Gli ultimi giorni di Pëtr Il’ič Čajkovskij
di Linda Iobbi - 7 Luglio 2024
[Le date riportate nel seguente articolo sono in base al calendario giuliano, utilizzato al tempo dei fatti. Tra parentesi verranno indicate le date in base al calendario gregoriano]
Ricostruire gli ultimi giorni di vita di Čajkovskij ci permette di comprendere meglio cosa sia davvero successo, le incongruenze, i dubbi e le verità celate; preludio per accogliere o scartare l’ipotesi del suicidio.
Čajkovskij muore il 25 ottobre (6 novembre) 1893 all’età di 53 anni, in conseguenza ad un’infezione da colera.
Subito dopo la morte iniziano a girare voci sul presunto suicidio del compositore. Il medico curante Lev Bertenson pubblica un articolo nel quale ripercorre la malattia e la morte del suo paziente.
Modest Čajkovskij, fratello del compositore, presente al capezzale, pubblica il 1 (13) novembre su diversi quotidiani la sua versione dei fatti per mettere a tacere tutti i petegolezzi del momento.
Nel corso del tempo altre testimonianze si sono unite per completare il complesso puzzle: le memorie del nipote Jurij Davydov (figlio della sorella del compositore Saša) del 1962 e le lettere di Galina von Meck (figlia della nipote del compositore Anna e moglie di Nikolaj figlio di Nadežda von Meck).
Ricostruire gli ultimi giorni di vita di Čajkovskij ci permette di comprendere meglio cosa sia davvero successo, le incongruenze, i dubbi e le verità celate; preludio per accogliere o scartare l’ipotesi del suicidio.
Mercoledì 20 ottobre (1 novembre): il bicchiere d’acqua
San Pietroburgo. Modest racconta di come il fratello la sera del 20 ottobre si recò a teatro per vedere la commedia “Goryacheye serdtse” del suo autore preferito A. Ostrovskij. A fine spettacolo Pëtr Čajkovskij decise di cenare insieme ai nipoti conti Lütke e al barone Buxhoeveden al ristorante Lejner, posto molto conosciuto e informale al n°18 della Prospettiva Nevskij.
Modest raggiunse il gruppo al ristorante un’ora dopo e vi trovò altri amici che si erano nel frattempo uniti alla cena: Ivan F. Gorbunov (attore), Aleksandr Glazunov (il compositore) e F. Mühlbach (costruttore di pianoforti). “Tutti avevano finito di cenare, ma io sapevo che mio fratello mangiò pasta [maccheroni] e bevve, come suo solito, del vino bianco e dell’acqua minerale. La cena continuò ancora per poco e alle due tornammo insieme a casa a piedi. Pëtr Il’ič era completamente sano e tranquillo”.
Di questa sera abbiamo anche un’altra testimonianza di uno dei nipoti del compositore, Jurij Davydov, che pranzò nello stesso giorno con lo zio, sottolineando l’ottimo stato di salute e umore che quest’ultimo mostrava. Nonostante Modest non citi il nome del nipote tra le persone partecipanti dell’uscita serale, Davydov si dichiara presente nella loggia del teatro durante la recita. Insieme a lui c’era anche il fratello Vladimir “Bob” e il cugino Grigorij Davydov, lo zio Modest e i sopracitati nipoti Lütke e Buxhoeveden.
Davydov continua il racconto in linea con quello dello zio. Quest’ultimo, Modest, si fermò in teatro, mentre il resto della comitiva, incontrati Gorbunov e Glazunov, decisero di andare a cenare nel ristorante Lejner. Qui incontrarono Mühlbach, grande amico dei fratelli Čajkovskij.
A questo punto i racconti dei nostri due testimoni si discostano. Davydov riferisce che una volta “arrivati al ristorante, Pëtr Il’ič ordinò che gli si portasse un bicchiere d’acqua. Dopo pochi minuti, il cameriere tornò e disse che non c’era più acqua bollita. Allora Pëtr Il’ič, esclamò:<<E allora portatemi dell’acqua di rubinetto, io non credo nel colera!>>. Il cameriere sparì nello stesso momento in cui arrivò Modest Il’ič che iniziò a rimproverare e sgridare il fratello per la sua incuranza. Nel medesimo minuto il cameriere stava portando il bicchiere d’acqua cruda. Noi tutti urlammo in coro: <<Non bere l’acqua…>>. Ma Pëtr Il’ič andò incontro al cameriere. Modest Il’ič si gettò in avanti con l’intento di prendere il bicchiere, ma non fece in tempo… Pëtr Il’ič, allontanandolo con il gomito, riuscì a bere d’un fiato tutta l’acqua” (Davydov).
Secondo questo racconto è probabile che Čajkovskij contrasse il colera proprio in questa sera del 20 ottobre. In quel periodo l’epidemia era ancora una seria minaccia e tutte le istituzioni sanitarie raccomandavano di bere acqua esclusivamente bollita, poiché era già noto che la trasmissione del bacillo avvenisse tramite l’acqua. Čajkovskij, come tutti i suoi compagni di quella sera, era perfettamente consapevole di ciò.
E’ importante però specificare che a differenza della testimonianza di Modest, pubblicata nella rivista Novoe Vremja il 1 novembre del 1893, a pochi giorni dai fatti, quella del nipote Davydov è stata pubblicata diversi decenni più tardi, nel 1962 quando l’autore aveva 89 anni. A meno che le memorie non siano state scritte molti anni, se non decenni prima della data di pubblicazione, non possiamo escludere che l’età avanzata e la lontananza di tempo dai fatti abbia reso confusa la testimonianza di Davydov.
Nel caso contrario, siamo legittimati a pensare che Modest abbia dimenticato o celato per qualche motivo ciò che avvenne al ristorante raccontando, però, un altro episodio simile successo il giorno dopo.
Giovedì 21 ottobre (2 novembre): i sintomi e la diagnosi
La mattina seguente, giovedì 21 ottobre, Modest, che viveva insieme al fratello in via Malaja Morskaja, trovò il fratello in salotto che si lamentava della pessima notte appena passata. La gastrite, malattia di cui il compositore soffriva periodicamente, ha fatto nuovamente sentire i suoi fastidi. “Ciò non mi ha particolarmente preoccupato perché [Pëtr] aveva spesso disturbi simili. Insorgevano sempre molto intensi e passavano velocemente […] Solitamente in questi casi lo aiutava l’olio di ricino. Sicuro che anche questa volta ne avrebbe fatto uso, e sapendo che in ogni caso male non avrebbe fatto, ero del tutto sereno delle sue condizioni e mi occupai dei miei affari non vedendolo fino all’una ”. Lasciò quindi il fratello intento a scrivere delle lettere.
Arrivata l’ora di colazione Čajkovskij “era seduto assieme a noi ma non mangiava, e sembrava solo perché riteneva che ciò gli sarebbe stato dannoso. E qui ci disse che invece dell’olio di ricino assunse dell’acqua Hunyadi”, un’acqua minerale curativa. “Mi sembra che questa colazione sia stata fatale perché durante la conversazione sul farmaco assunto, si versò un bicchiere d’acqua e lo bevve. L’acqua non era bollita. Tutti noi ci spaventammo. Solo lui trattò la cosa con indifferenza e ci tranquillizzò. Di tutte le malattie, temeva meno il colera” (Modest), “si riempì un bicchier d’acqua fino all’orlo e la bevve, dicendo qualcosa come <<dopotutto, che importa!>>”(Galina von Meck).
Questa sembra essere la morte, addio Modja!
Pëtr Čajkovskij
Čajkovskij decise di stendersi in camera da letto mentre il fratello uscì. Rientrato intorno alle cinque, la situazione era peggiorata e nonostante le proteste del malato venne chiamato il medico di fiducia Vasilij Bertenson che arrivò solo intorno alle otto. Nel frattempo la situazione era ulteriormente aggravata con attacchi di vomito continui. Il medico constatando la criticità del quadro decise di chiamare suo fratello Lev, medico personale dello Zar, per un ulteriore parere. Nell’attesa, le condizioni di Čajkovskij si acutizzarono: “Questa sembra essere la morte, addio Modja!”, disse al fratello più volte.
Alle undici arrivò il medico e dopo la visita formulò la diagnosi: colera. Alle dodici arrivarono le convulsioni e alcune parti del corpo iniziarono ad illividire. “Poco prima della comparsa delle prime convulsioni Pëtr Il’ič mi chiese: <<Non sarà colera?>>. Gli celai però la verità. Quando sentì come venivano impartite le disposizioni per contenere i contagi, quando ci vidde coperti da bianchi grembiuli su insistenza dei medici, allora esclamò: <<Eccolo allora il colera!>>”(Modest). La notte fù lunga cadenzata da diverse crisi.
Venerdì 22 ottobre (3 novembre): una speranza si accende
Verso le cinque del mattino seguente, venerdì, Modest riporta che il peggio sembrava passato. Le convulsioni si erano fermate ma l’umore del malato era a terra. Iniziarono dei dolori al petto ed una estrema sete che persistette nei giorni successivi.
Verso le nove venne il Dottor Mamonov per dare il cambio a Vasilij Bertenson. Le condizioni sembravano migliorare, tanto che alle undici, quando arrivò Lev Bertenson, Čajkovskij gli disse: “<<Vi ringrazio, mi avete strappato dalle grinfie della morte. Sto infinitamente meglio rispetto alla prima notte>>”.
Nel frattempo anche il nipote Jurij Davydov viene messo al corrente della situazione e chiedendo un permesso all’Accademia militare dove studiava, si reca immediatamente a casa dello zio: “arrivato a [via] Malaja Morskaja, salì le scale con il cuore a mille e suonai. Mi aprì Vladimir L’vovič dicendo: <<Non puoi, non puoi. Lo zio ha il colera e Bazja [V. Bertenson] ha vietato a chi che sia di entrare>>”. (Davydov) Chiese notizie e venne informato di tutto.
Nel pomeriggio arrivò il Dottor Zander a dare il cambio a Mamonov che tornò ad assistere il malato solo alla sera. La situazione era tranquilla e il dottore diede l’ordine a tutti i parenti presenti di andare a riposare.
Sabato 23 ottobre (4 novembre): le condizioni si aggravano
Giunto il sabato, l’umore di Čajkovskij sembrava non migliorare. “<<Lasciatemi>> disse ai medici <<non potrete fare nulla comunque, non guarirò>>”.
I medici iniziarono a sollecitare l’attività dei reni, ma fu tutto inutile. Lev Bertenson propose di immergere il malato nella vasca da bagno. Su questa procedura Modest sottolinea un certo coinvolgimento: “nostra madre morì di colera nel 1854 e la morte la prese proprio nel momento in cui la misero nella vasca. Con mio fratello maggiore, Nikolaj Il’ič, guardammo questa necessaria procedura con superstizioso terrore. Le nostre paure si intensificarono quando venimmo a sapere che alla domanda del dottore vuole Pëtr Il’ič fare il bagno, lui rispose: <<Sono molto contento di lavarmi, ma probabilmente morirò come mia madre non appena mi immergerete nella vasca>>”.
Nel corso della giornata fu comunque impossibile fare il bagno perché le forze del paziente erano sempre più deboli. Lev Bertenson lasciò l’appartamento di Čajkovskij solo dopo le due di notte, senza che i reni avessero ripreso a funzionare.
Domenica 24 ottobre (5 novembre): Čajkovskij entra in coma
Le condizioni di Čajkovskij non erano allarmanti, seppur la pressante preoccupazione dei medici riguardo alla funzione dei reni e il cattivo umore che continuava a pervadere il paziente. Alle domande su come si sentiva, rispondeva: “<<Malissimo>>”, mentre a Lev Bertenson disse: “<<Quanta benevolenza e pazienza sprecate Voi invano. Non posso essere curato>>”. Durante la giornata ebbe diversi deliri nei quali chiamava Nadežda von Meck “rimproverandola con ira”.
La situazione dei reni continuava a non dare segni di miglioramento. Si decise allora di procedere all’immersione nella vasca da bagno. Alle due il tutto era pronto. Čajkovskij fu immerso nella vasca in uno stato abbastanza confusionario. Dopo pochi minuti chiese di essere tirato fuori perché sentiva le forze lasciarlo. Il bagno non ebbe l’effetto sperato, anzi, peggiorò la lucidità del paziente e il battito cardiaco rallentò. Il compositore entrò in uno stato comatoso. Il respiro diventò più affannoso e i medici consigliarono ai presenti di non lasciare il paziente da solo. Dovevano prepararsi per l’addio.
Verso sera Nikolaj Čajkovskij chiese di chiamare un prete. “Qualsiasi speranza su un miglioramento sparì” (Modest). In quelle ultime ore erano presenti diverse persone. Quelle che Modest elenca sono: tre medici e un infermiere, i due fratelli Lütke e Buxhoeveden, N.N. Figner (cantante), Dimitrij Bzul’ (violoncellista), i fedeli servitori del compositore Aleksej Sofonov e Nazar Litrov con la moglie, il nipote Vladimir Davydov e i due fratelli Čajkovskij Nikolaij e Modest. Il dottor Bertenson chiese di lasciare il paziente con meno persone possibili. I due amici Figner e Bzul’ andarono via. Anche Lev Bertenson lasciò il paziente nelle mani di Mamonov per vegliare durante la notte.
Lunedì 25 ottobre (6 novembre) Il giorno della morte
“Il respiro si faceva sempre meno frequente […] All’improvviso gli occhi che prima di allora erano socchiusi o ruotati all’indietro si chiusero. Apparve una qualche indescrivibile espressione di chiara lucidità. Fermò il suo sguardo a turno sui tre volti in piedi accanto a lui, dopodichè lo alzò al cielo. Per qualche istante qualcosa negli occhi si illuminò e con l’ultimo respiro si spense. Erano le tre e qualcosa del mattino”(Modest)