Un’immagine di Arturo Toscanini
di Lorenzo Papacci - 25 Marzo 2019
La data è quella del 30 Giugno 1886, siamo a Rio de Janeiro nel Teatro Lirico. L’aria che si respira è di tensione, il pubblico rumoreggia copiosamente, non per i cattivi cantanti, non per una brutta esecuzione e nemmeno per il caldo: l’opera che si doveva rappresentare è Aida, opera italiana, come pure l’orchestra è italiana e il direttore Carlo Superti è italiano. Sembrerebbe quasi una garanzia per il pubblico: artisti italiani che portano la loro tradizione nel loro paese, ma le cose non vanno come previsto. Superti è un direttore sostituto, messo lì al posto del direttore e compositore Leopoldo Miguez, che ha abbandonato il suo incarico dopo aver diretto con quest’orchestra il Faust di Gounod; ma la cosa che ha creato scalpore, è che Miguez ha addossato tutta la colpa a questi orchestrali italiani che non sanno lavorare. Appena Superti sale sul predellino il pubblico esplode, la rappresentazione sembra perduta, ma un ragazzo di diciannove anni si alza dalla fila dei violoncelli, sale sul predellino, chiude la partitura e dirige tutta l’opera a memoria: quel ragazzo era Arturo Toscanini. Da quel momento la vita di quel giovanissimo violoncellista cambierà totalmente: una carriera con un’ascesa vertiginosa che lo porterà nei teatri e con le orchestre più importanti al mondo, facendo di lui quello che, insieme a Herbert von Karajan, è stato il direttore più iconico del ‘900, colui che con la sua silhouette associamo alla figura stessa del direttore d’orchestra.
La personalità artistica di Toscanini
La personalità di Toscanini si potrebbe sintetizzare in una sola parola: rigore. Egli dedicò interamente la sua vita alla musica, ma non nel senso retorico che oggi sentiamo spesso decantare: per Toscanini un’esecuzione musicale era quasi un rito religioso e questo è molto importante da sottolineare, perché egli si approcciava alla direzione quasi come un sacerdote che deve compiere un’operazione sacra, e ovviamente un’operazione sacra va condotta alla perfezione. Toscanini si guadagnò la fama del direttore scontroso con cui a volte era impossibile interagire, ma tutto nasceva dall’altissimo valore che egli conferiva al suo lavoro e all’arte musicale.
“Poca favilla gran fiamma seconda”, la citazione dantesca è opportuna, perché dall’Aida di Rio la carriera di Toscanini fu una serie di trionfi che forse è anche sciocco voler pensare di riassumere in poche parole, ma non si possono non citare almeno alcune tappe fondamentali: nel 1886, al ritorno in Italia, dirigerà la prima di Edmea di Alfredo Catalani; l’anno dopo lo ritroviamo in orchestra come secondo violoncello nella prima dell’Otello ed è in questa occasione che conosce Giuseppe Verdi; nel 1892 dirige la prima di Pagliacci di Ruggero Leoncavallo; dal 1895 comincia a collaborare col Teatro Regio di Torino (di cui inaugurerà la nuova sala dieci anni dopo) e dal 1898 col Teatro alla Scala; fu il primo direttore italiano, ma in generale non tedesco, a dirigere Wagner a Bayreuth nel 1930; nel 1936 dirige l’Orchestra Filarmonica di Palestina nel suo concerto inaugurale; nel 1946 “riapre” il Teatro alla Scala dopo la guerra.
Una carriera strabiliante e una personalità ferrea: Toscanini esigeva il massimo dagli orchestrali e dai cantanti, celeberrima la sua frase “Nessuno sa qual è il massimo che può raggiungere”, chiaro sintomo di una ricerca continua che non intendeva abbassare il livello a causa dei limiti del singolo musicista. Toscanini aveva sempre le idee chiarissime sul modo in cui doveva venir suonata una composizione in programma: “Dio mi dice come la musica dovrebbe suonare, ma in mezzo ci siete voi!”, altra frase famosa che ci indica come, spesso, nelle prove Toscanini si trovasse a urlare violentemente e, addirittura, a insultare gli orchestrali. Dal celeberrimo “Vergogna! Siete dei dilettanti” al più giocoso “Dopo morto, tornerò sulla terra come portiere di bordello e non farò entrare nessuno di voi!” sono molte le frasi di un Toscanini arrabbiato che vengono ricordate. Tutto nasceva però dal fatto che egli sentiva su di sé il peso dell’elemento performativo della musica e doveva vedere realizzato il suo ideale in ogni sua parte con una cura quasi maniacale.
Da qui anche il timore, per alcuni, di collaborare con lui: Giuseppe Di Stefano racconta che inizialmente si rifiutò di lavorare con lui per il timore che nutriva nei confronti del suo carattere, fu poi Cesare Siepi a portarlo da Toscanini e nacque una collaborazione per il Requiem di Verdi. Di Stefano conferma le sue richieste estremamente esigenti e non sempre soddisfatte dall’orchestra, con un Toscanini che rompe un orologio d’oro appena regalatogli dagli orchestrali. Ma ci presenta un Toscanini completamente inaspettato, che prepara la merenda ai cantanti alla Carnegie Hall e gli regala poi una cravatta. Com’era realmente quest’uomo? Toscanini, sicuramente, prendeva anche gli errori altrui come una sconfitta personale e per il valore sacrale che lui attribuiva all’esecuzione musicale era intollerabile una cattiva esecuzione: “Suonare pressappoco è orribile. Tanto vale suonare male!”.
Celebre anche il racconto della figlia che parla di lui che si siede a cena torvo e incredibilmente turbato perché in una recita di Traviata una luce aveva tagliato in modo sbagliato il viso della cantante. Forse la sintesi migliore sul suo stesso rapporto col suo carattere ce la può fornire Franco Zeffirelli, che, nella sua autobiografia, racconta di una prova luci alla Scala, per L’Elisir d’amore. Toscanini entra ad assistere e nel mentre parla in modo piuttosto rumoroso e poi commenta sonoramente: “Non ci sono scene buie nell’Elisir d’amore, c’è sempre luce, luce del sole, luce piena”. Turbato da ciò, Zeffirelli rispose: “Mi dispiace, maestro, di doverla incontrare in queste circostanze. Da anni sognavo questo momento. Ma lei, ora, viene a romperci le scatole mentre lavoriamo, e non lo possiamo permettere”. Toscanini si alza e va via: gelo. Fu poi la figlia Wally ad invitare Zeffirelli per un tè e in quell’occasione il Maestro gli disse “è una scelta: un cattivo carattere può farti andare avanti o distruggerti”. E indubbiamente fu anche grazie al suo carattere che egli andò avanti.
Fu però, dopotutto, una persona semplice: non ricercava troppo onorificenze e successi economici: spesso in occasioni importanti e dall’alto valore simbolico Toscanini non chiese compenso, rifiutò la nomina a senatore a vita da parte del Presidente Einaudi sentendosi:
[blockquote cite=”Arturo Toscanini, Lettera al Presidente della Repubblica” type=”left”]“Schivo da ogni accaparramento di onorificenze, titoli accademici e decorazioni, desidererei finire la mia esistenza nella stessa semplicità in cui l`ho sempre percorsa. Grato e lieto della riconoscenza espressami a nome del mio paese pronto a servirlo ancora qualunque sia l’evenienza, la prego di non voler interpretare questo mio desiderio come atto scortese o superbo, ma bensì nello spirito di semplicità e modestia che lo ispira”.[/blockquote]
Fu un grande amante delle donne ed ebbe diverse relazioni fuori dal matrimonio con la moglie Carla De Martini: un figlio illegittimo dalla cantante Rosina Storchio e lettere d’amore appassionatissime con Ada Colleoni, lettere che peraltro non danno l’immagine migliore di un uomo che ebbe tantissimi meriti. Ma la relazione che, probabilmente, va ricordata di più, se non altro per due episodi comici, è quella con la soprano Geraldine Farrar : la Farrar e Toscanini ebbero una relazione durata 7 anni quando egli era direttore presso il Metropolitan di New York. Alla fine lei pretese che il direttore lasciasse moglie e figli per lei, ma Toscanini preferì dimettersi evitare lo scandalo e tornare in Italia. La personalità della Farrar era quella della diva, che a volte mal si conciliava con lo spirito da capitano di vascello di Toscanini, celeberrima è la scena della Farrar che arriva in ritardo alle prove esordendo con uno “scusami Arturo” cui lui rispose con un severo “Arturo a letto, qui Maestro” di fronte agli orchestrali. In un’altra prova Toscanini la interruppe per farle un’annotazione e la Farrar gli disse sdegnata: “Maestro, si ricordi che io sono una stella!” al che Toscanini non si fece mancare la risposta e disse, indicando se stesso, “e lei si ricordi che quando il sole splende le stelle non si vedono!”.
La personalità politica di Toscanini
Toscanini fu anche una personalità che si espose molto politicamente, fino a diventare uno dei baluardi dell’opposizione al Fascismo e al Nazismo. Inizialmente lo stampo socialista di Mussolini non gli dispiacque, ma quando capì la sua vera natura Toscanini fu sempre un fermo oppositore. In due circostanze, in particolare, il parmense si mise in polemico contrasto con il regime: alla prima assoluta di Turandot, nel 1926, specificò che non avrebbe diretto l’inno fascista Giovinezza prima della rappresentazione, cui era invitato anche Mussolini. L’occasione era di notevole portata storica e questo Toscanini sembrava averlo capito: Puccini era morto e l’opera rimasta incompiuta, non poteva vederla accostata al regime e Toscanini non poteva veder Puccini accostato al Fascismo, anche se gli fu fatta prendere la tessera nell’ultimo periodo della sua vita. La conseguenza di questo rifiuto non fu violenta, ma comunque molto grave: Mussolini non presenziò alla prima di Turandot, fornendo così un precedente per vedere in Toscanini un nemico per ogni fascista. Nel 1931 le conseguenze del rifiuto di eseguire la Marcia Reale e Giovinezza prima di un concerto a Bologna furono ben più gravi: Toscanini venne picchiato da una squadraccia e da quell’episodio i rapporti col regime furono di aperta opposizione e Toscanini dovrà trasferirsi poi negli Stati Uniti.
Nel 1933 Hitler lo volle a Bayreuth per dirigere Wagner, ma Toscanini si rifiutò categoricamente perché disapprovava la politica razzista tedesca e infatti tre anni dopo su invito di Bronislaw Huberman dirige il primo concerto dell’Orchestra Filarmonica della Palestina, composta da rifugiati dal Nazismo. Toscanini si pagò addirittura le spese del viaggio e del soggiorno e non chiese compenso. Un altro segnale plateale di disapprovazione dei nazisti lo diede con le dimissioni dal Festival di Salisburgo, a seguito dell’annessione tedesca dell’Austria nel 1938, non volendo incarichi in un paese ormai diventato parte del Reich. Negli Stati Uniti venne creata per lui la NBC Orchestra, che diresse ininterrottamente fino al 1954 (e che alla sua morte, a dispetto dell’immagine di un Toscanini che aveva un cattivo rapporto con le orchestre, preferì sciogliersi piuttosto che far dirigere la NBC ad un altro), durante la guerra fece una lunga serie di concerti di beneficenza e polemicamente contro il nazifascismo diresse l’Inno delle nazioni di Verdi, in coda al quale inserì pure l’Internazionale, come a voler sottolineare uno spirito di fratellanza del mondo che si univa contro i due dittatori, peccato che i censori americani lo vietarono.
L’impatto delle azioni di Toscanini fu notevole ed ebbe grandissima risonanza, perché essendo una persona molto in vista ciò che gli era accaduto fornì l’immagine reale del regime, a questo proposito Gaetano Salvemini in Memorie di un fuoriuscito scrive: “Il nostro più efficace argomento nella critica contro il Fascismo era Arturo Toscanini…non scriveva e non faceva conferenze, ma la sua esistenza era un formidabile titolo di accusa contro un regime politico, il quale scacciava dalla patria un uomo simile”. Quando se ne andò negli Stati Uniti Erich Kleiber volle conoscerlo e si complimentò con lui per la battaglia politica che condivideva. Fu attivo sempre per offrire conforto e lavoro ad ebrei e rifugiati politici, anche Albert Einstein gli scrisse per dimostrargli la sua stima con queste parole: “sento la necessità di dirle quanto l’ammiri e la onori. Lei non è soltanto un impareggiabile interprete della letteratura musicale mondiale…Anche nella lotta contro i criminali fascisti lei ha mostrato di essere un uomo di grandissima dignità.”
Lo stile di Toscanini
Lo stile direttoriale di Toscanini è impossibile da riassumere in poche parole: dalla direzione a memoria al rispetto metodico di ogni segno scritto sulla partitura, tutto diventa mezzo per creare ritualità, per elevare la musica. Verdi stesso, già nel 1899, si complimentò con Toscanini per l’ottima direzione che fece del Falstaff. Diventò una vera celebrità e il suo stile lasciò un’impronta viva fino a noi, poiché ancora oggi la sua lezione è attualissima. Nella sua epoca la sua bravura fu riconosciuta anche da coloro con cui si scontrò, uno su tutti: Giacomo Puccini. Il rapporto tra i due fu assai travagliato, Toscanini diresse tre prime assolute delle sue opere, fra cui quella postuma di Turandot. Puccini in alcuni momenti parve odiarlo fino a chiamarlo “maiale” nelle lettere con la sua amica Sybil Seligman, ma poi a più riprese dovette riconoscere la sua incredibile abilità direttoriale, tant’è, e questo non necessita di aggiungere altro, che quando Puccini capì di stare per morire e di non poter terminare Turandot disse: “Turandot non la finisco, la finirà Toscanini”. Ci fu anche l’episodio esilarante del panettone quando, dopo un litigio, Puccini inviò a Natale a Toscanini un panettone cui seguì un telegramma con scritto “panettone inviato per sbaglio”, cui Toscanini rispose con “panettone mangiato per sbaglio”.
Ma, al di là, dell’aneddotica lo stile di Toscanini ha creato una scuola e la sua direzione è contraddistinta da alcuni capisaldi: innanzitutto di Toscanini va menzionata la velocità, una vivacità espressiva che lo ha accompagnato anche da vecchio, anzi! Toscanini con l’età non sembrava rallentare i suoi tempi, come spesso accade ai direttori, ma aumentare ancora la sua andatura. Tutti ricordano la sua prodigiosa memoria, che solo nel giorno del suo ritiro lo abbandonò: 4 Aprile 1954, per 14 secondi Toscanini ha un vuoto di memoria mentre dirige il preludio del Tannhäuser di Wagner con la NBC. A parte questo, la sua filosofia era quella che il direttore dovesse avere la musica in testa e mai la testa “nella musica”. Riccardo Muti, in qualche modo, è parte della sua “scuola” essendo stato allievo di maestri che assorbirono la lezione di Toscanini. Quando Muti si stupì per il fatto che anche Votto dirigesse tutto a memoria, questi gli rispose “se avessi lavorato con lui, faresti lo stesso”. Un’altro insegnamento di Toscanini gli arrivò da Vittorio Gui:
[blockquote cite=”Riccardo Muti, Prima la musica poi le parole” type=”left”]“un mondo…fondato sull’efficienza della direzione, la musica per la musica,poche storie, niente fronzoli e cianfrusaglie, andare dritti al cuore dell’opera, gesti essenziali, nulla più di quanto fosse strettamente necessario. A lezione ci ripeteva spesso ‘non rompete le scatole all’orchestra’…voleva solo raccomandare che, una volta avviata l’orchestra in un ordinato corso ritmico (ovvio risultato di prove e di controllo), il maestro non disturbasse quel naturale cammino, evitando gesti inconsulti dal podio, tenendosi lontano dal ruolo del buffone di corte: non si doveva, insomma, alterare ciò che la natura stessa del percorso aveva stabilito. E’ evidente che una simile posizione replicava in toto quella di Arturo Toscanini”.[/blockquote]
Le parole di Muti descrivono bene il modo di lavorare di Toscanini, mediato da Gui: un gesto sempre misurato, mai eccessivo o emulatore della musica, sempre chiaro e controllato. Le prove di Toscanini non sono solo importanti per capire il carattere del parmense, ma anche per capire tutto il labor limae che c’era prima di una sua esecuzione. Si è parlato già del suo rigore lavorativo, che arrivava a eccessi come l’avversione per le esecuzioni all’aperto, perché “all’aria aperta si gioca a bocce”. Si è già menzionata l’attenzione al segno scritto che egli si imponeva e imponeva agli altri, questo ci ricollega all’affermazione di Muti: “andare dritti al cuore dell’opera”, ossia semplicemente partire da ciò che c’era su carta e poi rendere perfettamente col suono, un lavoro mai di aggiunta di elementi troppo personali, quasi di sottrazione potremmo dire. Ovviamente Toscanini non è che si limitasse solo a far riprodurre una partitura, ma non era mai disposto a “negarla”.
Per concludere, non si può tralasciare il lavoro che Toscanini fece alla Scala nei suoi anni da direttore: la Scala in quegli anni aveva come librettista Arrigo Boito, come amministratore Giulio Gatti-Casazza e Toscanini come direttore stabile. Furono queste, e in particolare il nostro, le personalità che fecero della Scala il teatro modello per il mondo intero: Toscanini intendeva far rivivere tutta la ritualità della musica e da subito impose alcune regole. Era importante non spezzare la continuità e la magia dello spettacolo per privilegiare la mondanità o celebrare le doti di un cantante. Nella sala le luci dovevano essere spente, fece fare la buca per l’orchestra, fece creare un impianto di illuminotecnica per il palco senza eguali, fece installare il sipario di velluto, seguendo in parte i dettami del suo idolo Wagner. Nei confronti degli spettatori pure fu severissimo, per alcune cose venne odiato: i palchi della Scala erano di proprietà di famiglie o singoli e quindi non erano in vendita, Toscanini fece in modo di privarli del possesso e di vendere i posti nei palchi per gli spettacoli o per abbonamenti. Con lui inizia la prassi di non far entrare gli spettatori ritardatari per non interrompere lo spettacolo e spezzarne l’unità e di conseguenza il trasporto del pubblico. Questa operazione si lega alla negazione dei bis (a parte rare eccezioni), perché non si deve mai privilegiare la figura dell’interprete rispetto a quella del lavoro che si sta rappresentando. Toscanini proibì anche le puntature ai cantanti e qualsiasi elemento di creazione da parte loro: il cantante doveva seguire meticolosamente lo spartito e partecipare al rito della ri-creazione musicale. Il pubblico fu provato da molte sue decisioni: proibì alle signore con cappelli troppo vistosi di indossarli in sala per evitare la distrazione o impedimenti visivi, non lasciava il momento di silenzio a fine aria per gli applausi e subito riprendeva frustrando i melomani che bramavano di acclamare i loro beniamini.
Senza dubbio, questo piccolo ritrattino è limitante per descrivere l’immensità della figura di quest’uomo e il suo impatto nella storia della musica e nell’idea che oggi abbiamo di spettacolo: Toscanini non è stato semplicemente un uomo che ha dedicato la sua vita alla celebrazione della musica, ma è diventato parte attiva della storia musicale, tra le tante cose, anche dirigendo molte opere alle loro prime assolute, per citare le maggiori: Pagliacci di Ruggero Leoncavallo nel 1892; La Bohéme di Giacomo Puccini nel 1896; Germania di Franchetti nel 1902; La fanciulla del West di Puccini nel 1910; Madame Sans-Gene di Umberto Giordano nel 1915; Nerone di Arrigo Boito nel 1924, che Toscanini contribuì pure a completare, cosa che Puccini pensò potesse fare anche per Turandot, ma invece si limitò a dirigere la prima del 1926, posando la bacchetta dopo la morte di Liù e dicendo al pubblico “Qui finisce l’opera perché a questo punto il Maestro è morto, la morte è stata più forte dell’arte”. Forse queste esperienze possono rendere più chiaramente la figura di un uomo minuto che in realtà ci deve apparire come un gigante.
Lorenzo Papacci