Processo d’una strega famosa – La storia di Caterina Medici al Reate Festival
di Linda Iobbi - 18 Novembre 2024
Piazza Vetra a Milano, 1617. Il fumo del rogo si leva nel cielo grigio, avvolgendo la folla lì presente. Una figura emerge dalle nebbie del tempo: Caterina Medici, una donna vittima di abusi da parte dei tanti uomini che ha incontrato, gli stessi che l’hanno accusata di stregoneria e condannata al rogo.
Oggi, la sua storia rivive all’interno della XVI edizione del Reate festival con “Femmina infame. Storia di Caterina Medici bruciata come strega professa”, testo e drammaturgia di Guido Barbieri. Un’opera alla prima assoluta che ci invita a esplorare le pieghe oscure della vicenda, ricreando un’epoca di superstizione e ingiustizie. Lo spettacolo in scena al Teatro Palladium di Roma il 21 novembre e al Teatro Flavio Vespasiano di Rieti il 22 novembre, si sviluppa come un intenso monologo interiore, in cui Caterina, interpretata dall’attrice Elena Bucci, vive il tragitto dalla prigione alla piazza del rogo e ripercorre la sua vita segnata da abusi. A dare nuova voce alla storia ci sono le musiche di Giorgio Battistelli, Tomas Luis De Victoria, Francesco Filidei, Lou Harrison, Lorenzo Pagliei, Gabriella Schiavone eseguite dall’ensemble di percussioni Ars Ludi (Antonio Caggiano, Rodolfo Rossi, Gianluca Ruggeri) e dal quartetto vocale Faraulla (Lucrezia Loredana Savino, Gabriella Schiavone, Maria Stella Schiavone, Teresa Vallarella).
A partire da Sibillia Zanni giustiziata nel 1390, fino ad arrivare ad Anna Maria Pamoleo e alla sua serva Margherita Martignona, condannate nel 1641, sono state centinaia le donne che accusate di pratiche malefiche, sono divenute simboli di una società in preda alla paura e all’ignoranza. Un passato oscuro che stride con l’immagine splendente che abbiamo del Rinascimento e del Barocco italiano.
La storia di Caterina interessa Alessandro Manzoni che ne lascia un accenno nei Promessi sposi e folgora Leonardo Sciascia che in appena tre settimane scrive La strega e il capitano. Sono state proprio le carte del processo che miracolosamente sono arrivate ai nostri giorni che hanno permesso di ricostruire la vita di Caterina. Un caso più unico che raro questo che rende ancora più preziosa l’intera vicenda.
Nata nel 1573 a Broni, in provincia di Pavia, Caterina è figlia di un maestro elementare. Impara infatti a leggere e scrivere, una rarità per una donna comune dell’epoca. Presto però è vittima di una serie di violenze e soprusi. Da bambina viene violentata dal padrone della fattoria dove lavorava, poco più che adolescente viene data in moglie ad un pregiudicato, tale Bernardino Zagalia, detto il Pinotto, che la costringe a prostituirsi per sei anni. A 19 anni Caterina trova il coraggio di scappare, abbandona la casa del marito e cerca di ricostruire la sua esistenza.
Inizia a lavorare come serva nelle case dei nobili, commercianti e medici del Monferrato. Uno di questi è Giovanni Pietro Squarciafico a Occimiano che la tiene in schiavitù per 14 anni per poi cacciarla di casa. Da quest’uomo avrà due figlie illegittime, Vittoria e Angelica, che è costretta ad abbandonare.
Era una donna di rara caparbietà. Sola, violentata a comodo e con comodo dai padroni di turno, offesa negli affetti e delusa dagli affetti, cercò nella stregoneria di difendersi e per difesa si fece strega. L’essere strega fu la sua maniera di identificarsi.
Giorgio Farinelli
La sua vita cambia per sempre quando, nel 1616, entra al servizio di Luigi Melzi, un potente senatore milanese. Pochi mesi dopo, il figlio di Melzi, Ludovico, accusa Caterina di essere la causa dei frequenti mal di stomaco del padre, dando inizio a un incubo. Il processo attira un grande interesse pubblico non solo per il nome illustre del presunto maleficiato, da molto tempo ormai malato, ma per tutte le personalità coinvolte a testimoniare al processo come i medici curanti del Melzi (tra i quali Ludovico Settala citato proprio dal Manzoni), che con molta probabilità hanno colto l’occasione per imputare alle arti magiche di Caterina le cause dei loro limiti professionali. Dopo un processo di 35 giorni, durante il quale è sottoposta a torture, Caterina rivendica con orgoglio le sue “arti magiche”: “La stregoneria è l’unica arma che possiedo per difendermi dai soprusi e dalle violenze”. Viene condannata a morte e condotta in piazza, con in testa una mitra di carta e un cartello al collo che la bolla come “fattucchiera abominevole, avvelenatrice bestiale, assassina, femmina impurissima, figlia del demonio”.
Caterina vive in un’epoca che è figlia di quella medioevale e umanistica, dove la figura della donna angelica e la donna dell’amor cortese, erano fulcro delle riflessioni di così tanti poeti e pittori. Ma nonostante tanta esaltazione, la posizione della donna era comunque di sudditanza rispetto all’uomo. E in una realtà così lontana dalle dolci poesie, le tante donne piegate dall’emarginazione, dalla vedovanza, dalla solitudine e dalle maldicenze hanno trovato una rivincita nell’essere marchiate come streghe. Caterina è fermamente convinta di essere strega e di possedere i segreti delle arti magiche perché questa è la sua risposta ai tanti traumi che ha dovuto sopportare. In questa sua orgogliosa rivendicazione i medici che avevano in cura il Melzi hanno invece trovato un perfetto alibi: le loro conoscenze in ambito scientifico non erano lacunose. Il dolore di stomaco che il loro paziente accusava e che non trovava una giustificazione clinica, non era altro che frutto di una fattura alla quale la scienza non poteva trovare rimedio.
La tendenza ad attribuire alla magia o alla stregoneria ciò che non si riusciva a spiegare con le limitate conoscenze mediche del tempo, era molto più frequente di quanto non si pensi: “In una società tecnologicamente più arretrata della nostra non è difficile spiegare l’immediata presa che le credenze magiche potevano esercitare, dal momento che fornivano una spiegazione a sventure quotidiane non giustificabili altrimenti” (Keith Thomas, storico).
E questa ignoranza unita alla paura dell’ignoto hanno fatto sì che il processo a Caterina non trovasse altro risultato se non la condanna per stregoneria: “Intorno a Caterina, proletaria serva randagia, l’apparato non manifestò alcuna comprensione nè alcuna premura che non fosse quella della tortura” (Giorgio Farinelli, storico).
Caterina viene portata in piazza per essere strangolata e poi bruciata al rogo il 4 marzo 1617. Per l’occasione, per la prima volta venne costruita una baldresca, un palcoscenico rialzato, per permettere alla folla di assistere allo spettacolo.
Quel tragitto, durato poche ore, è il racconto principale di “Femmina infame”, accanto a quello delle sue memorie. Fulcro dell’opera è infatti l’idea di raccontare la figura di Caterina come una ma anche bina. Il monologo, interpretato da un’unica attrice, Elena Bucci, è l’alternanza di due personaggi: una Caterina che vive nel presente le poche ore di percorso dalla prigione dove era reclusa fino Piazza Vetra dove verrà bruciata, ed una Caterina che racconta al passato la sua vita segnata da violenze. Le voci del quartetto vocale Faraualla sono l’amplificazione della voce dimenticata di Caterina, mentre le percussioni dell’ensemble Ars Ludi sono espressione sonora dei tanti uomini che la protagonista ha incontrato durante la sua vita.
La storia di Caterina è in scena al Teatro Palladium di Roma il 21 novembre e al Teatro Flavio Vespasiano di Rieti il 22 novembre. In attesa delle rappresentazioni reatine e romane, vi invitiamo ad approfondire ulteriormente questa interessante storia. Durante il secondo episodio di “Salotto Reate”, un podcast live per incontrare i protagonisti della nuova stagione del Reate Festival, la parallela Linda Iobbi ha scambiato due chiacchiere con il drammaturgo Guido Barbieri a La Chiave del Violino di Roma. Potete recuperare la puntata qui sotto!