura del Seicento romano.

Succede insomma quel che i loro colleghi nel Quattrocento fecero dell’architettura medievale etichettandola come barbarica e roba da Goti; gotica, appunto. In un’epoca di furore catalogatorio come il tardo Ottocento, poi, lo storico dell’arte Heinrich Wölfflin elabora cinque contrapposizioni per distinguere l’arte rinascimentale da quella barocca.

Nota bene: il Manierismo come categoria storico-artistica non esiste ancora, benché il Parmigianino e il Pontormo, ovviamente, li si conosca eccome. È il 1888 e gli studiosi nutrono un’incrollabile fiducia nella tecnologia e nella scienza; è l’epoca d’oro della filologia e dello storicismo: una riscoperta massiccia ed entusiastica del passato, anche in chiave nazionalistica.

È il 1885 quando Guido Adler pubblica l’articolo che considerato l’atto di nascita della musicologia accademica

Barocco in musica?

L’architettura però rimane, come la pittura; la musica no. Già nel Settecento si era usato il termine barocco a proposito di musica, sempre in senso spregiativo, per indicare un linguaggio armonico percepito come complesso, sovraccarico, eccessivamente cromatico e dissonante. La musica, per il Settecento illuminista, è un innocuo passatempo e non esiste ancora l’idea di repertorio, così importante per noi oggi: la musica vecchia si critica, si dimentica e se ne compone di nuova.

Tutto questo inizia a cambiare quando la musicologia compie i suoi primi passi e si costituisce pian piano come disciplina autonoma, negli stessi anni delle dicotomie di Wölfflin: è il 1885, infatti, quando Guido Adler pubblica l’articolo che considerato l’atto di nascita della musicologia accademica. E così, a inizio Novecento, l’adolescente disciplina si dà un gran da fare per mettersi al pari con la sorella maggiore, la Storia dell’arte, e per dotarsi di una simile periodizzazione storico-stilistica, forte della convinzione che le arti, anch’esse idealmente sorelle, procedano secondo un omogeneo spirito del tempo. Si cerca quindi uno stile barocco anche nella musica, che viene descritto nel 1919 nell’articolo di Curt Sachs Barockmusik.

Parentesi storiografica (tranquilli, passa in fretta!)

Fare storia (anche della musica) ha molto in comune con la prassi musicale: come una partitura non dice molto se non viene interpretata, così i fatti storici di cui abbiamo notizia non parlano se non debitamente selezionati, contestualizzati e interpretati dallo storico. Le interpretazioni dei fatti del passato, quindi, non sono mai neutre, anzi: sono condizionate dalle necessità e dai pregiudizi di chi le propone, in maniera più o meno consapevole, come quando più persone descrivono il medesimo oggetto osservandolo da prospettive diverse; ma su questo ci piacerebbe ritornare in un altro articolo ad hoc. Le periodizzazioni con cui proviamo a orientarci nel passato, come abbiamo visto poco sopra, vengono create quasi sempre a posteriori e in un periodo identificabile; sono, in una parola, storiche e, come tali, passibili di lettura critica e riformulazione.

Storia di un fraintendimento

Chiusa parentesi, torniamo alla ricerca di uno stile musicale barocco tra le due guerre mondiali. Non c’è concordia nelle alte sfere della musicologia: Hugo Riemann, uno dei massimi musicologi del primo Novecento, non l’accetta. Il termine però è accattivante e fa presa sul nuovo pubblico della discografia. Un momento fondamentale nella nostra storia arriva nel 1947, con il saggio di Manfred Bukofzer Music in the Baroque Era, e qui iniziamo a divertirci. Bukofzer è uno studioso attentissimo e sa bene che non è possibile parlare di quei fatidici centocinquant’anni di musica come di un periodo unitario: come si tengono insieme Heinrich Schütz e Domenico Scarlatti, Claudio Monteverdi e Benedetto Marcello?

Ecco che quindi elabora una suddivisione in tre periodi – early, middle e late Baroque – che ancora oggi trova spazio in molta manualistica. E in Italia? Da noi il saggio di Bukofzer viene incautamente tradotto solo nel 1983 come La musica barocca, per i tipi di Rusconi. Bukofzer aveva tentato di andarci coi piedi di piombo riferendosi alla musica composta in un’epoca chiamata Barocco dalla Storia dell’arte; la traduzione italiana invece insinua l’esistenza di una musica intrinsecamente barocca. E quindi?

Due generi di fraintendimenti e due cortocircuiti

Parlare di musica barocca ci fa pensare a un periodo chiuso e remoto con caratteristiche ben distinte da quanto c’era prima e da quanto sarebbe arrivato dopo, più o meno uniforme e riconoscibile nel tempo e nello spazio. Nulla di tutto questo ha veramente senso, né è veramente utile per una comprensione della musica nella storia. Proviamo a vedere perché.

La «fallacia del passato omogeneo». Fraintendimenti cronologici

Quando si collocherebbe il barocco musicale? La risposta da manuale sta in due date estremamente comode e facili da ricordare: il 1600, anno dei primi esperimenti di teatro musicale e il 1750, perché Johann Sebastian Bach ha avuto l’eleganza di morire in una data tonda. Claude Palisca, uno dei più acuti studiosi del periodo e autore della voce Baroque nel Grove (il principale dizionario di musica in lingua inglese), accetta l’etichetta – con mille paletti e infiniti distinguo – ma propone come datazione 1540-1730, comprendendo quindi anche la stagione di più radicale sperimentazione del madrigale cinquecentesco e arrivando sino all’affermazione dello stile galante. È evidente che non possano esistere, nella storia, confini netti; è altrettanto evidente che chi vive in un’epoca non compie determinate scelte artistiche per il solo fatto di vivere in quell’epoca: il passato non è omogeneo, come l’uso dell’etichetta in questione può suggerire, senza considerare quel che accade in diverse zone d’Europa. Un primo cortocircuito sta nel constatare che la maggior parte di quella che in concerti e dischi chiamiamo musica barocca è composta nel primo Settecento, epoca che né la storia dell’arte né quella della letteratura chiamano “barocca”.

La «non contemporaneità del contemporaneo». Fraintendimenti stilistici

Riemann infatti nel 1924 propone di chiamare questo periodo proprio così: epoca del basso continuo

Quali sono i caratteri che attribuiamo al presunto barocco musicale? Brainstorming: fasto, ornamentazione, monodia, basso continuo, opera in musica, irrazionalità, capriccio, meraviglia, artificio, emozioni (o, come li chiamavano loro: affetti). Solo una di queste voci attraversa nel tempo e nello spazio l’epoca che oscilla tra gli anni Settanta del Cinquecento e i successivi due secoli, e solo quelli: l’uso del basso continuo. Riemann infatti nel 1924 propone di chiamare questo periodo proprio così: epoca del basso continuo. Obiettivo e inattaccabile, ma probabilmente troppo tecnico, poco evocativo e forse addirittura respingente per i non addetti ai lavori. Ma torniamo al perché è problematico parlare di uno stile barocco musicale. I caratteri sopra elencati alla rinfusa sono riscontrabili in molte manifestazioni musicali nelle epoche più diverse, ma soprattutto: molta musica composta in quel fatidico secolo e mezzo ha caratteristiche ben lontane da quelle sopra elencate. Volendo comunque individuare un’epoca storico-stilistica, perché chiamarla proprio con un aggettivo tanto qualificante dal punto di vista dello stile? Come secondo cortocircuito, prendiamo l’esempio del teatro musicale: tendiamo a chiamare opera barocca indistintamente l’opera veneziana del Seicento, l’opera riformata secondo i precetti dell’Arcadia, quella di Metastasio e della Scuola napoletana… insomma, ovunque si renda necessario l’uso del clavicembalo e magari l’intervento dei castrati, sino addirittura agli ultimi decenni del Settecento. Peccato che proprio chi si occupava di opera nel XVIII secolo tentasse continuamente di tenere a bada i suoi congeniti eccessi – proprio quelli per cui la chiamiamo barocca – in nome di una ideale contenutezza classicista.

Che vogliamo fare? Due proposte

L’insuperabile Silke Leopold inizia così la sua voce Barock dell’MGG, l’autorevolissima enciclopedia musicale di riferimento in lingua tedesca: «Il termine Barocco si è affermato così saldamente come denominazione del periodo compreso tra il 1600 e il 1750 […] che anche la prova della sua inutilizzabilità probabilmente non impedirà di continuare a usarlo». Applausi a scena aperta. Ma noi non ci vogliamo dare per vinti e suggeriamo non una ma ben due alternative, una di compromesso e una ideale.

Proposta 1: salvare capra e cavoli

Torniamo al titolo moderatamente cauto di Bukofzer e cerchiamo di parlare di musica e strumenti (altro capitolo spinoso su cui per il momento sorvoliamo) dell’epoca barocca. Certo, i problemi di cronologia e stile non sono risolti, ma elegantemente spostati sotto l’accogliente tappeto della Storia dell’arte. Ci dicano loro quali sono i limiti cronologici e stilistici del Barocco; noi, per conto nostro, studiamo e ascoltiamo la musica che si fa in quel periodo. E ci teniamo pure un termine che, ammettiamolo, riempie la bocca e fa sognare.

Proposta 2: la via della consapevolezza

Occuparsi di musica del passato non è fare rievocazione storica con parrucche e crinoline, ma farla vivere e fare in modo che abbia senso per chi la ascolta oggi

Una sola parola: cronologia. L’ideale sarebbe riferirsi a ciascuna esperienza musicale attraverso una cronologia di massima, anche vaga e approssimativa, che parla a tutti, è inequivocabile e presuppone consapevolezza. In questo modo Vivaldi, Bach, Rameau, Händel, Scarlatti e compagnia bella smetterebbero di essere compositori barocchi per essere semplicemente compositori del primo Settecento, o vissuti tra Sei- e Settecento; Monteverdi un compositore tra Cinque- e Seicento, Barbara Strozzi una compositrice del Seicento. Una minima assunzione di consapevolezza storica, accessibile a chiunque da qualsiasi apparecchio ci portiamo in tasca, può portare a un ascolto più attivo e consapevole.

Continuare a parlare di musica barocca, infine, crea esclusione: l’etichetta permette di accettare o rifiutare l’intero pacchetto, magari senza conoscerne il contenuto. L’invito è a coltivare un po’ di sano spirito critico riguardo a etichette e stereotipi: occuparsi di musica del passato non è fare rievocazione storica con parrucche e crinoline, ma farla vivere e fare in modo che abbia senso per chi la ascolta oggi. Vi siete mai chiesti se un certo compositore o una certa musica siano barocchi oppure no? Vi siete imbattuti in conti che non tornano? Non è un problema: ci possiamo liberare dai lacci che ci siamo imposti da soli. E buon ascolto!

Mauro Masiero

Autore

Sono un musicologo, insegno Storia della musica e amo farlo. Mi interessa studiare la musica nella storia e nei suoi contesti, più che come un'infilata di oggetti da museo. Vorrei che una cultura musicale di base fosse una cosa normale, non percepita come tecnica o elitaria.

Oltre alla musica, mi interessano le lingue; al momento sto studiando il greco moderno.

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