Schumann e il ballo mascherato
di Redazione - 3 Giugno 2019
Siamo nell’anno 1832, e in casa Wieck i Papillons op. 2, opera pianistica del compositore Robert Schumann, vengono interpretati per la prima volta dalla dodicenne Clara Wieck. Dopo averli ascoltati, Friedrich Wieck si esprime dicendo di non amare ‹‹simili pitture, ma vanno ascoltati più volte››. Le ultime parole indispongono molto il ventenne Schumann, poiché si trova davanti a un uditore che non valuta niente di analitico, ma solo la visione di insieme. Dopo varie fasi di gestazione, i Papillons vengono citati per la prima volta nei diari soltanto il 13 ottobre 1831, sotto una rubrica di Progetti per il futuro, e nel gennaio del 1832 sono dichiarati pronti per la stampa. Nell’opera vi sono chiari riferimenti evidenti con il pezzo lirico per pianoforte della tradizione viennese (Tomasek, Vorisek, Schubert) e con la danza per pianoforte (i valzer, le danze tedesche, le scozzesi, le polacche ecc. di Schubert, Weber, Hummel, Moscheles e altri) e infine con gli studi per pianoforte derivati dalla tradizione barocca e con il capriccio. Sembra possibile che il titolo di quest’opera gli sia stato suggerito dal suo amico E. A. Becker affermando, per quanto riguarda la transizione alla coda in sol maggiore della Sinfonia in Sol minore, che ‹‹la farfalla voli via, in alto, in alto nell’aria››; infatti, pragmaticamente, c’è somiglianza tra il tema della sinfonia, e quello del n. 1 dei Papillons.
Bisogna tener conto anche un altro tipo di simmetria, che non rientra nella sfera musicale, bensì in quella di matrice letteraria. Stiamo parlando dello scrittore che ha sempre affascinato Schumann: Johann Paul Friedrich Richter, alias Jean Paul, scrittore tedesco nato a Wunsiedel il 1763 e morto Bayreuth il 1825, abbracciando a pieno i temi del Romanticismo tedesco. Però non è noto secondo quali criteri vi è tale simmetria. Ma nelle dichiarazioni del compositore, quella che ci porta a considerare quale sia la direzione dell’opera “a programma”, è una lettera inviata al noto critico musicale e librettista Ludwig Rellstab, in cui allega un primo esemplare dell’op.2. Ciò che interessa di questa lettera è la parte in cui vuole riportare alla mente del redattore l’ultimo capitolo dei Flegljahre, romanzo dello scrittore, riportando dodici sezioni salienti del capitolo. Queste corrispondono alle sezioni dei Papillons. Bisogna anche tener conto di un’affermazione fatta a Henriette Voigt nel 1834, in cui dichiara, premettendo di aver sottoposto il testo alla musica e non il contrario, che solo il Finale ‹‹è scaturito da Jean Paul››. Quindi se vi è una corrispondenza diretta del Finale, i restanti pezzi potrebbero essere posticci. Questi sono anche lontani dalla linea programmatica descritta nelle ultime pagine dell’esemplare schumanniano dei Flegeljhare, in cui sono sottolineati e numerati in cifre romane dieci passi del romanzo. Ogni pezzo dei Papillons non si è presentato nella mente di Schumann in maniera spontanea, anzi determinati numeri dell’opera appartengono anche a composizioni minori già scritte, e quindi riviste, rivalutate, sviluppate attraverso una ricerca più dettagliata e studiata.
Ciò che importa è la riproduzione musicale dell’anima del compositore, quindi le citazioni del romanzo valgono solo in senso soggettivo. Nella musica dei Papillons risuona l’emozione suscitata nello stesso dalla lettura del Larventanz (il ballo mascherato, ultimo capitolo del romanzo jeanpauliano), e le sottolineature hanno una qualità di un’associazione. Nella prima edizione a stampa, Schumann sacrifica la verità soggettiva dell’opera, a favore dell’autonomia strutturale, eliminando l’epigrafe prevista, in cui venivano riportate le “battute” finali del romanzo. Nell’Introduzione, costituita da sei battute, introduce l’opera, come una sorta di apertura di sipario. Segue il n. 1 che da il via all’opera, con il tempo di valzer, costituito, a livello melodico, da cromatismi di ottave. Questo primo tema lo si troverà nel Finale, “incastrato” con un altro a chiusura dell’opera. Il n. 2 ci porta in qualcosa di nuovo. Esso è diviso in due parti ben distinte, di cui la prima funge da introduzione alla seconda parte, più danzante. In oltre, quest’ultima rievoca l’attacco della sonata di Beethoven op. 109. Nel n. 3 vi è sempre una divisione formale, e soprattutto vi è il procedimento del canone, ed è così mostrata la prima marcia della raccolta. Nel n. 4 si ritorna al tempo di valzer, ma l’architettura del pezzo è più estesa con un intermezzo centrale che “scherza” su una progressione di settime sospese. Il n. 5 è una citazione di un’opera precedente: la Fantasie delle 8 Polonaises del 1828, un’opera minore di Schumann. A differenza di questa, egli pulisce il tema dalle volatine e abbellimenti, ricalcando la parte prettamente melodica. Nella parte centrale vi è una progressione prima discendente e poi a scendente.
Il n. 6 riprende l’architettura del rondò, in cui la marcia in maggiore svolge una funzione di inversione. Il refrain prima della conclusione serve da raccordo (introduttivo-mediano-conclusivo) e di incastro armonico. Si conclude con la ripresa del tema iniziale con punto coronato. Il n.7, che costituisce la parte centrale dell’opera come una sorta di parentesi, riprende l’andamento melodico ascendente-discendete del n.1. Questo pezzo rappresenta il moto dell’anima più intimo del compositore, come se Eusebio avesse composto il pezzo. Può essere considerato parentesi dell’opera proprio perché vi è, alla fine, un punto coronato che prepara ai pezzi seguenti. Il primo tema del n.8 funge da introduzione, poiché non verrà più ripetuto. Il ritenuto centrale non può essere inteso come intermezzo, poiché conserva il carattere ritmico-melodico del pezzo stesso. Il n. 9 è nuovamente un pezzo libero, nel quale il primo tema, come nel n. 8, non viene ripetuto. Secondo la lettera a Rellstab, questo numero dovrebbe corrispondere all’‹‹ira››, e quindi potrebbe portare lo statuto di Florestano. Infatti, il tema inziale è caratterizzato da uno slancio di semicrome e poi appoggiature, e nel tema seguente le crome puntate, come se fosse un galoppo cromatico, avvallano questa tesi, dando un carattere prettamente florestiano. Per quanto concerne il n. 10, bisogna fare più chiarezza. Lo stacco in Do in di questo pezzo ha l’effetto di enjambement in poesia: essendo il Fa solo suggerito nella chiusura del pezzo seguente e la nuova armonia (per cadenza plagale) restituita nel pezzo seguente. Nella parte centrale vi è un intermezzo (con doppia stanghetta di chiusura) costituito dalla ripresa variata dell’introduzione; anche la parte successiva è un intermezzo (con doppia stanghetta di apertura e pausa coronata di chiusura sono ratificate due figure ritmiche di valzer: la prima è quella utilizzata nel n. 8, la seconda quella utilizzata nel n. 6.
Ma soprattutto il primo tema del Più lento riprende un familiare intermezzo del n. 6. Si è utilizzato il termine di “ripresa” ma esso ha un carattere prettamente da sonata. Anzi qui il termine che più si addice è “sviluppo, poiché vi è una parziale messa in gioco di diverse forme tematiche e di ricontestualizzazione di entità medesime. Dopo le 8 mis. del Più lento, si ritorna alla tonalità do Do e qui il carattere è insieme riassuntivo e combinatorio: cellula tematica dell’Introduzione e movimento ascendete-discendente, creando un lungo “stiramento” di un già noto intreccio discorsivo (stesso procedimento lo si troverà nel primo movimento del Concerto per pianoforte orchestra op. 54, nell’Andante espressivo e nel Più animato attraverso due agogiche opposte e reciproche). Ma nel contesto strutturalmente frammentario dei Papillons, le interruzioni depistanti cui è sottoposto questo tema (e oltre le quali il ‘canto’ questa volta prosegue) non hanno lo stesso grado di memoria strutturale (rispetto alle entità di uno sviluppo o, si potrebbe aggiungere, di una cadenza conclusiva in ambito di forma-sonata) e il loro evento risulta (all’ascolto), come conseguenza di un intervento esterno, volontario o incerto: come auto-citazione dell’opera/dell’autore e/o capriccio del caso. (Rimescolamento e codice degli scambi nel ballo mascherato). Nel n. 11 le prime tre battute non carattere di apertura, come nel caso dell’Introduzione, ma come incipit alla danza. Così come nella polonaise che segue, riproduce fedelmente la forma sua propria. Successivamente vi è una grande figura modulante che consta di 12 mis., tanto da sembrare un intermezzo, se non fosse per la ripresa del moto ascendete-discendente della melodia e figura ritmica della danza sottolineata in maniera ostinata. Il vero intermezzo è rappresentato dal Più lento, che ne genera un altro al proprio interno, prima della ripresa variata conclusiva. Infine, ripresa leggermente variata della figura modulante e ripresa del tema iniziale.
Nel tema proposto dal Finale vi è un’evidente citazione di una danza antica, ovvero del Grossvatertanz (danza del nonno), e ricomparirà nel Carnval op. 9. Nei Papillons occupa la posizione di kehraus, della tipologia che andava a chiudere il giro di danza e quindi a concludere il ballo stesso. Ascoltano questo tema, si può scorgere il suo carattere aperto e corale, contro quello eccentricamente individuale dei pezzi precedenti. Il motivo successivo rievoca il naturale complemento binario del tema precedente, ma con uno stile alquanto settecentesco. Poi riprende il ternario Grossvatertanz. Il presentarsi in maniera improvvisa del tema del n. 1 e il suo combinarsi, sono gli eventi che segnano il culmine dell’opera. L’effetto di questo incastro è certamene di straniamento: al tema del Finale si contrappone quello del n.1, individualistico e ansioso. Al climax ascendente che culmina con il colpo di Re basso, ne segue uno in senso discendente, e nello stesso modo graduale. Come il primo è avvenuto per progressivo venir aggiungersi e sovrapporsi di eventi, il secondo avviene per un progressivo venir meno, sino alla parola Fine. Prendiamo in esame i sei colpi di La acuto: L’onomatopea musicale dei sei colpi non trova nessun riscontro nel romanzo. Lo spegnersi invece, all’esterno, dal ‹‹fragore›› di un ballo, doveva riprendere letteralmente i Flegeljahre. Dal punto di vista strutturale, i sei colpi controbilanciano – all’acuto – il Re grave e costituiscono anch’essi come un pedale che, unito al primo, allarga lo spazio entro cui va spegnendosi il motivo del ballo. Nelle ultime misure le sei note agganciano, un’ottava sopra, al La che le ha generate, sviluppandosi così un grappolo da cui si staccano in successione, restando solo il suono generatore. Qui si propone l’interpretazione di Vladimir Ashkenazy
Bartolomeo Di Lernia