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Non solo Turandot: la Sonata di Franco Alfano

di Margherita Succio - 23 Luglio 2024

Al centro della vita di Franco Alfano ci sono l’opera, la raffinatezza della Francia del Novecento e il fantasma di Turandot. L’operista apprezzato da Toscanini e Serafin nasconde però dietro al successo un lato strumentale altrettanto affascinante e convincente, che esplora nei suoi tre quartetti per archi, un Triplo Concerto e la Sonata per violoncello e pianoforte.

Gli studi in Europa e la fulminazione per Tolstoji

Franco Alfano nasce nel quartiere di Posillipo a Napoli nel 1875, in una prospera famiglia di incisori di argento. All’età di 16 anni Alfano inizia gli studi di pianoforte insieme ad Alessandro Longo presso il Conservatorio San Pietro di Majella con il quale studierà anche composizione. Dopo pochi anni emerge l’esigenza di ampliare la sua formazione all’estero e si reca a Lipsia, dove incontra Salomon Jadassohn: nonostante non rimanga estasiato né soddisfatto dal suo insegnamento che definisce rigido e arido, la vita a Lipsia gli concede di accedere alla musica di compositori come Strauss, D’Albert e Busoni. Ad appena vent’anni incontra anche Edward Grieg.

Dopo una breve parentesi di tre anni a Berlino e un tour pianistico in Russia nel 1898 torna in Italia, cercando per diversi mesi librettisti con il quale collaborare su due sue opere giovanili, Miranda (1896) e La Fonte di Enschir (1898). L’Italia non accoglie la sua opera per il momento ed è a Parigi che Alfano trova lo slancio cercato in gioventù. In questi anni Alfano approfondisce un legame particolare con la cultura sofisticata parigina che risale alle sue radici famigliari nella figura della madre, francese, affinità esplorata e coltivata per tutta la vita. Nel 1902, il compositore assiste a un adattamento teatrale dell’ultimo grande romanzo di Tolstoj, Resurrezione, momento fondamentale della sua vita. Rimasto fulminato dalla potenza espressiva del romanzo, scrive con urgenza un’opera che verrà rappresentata a Torino presso il Teatro Regio nel 1904 sotto la direzione di Tullio Serafin. Alfano, che si era distaccato dalla scuola italiana verista, mantiene un rapporto amichevole e di stima con il direttore.

Il successo immediato di Resurrezione lo conduce presto a frequentare in veste di direttore e insegnante istituzioni italiane di prestigio, ricoprendo il ruolo di direttore del Liceo Musicale di Torino e di sovrintendente presso il Teatro Massimo di Palermo nel 1940. Nel 1950 Resurrezione raggiunge la sua millesima rappresentazione.

Puccini muore nel 1924, lasciando l’opera Turandot incompiuta. Arturo Toscanini chiede ad Alfano la grande responsabilità di terminare il terzo atto: sotto le numerosi pressioni del direttore che deve dirigere l’opera alla Scala di Milano due anni dopo, Alfano inizia a scrivere con urgenza a partire dagli schizzi lasciati da Puccini. Utilizza anche parte della sua opera La leggenda di Sakùntala, composta nel 1921. Quest’ultima, ricca dell’influenza di Debussy, sarà successivamente revisionata e riproposta con il titolo Sakùntala. Nonostante la fretta e l’urgenza imposta su Alfano, Toscanini deciderà di tagliare gran parte del suo lavoro in occasione della prima: la versione ridotta verrà eseguita dallo stesso e altri direttori per molti anni, fino al suo reinserimento nel 1982.

I. Assai lento

Alfano compone la Sonata tra il 1925 e il 1926, su commissione della pianista e mecenate americana Elizabeth Penn Sprague. Figura cardine della promozione della musica del Novecento, Elizabeth Sprague dedica gran parte della sua vita e interesse alla musica da camera e all’estensione del suo repertorio: commissiona e finanzia composizioni tra le più importanti del secolo, tra cui il Quartetto per archi n. 1 di Benjamin Britten, il Quartetto n. 5 di Béla Bartók, la Sonata per flauto e pianoforte di Francis Poulenc e, tra i compositori italiani, il primo Concerto per pianoforte di Gian Francesco Malipiero. Eseguita per la prima volta nel 1929 a Roma, la Sonata è un’opera densa – della durata di più di trenta minuti – immersa nel gusto francese e coraggiosa nell’uso del suono.

Il primo movimento si apre con un’introduzione del pianoforte dal retaggio modale e dell’uso del moto parallelo primordiale usato da autori come Ravel e Poulenc. Il primo tema appena accennato dal pianoforte è ripreso dal violoncello che trasforma la natura di questi primi minuti di musica in un vortice dal carattere quasi rapsodico, in un vago retaggio del romantico Impromptu riconoscibile nel materiale del pianoforte. La vaghezza è forse l’elemento che emerge con più evidenza in questo movimento: entrambi gli strumenti sembrano fluttuare, a volte con incertezza o al contrario lucida intenzionalità, tra la morbidezza più assoluta e il tormento, un aggroviglio di stenti e ancora momenti di slancio spensierato. Il secondo tema, che Alfano indica al violoncello con l’espressione sereno e molto cantato, si presenta per la prima volta come un’epifania, ed è interessante notare la vitalità e la ricchezza della parte del pianoforte.

I due temi principali cambiano volto con rapida estemporaneità soprattutto attraverso la gestione sapiente dei colori dei due strumenti e le loro potenzialità tecniche, che Alfano alterna e combina con grande gusto e originalità. Episodi di grande veemenza e complessità tecnica si trasformano in pochissime battute in transizioni contemplative; le due entità coesistono all’interno dello stesso discorso e si scontrano con crescente urgenza in un finale lungo, concitato e aggrovigliato su se stesso. Alfano chiede grande controllo strumentale e tecnico, elasticità e intenzioni musicali estremamente lucide per poter sostenere il discorso musicale senza far cadere nella confusione l’ascoltatore. La coda del movimento è un ottimo esempio: un ultimo episodio concitato, violento e, s’interrompe improvvisamente senza essere davvero risolto per lasciare spazio un’ultima volta alla rivelazione luminosa del secondo tema, a confermare come irrisolto il conflitto tra queste due entità che l’ascoltatore vede dispiegarsi nel corso di tutto il movimento. Risulta infatti un finale sereno eppure vago, ambiguo, che lascia dietro di sé la sensazione di un percorso tumultuoso e irrisolto.

II. Allegretto con grazia (come un’Aria di Danza)

Una revisione impressionistica e dal carattere infantile e a tratti macabro della forma dello Scherzo, il secondo movimento è forse il più interessante della Sonata sotto un profilo timbrico. Alfano unisce i pizzicati del violoncello su zone dello strumento poco usuali al colore della sordina come accompagnamento della Danza, dal carattere inizialmente ammiccante. La mano sinistra del pianoforte ne trasforma il carattere rendendolo grottesco, quasi macabro, distante per colore e intenzione dal tema danzante del violoncello: questo cambio repentino è solo l’inizio della metamorfosi dello sviluppo. Il materiale musicale si fa sempre più mosso e sfocia in un episodio che evoca fortemente la scrittura di Ravel sia nell’armonizzazione del tema nella parte del pianoforte, sia nell’accompagnamento di armonici del violoncello. Un episodio quasi solenne emerge quasi dal nulla prima della ripresa finale: ricco di accordi verticali del pianoforte e frasi declamate del violoncello, ricorda vagamente il carattere della Cavatine della Sonata per violoncello e pianoforte di Poulenc.

Un breve momento di esitazione conduce violoncello e pianoforte quasi a ponderare le proprie intenzioni, in un Tranquillo pensoso, dubbioso e malinconico. Alfano evoca forse in quest’alternanza quasi buffa di attitudini l’elemento formale dello Scherzo: la coda del movimento è un’ultima ripresa spensierata e innocua della Danza. È certamente il luogo all’interno della Sonata in cui Alfano gioca meglio con l’elemento dell’infantile esplorato molto nel Novecento francese.

III. Presto, appassionato

Abbandonato ogni guizzo infantile e gioco nell’Allegretto, il Presto finale si presenta da subito come il movimento più tumultuoso, complesso e musicalmente intricato della Sonata. Il movimento si apre con un incessante movimento del pianoforte che troverà parziale tregua solo alla presentazione del secondo tema. Il violoncello reagisce all’inseguimento del pianoforte con un lungo canto concitato e incostante, scritto sul registro grave e affaticato della quarta corda – Alfano inserisce indicazioni che passano rapidamente dallo stentato, poco indugiando, al disperatamente – che attraversa volumi e colori lontani tra loro: piani improvvisi, quasi spaventati, creano spazio a vere e propria grida e sussulti, dalla qualità ambigua. Un ultimo grido strappa all’ascoltatore l’illusione di un climax tragico, trasportandolo al contrario in un vortice impaziente durante il quale il pianoforte risponde ammiccando, distaccandosi completamente dall’iniziale tormento, mentre il violoncello lo rincorre con slancio, in un vero scambio di ruoli. La breve tregua che ne deriva è solo un’esitazione, una parentesi necessaria per alleggerire, momentaneamente, il discorso musicale: si percepisce in lontananza l’arrivo della ripresa, che Alfano fa emergere da una transizione violentissima, convulsa.

La ripresa è più tesa, meno tenebrosa. Alfano presenta il primo tema intorno al modo di re minore e la minore, dall’identità meno scura del sol minore iniziale. Non è una scelta solo coloristica: è la preparazione all’ultimo momento davvero sereno, che Alfano indica con l’aggettivo luminoso, prima di correre verso il finale della Sonata, episodio molto lungo e complesso. Ora in tempo tagliato, e sempre più mosso ogni nuovo episodio, violoncello e pianoforte precipitano verso il climax del movimento, in un vortice sonoro che evoca il chaos dei locali parigini più popolari, la perdita di ogni ordine in favore di una serie di cluster finali contro i quali entrambi gli strumenti sembrano quasi schiantarsi.

Il pianoforte è lasciato finalmente solo, abbandonato. Alfano gli concede poche battute durante le quali emerge il vero dramma ora svelato in tutta la usa potenza, scevro di veemenza o sarcasmo, immobile. Il violoncello s’inserisce balbettando, oscuro, senza trovare vero sfogo nell’accompagnamento del pianoforte che ora è secco, imperscrutabile. Deve attendere l’accordo luminoso e funereo del pianoforte di re maggiore per risolvere, finalmente, l’esitazione abbandonata nel primo movimento: Alfano ripresenta sorprendentemente il primo tema della Sonata, che qui trova la sua vera identità, come se si fosse potuto compiere solo attraverso il tumulto del Presto finale. Ora il violoncello può davvero concludere e sfogare tutta l’espressività di quella morbidezza vacua, accennata e mai veramente esplorata prima, dilatando il tempo, che rallenta sempre di più, e volume, che si estingue lentamente, assottigliandosi.

Le ultime battute della Sonata calmano definitivamente entrambi gli strumenti che sembrano sciogliersi insieme al materiale musicale. Il violoncello esaurisce se stesso attraverso gli armonici, i suoi suoni più primordiali, mentre il pianoforte ci concede la sua luce più limpida, concludendo l’opera con un accordo di sol maggiore morbidissimo, ma denso. Un ultimo vezzo, un sol grave finale, breve, è un gentile punto fermo scritto a matita alla fine un racconto.

Margherita Succio

Autrice

Proud Gen Z che prende più aerei che autobus, legge tanti libri perché ha l'ansia di non averne letti abbastanza.

Musicista curiosa e grande amante della musica da camera, è titolare della Borsa di Eccellenza della Confederazione Svizzera per ricercatori e artisti stranieri ed è autrice e content creator per Quinte Parallele dal 2021.

Attualmente frequenta il suo secondo Master of Music presso il Conservatorium Maastricht con Gabriel Schwabe.

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