Era ora, Ennio. L’Oscar a sorpresa di Morricone
di Enrico Truffi - 1 Marzo 2016
Il “nostro” Ennio Morricone ha vinto per la prima volta l’Oscar per la migliore colonna sonora, per il film “The Hateful Eight” di Tarantino.
Ora, da Tarantino tutti si aspettavano un western, e da Morricone di conseguenza si aspettavano una colonna sonora da western, come i suoi grandi classici (C’era una volta il West, La trilogia del dollaro ecc..). Invece hanno deciso di sorprenderci,
l’uno con un film con una base a là Agatha Christie, e l’altro con un commento musicale che vira decisamente verso l’horror. La struttura della storia infatti ricalca l’horror “La cosa” di John Carpenter, la cui colonna sonora era -indovinate un po’?- di Ennio Morricone, e due pezzi non inclusi nel vecchio film sono riutilizzati per questo, ma nei film di Tarantino siamo abituati a questo citazionismo estremo. Il tema principale del film, però, è composto ex novo da Morricone, ed ha decisamente una marcia in più rispetto agli altri candidati (mi dispiace, John). Dov’è però questa maestria di Morricone, che ha conferito la tensione costante e spesso snervante che percorre il film? Analizziamo brevemente il tema principale, L’ultima diligenza di Red Rock. Il charleston all’inizio scandisce un ritmo deciso che ci dà l’idea della diligenza che procede nella neve. C’è anche da dire che Morricone non ha mai visto scene del film di Tarantino, ha letto solo la sceneggiatura, ma vi assicuro che rende l’idea. L’atmosfera si fa cupa, e predilige il suono degli ottoni, e subito un tema ossessivo viene esposto da un corno francese, tema che era già stato largamente presentato nell’Ouverture e che alla fine sarà il filo conduttore del film: è composto da appena quattro note, che però si imprimono bene nella mente dell’ascoltatore (in pratica sono due coppie di terze minori a distanza di un semitono l’una dall’altra, scusate il tecnicismo, così, per gradire). L’andamento del componimento resta più o meno sempre uguale, ma solo a livello strutturale, infatti man mano che si aggiungono elementi dell’orchestra il suono si arricchisce e acquista un fascino “malato”, con un crescendo lento, da abbinarsi alla (lentissima) carrellata all’indietro che ci rivela un crocefisso innevato. Ma alla fine l’esplosione arriva, il tema viene suonato con forza da tutta l’orchestra. Cosa c’è di diverso, cosa cambia stavolta? In realtà non ci sono elementi precisi a cui appigliarci, è un tema abbastanza semplice svolto in maniera certo molto abile, ma l’elemento distintivo qui alla fine è quello che per mancanza di termini si definisce in genere come “Atmosfera”. La bravura di Morricone è stata proprio quella di rendere con poche note decise un’atmosfera di diffidenza, in cui chiunque potrebbe mentire, nessuno è portatore di giustizia, o redenzione, e il modo migliore per rendere questo ambiente è appunto una melodia chiara che però non si risolve mai in qualcosa di definitivo. Senza correre il rischio di sopravvalutare Morricone, è innegabile che in questi accorgimenti si nasconda il vero maestro: furbo, certo, ma il più efficace in assoluto nell’abbinamento quasi necessario di immagini e musica, anche nei casi, come questo, in cui le immagini non le aveva nemmeno viste.
Enrico Truffi