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Tra antico e contemporaneo: la Passione secondo Luca di Penderecki

di William Limonta - 9 Dicembre 2021

Passio et Mors Domini Nostri Iesu Christi secundum Lucam, del compositore polacco Krzysztof Penderecki (1933-2020), è un’ampia composizione per 3 solisti (soprano, baritono e basso), narratore, tre cori misti, coro di voci e grande orchestra sinfonica, dedicato alla moglie Elizabeth. Il brano è stato scritto tra il 1962 e il 1965, su commissione della Westdeutschen Rundfunk per celebrare il 700° anniversario della cattedrale di Münster (la prima esecuzione è avvenuta il 30 marzo del 1966).

Il rapporto con la dimensione sacra, per Penderecki, risulta intrinsecamente legato alla storia culturale travagliata in cui il compositore ha operato, soprattutto a partire dagli anni ’60: infatti, il clima in cui i primi capolavori di questo periodo si incastonano in modo diametralmente opposto rispetto all’avanguardia dilagante, a partire soprattutto dalla grande esperienza di Darmstadt e ai primi grandi successi dell’elettronica.

Il clima culturale della Germania Ovest offriva notevoli possibilità e sperimentazioni in campo musicale: oltre alle esperienze di Darmstadt, si pensi in modo particolare alle influenze culturali che dall’America arrivavano in densa quantità: la musica di John Cage e le prime sperimentazioni legate all’alea; l’avvento del minimalismo, che sul finire del decennio porterà in luce le prime esperienze di Terry Riley.

Tutto questo, a Penderecki, non interessava: la sua scrittura (dopo un iniziale interessamento all’avanguardia, ad esempio in Threnody for the victims of Hiroshima) in questo periodo, si pone in contrasto sia verso gli assoluti dogmi dei compositori post-weberniani e della serialità integrale, sia rispetto alla dilagante epopea degli oscillatori e dei filtri elettronici. Il compositore riprende infatti una scrittura pienamente tradizionale a partire dall’organico stesso (ponendosi in rapporto diretto, ad esempio, all’organico della Sinfonia n°8 di Mahler): un’ampia orchestra con una vasta gamma di percussioni utilizzate, triplo coro con voci bianche e organo. Non mancano, certo, le sperimentazioni, ma esse vengono utilizzate come puro mezzo espressivo, non strutturale.

Il soggetto, il linguaggio e l’eredità di Bach

Partendo dal soggetto della passione e della morte di Cristo, narrata nel vangelo di Luca, Penderecki accoglie e esplora a piene mani la tradizione della liturgia cattolica. Infatti, oltre ad adoperare il testo evangelico di Luca (con alcune aggiunte tratte dal vangelo di Giovanni), inserisce estratti tratti dall’inno Vexilla Regis (“O crux”), oppure l’Improperia Popule meus, insieme alle antifone Crux fidelis e Ecce ligum crucis, le quali fungono da commento per l’azione drammatica del vangelo.

I testi, di provenienze liturgiche differenti tra loro, si pongono come ponte di collegamento tra un linguaggio “arcaico”, legato alla dimensione quasi gregoriana del canto, rispetto al clima più “sperimentale” evidenziato dalle giustapposizioni espressive delle tecniche di scrittura contemporanea.

Come dicevamo, il linguaggio adottato dal compositore combina la tradizione con la modernità, attraverso elementi molto particolari e giustapposti tra loro: tecniche di esecuzione tradizionale e tecniche estese tipiche del repertorio contemporaneo; riferimenti tonali insieme alla tecnica dodecafonica; uso del contrappunto di derivazione rinascimentale e l’uso di moderne tecniche sonore (riscontrabili, ad esempio, nei densi cluster orchestrali che l’autore utilizza a più riprese).

In questa composizione, oltre al materiale musicale di base, Penderecki si rifà ad un modello storico: quello delle passioni di Johann Sebastian Bach. L’autore infatti, come nei capolavori del genio di Eisenach, divide la sua opera in due parti, suddividendola ulteriormente in un alternarsi tra recitativi (affidati alla voce recitante, la quale declama il testo evangelico), cori e arie.

L’intenso uso del contrappunto e l’adozione del tetracordo B.A.C.H (sib, la do, si), certificano ulteriormente questo profondo legame con la tradizione musicale tedesca.

Degli elementi tematici sopra citati, alcuni di essi svolgono precise funzioni strutturali, a partire prima di tutto dalle serie dodecafoniche (due fondamentali), le quali definiscono la precisa dimensione armonico-melodica del brano e i materiali sonori di partenza.

Un autentico “dramma in musica”

La Passione secondo Luca è un autentico dramma in musica (soprattutto la prima parte), anche grazie alle diverse funzioni espressive che le varie componenti in azione hanno.

Alcuni esempi: il ruolo del coro ripristina l’antico ruolo che ricopriva all’interno della tragedia greco-romana, quindi quella di commentare un determinato evento o di esaltare un particolare stato d’animo (oltre che a rappresentare la folla, come si vedrà nell’aggressiva richiesta del popolo “Crucifige!” a Pilato), utilizzando tecniche inusuali come le grida, i fischi e il parlato; il ruolo dell’Evangelista, che nelle passioni di Bach era affidata ad un cantante utilizzando la forma del recitativo, in questo caso è affidata alla voce recitante, mentre le voci solistiche (soprano, baritono e basso) interpretano precisi ruoli nella narrazione evangelica; l’orchestra, infine, il più delle volte contribuisce a creare delle particolari atmosfere attraverso l’uso di strumenti in precisi registri (a seconda della situazione), adottando anche fasce sonore di note lunghe oppure dinamici pulviscoli quasi impercettibili.

L’ascolto di questa importante opera del Novecento, ci permette di mettere in luce alcuni aspetti fondamentali di una concezione compositiva eterogenea, e porre alcune riflessioni: il saper coniugare in modo sapiente tradizione e innovazione (attraverso l’armonia tradizionale delle ottave e degli accordi maggiori, il denso contrappunto, la scrittura policorale, che si fonde con le tecniche estese dell’avanguardia e tutte le nuove possibilità timbriche affidate all’orchestra), dimostra in maniera inequivocabile il possibile dialogo tra forme e linguaggi apparentemente lontani nel tempo.

Una breve guida all’ascolto

In questa sezione, prenderò a riferimento alcuni passi tratti dall’opera di Penderecki, mettendo in luce gli elementi strutturali ed espressivi (già descritti in precedenza)  che costituiscono il vasto tessuto stilistico dell’intera passione.

N°1 Inno “O Crux”, per coro e orchestra 

Il numero iniziale dell’opera si pone già di per sé come chiarissima cristallizzazione degli elementi musicali in gioco: l’elemento dodecafonico della prima serie (affidata agli archi gravi e all’organo dopo l’iniziale “O Crux“ da parte del coro) si presenta già come materiale strutturale; l’uso della spiccata policoralità e la densa scrittura contrappuntistica si riallaccia chiaramente alla grande tradizione di stampo palestriniano e del doppio coro rinascimentale. Inoltre, non mancano le tecniche nuove, come l’uso del parlato nel coro.

N°3 Aria “Deus meus”, per baritono, coro e orchestra 

Il clima di questa sezione è carico di espressività: l’intervallo di terza minore esposto dal baritono solista (sol-sib), insieme al sottile pizzicato degli archi gravi e dal lungo pedale tenuto dell’organo, ci permettono di collocare l’intera  prima sezione in un ipotetico sol minore. L’espressività viene ulteriormente ampliata dall’ingresso del coro di voci bianche e dal coro, mentre il baritono ripete ossessivamente la cellula di terza minore, per poi culminare verso un grande climax in cui tutto il coro e l’orchestra amplifica il grido del solista attraverso un denso contrappunto delle parti.

N° 8 Recitativo “Comprehendentes autem eum”, per voce recitante, soprano, basso, coro e orchestra 

La tesa transizione iniziale, affidata all’orchestra, rievoca il trascorrere inesorabile del tempo (attraverso il metallico quanto lugubre suono del gong, della campana, dell’arpa e del pianoforte), collocandoci in un’atmosfera incerta, sottolineata dall’ingresso recitante del coro. La scrittura, nella quale il senso generale delle parole viene a perdersi, è densa e sovrapposta. Il dialogo prosegue tra i due solisti (il soprano incarna la donna, la quale afferma che Pietro, interpretato dal basso, era uno dei dodici apostoli), mentre il coro ricopre il ruolo della folla, giungendo fino al culmine con l’ultimo rinnegamento di Pietro nei confronti di Gesù.

N°16 Passacaglia “Popule meus”, per coro e orchestra

La grande passacaglia, che forma questa ampia sezione, si basa prima di tutto a livello strutturale al tetracordo B.A.C.H (sib, la, do, si…il celebre omaggio a Johann Sebastian Bach) e ai suoi vari trasporti ed inversioni, oltre che ad un tipo di scrittura del coro (possiamo dire “a fasce”) i cui elementi si pongono come collante strutturale dell’interno numero. Lo scorrere incessante di pannelli differenziati tra loro, ognuno con caratteristiche differenti, contribuisce a conferire a questa ampia sezione una fortissima connotazione drammaturgica: intermezzi orchestrali “pulviscolari” e tecniche estese nel coro, come fischi e grida i quali, accostati a dei momenti più cantabili, permettono di avere un collage espressivo estremamente variegato.

N°18 Aria “Crux fidelis”, per soprano, coro e orchestra

Il cantabile è ciò che contraddistingue questa aria dal punto di vista espressivo: i protagonisti, oltre al soprano solista, sono gli archi, in particolare contrabbassi e violoncelli. Gli intervalli strutturali dell’intera opera (2° e 3° minore), si sviluppano in un denso contrappunto che oscilla dal grave all’acuto della sezione degli archi, fino all’ingresso del coro, il quale rende più dinamico l’andamento del discorso musicale. Infine, il soprano ritorna sullo stesso materiale iniziale, con il medesimo clima. Anche nelle forme Penderecki si rifà alla tradizione: infatti, in questo numero, possiamo perfettamente individuare una classica forma bipartita (A B A’).

N°24 Sequenza Stabat Mater, per coro a cappella

Il brano, in origine, era autonomo. Penderecki, partendo proprio da qui, ha concepito l’intera Passione: quindi possiamo affermare che questo numero è il nucleo espressivo centrale di tutta l’opera. Si divide in quattro sezioni, ognuna caratterizzata dal punto di vista musicale in maniera differente:

Nella prima sezione il coro inizia ad esporre il materiale tematico di chiara ascendenza gregoriana a cui risponde, come se fosse un eco, prima i bassi e poi tutto il coro, dando l’impressione all’ascoltatore di stare ascoltando un denso perpetuum mobile magmatico (ma pur sempre omoritmico), a cui si sovrappongono tutte le voci.

Nella seconda sezione (sul testo “Quis est homo”): la scrittura è più cameristica ma estremamente polifonica. Le voci, infatti, si alternano in un susseguirsi di pieni e di vuoti.

Nella terza sezione (sulla parole “Christe”): il contralto espone l’idea melodica iniziale della Prima sezione, per poi intrecciare un denso disegno contrappuntistico. La densa scrittura, infine, culmina su un cluster finale cromatico.

Nella quarta sezione il coro si alterna tra parlato omonimico e l’interpunzione cantata, che rielabora gli stilemi delle sezioni precedenti. Anche il cluster ritorna nel momenti in cui i tre cori si attestano su masse sonore piuttosto ravvicinate. Nel finale viene ripresa l’omoritmicità della prima sezione, fino a consolidarsi sull’accordo finale in secondo rivolto di re maggiore.

Gli accordi maggiori, in quest’opera, fungono da punti fermi espressivi: si può tranquillamente affermare che la conclusione di questo numero sia uno degli apici espressivo-drammatici dell’intera Passione.

Una nuova strada

La musica contemporanea d’avanguardia ha sempre cercato, nei suoi postulati di riferimento, di allontanarsi da ogni retaggio di tradizione creando, a sua volta, una nuova “tradizione” (ma pur sempre definibile tale) in cui ogni legame col passato venisse inesorabilmente estirpato.

La strada che apre questa composizione è una strada inusuale, in cui tutte le forme musicali che sono sorte nel corso dei secoli concorrono insieme rafforzandosi a vicenda e generando una nuova consapevolezza ed un nuovo stile che non pone in contrasto stili differenti.

Una strada importante, che molto spesso è trascurata a favore di un progresso musicale fine a se stesso che non prende consapevolezza della primaria natura del significato musicale: saper trasmettere l’emozione ed il sentimento.

William Limonta

Compositore e pianista bergamasco, appassionato "narratore" della musica. Studente di Composizione con il M° Orazio Sciortino e Musicologia presso l'Università degli Studi di Pavia, collabora con diverse realtà musicali del suo territorio, promuovendo la cultura musicale bergamasca e della sua contemporaneità.

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