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Chi ha avvelenato Mozart?

di Linda Iobbi - 27 Maggio 2024

Nella notte del 5 dicembre del 1791 Wolfgang Amadeus Mozart moriva nella sua casa a Vienna all’età di 35 anni. Nelle ultime due settimane, dal 20 novembre fu costretto a letto a causa del “gonfiore delle mani e dei piedi, quasi completamente immobilizzati…

Rimase pienamente cosciente fino a due ore prima del trapasso” (lettera del 7 aprile 1825 di Sophie Weber Haibel a Nissen). Ad assisterlo negli ultimi attimi di vita erano presenti la moglie Constanze, la sorella di lei Sophie Haibel e uno dei medici curanti, il Dottor Nicholas Closset. La causa del decesso venne registrata come “febbre miliare acuta”.
Il funerale fu celebrato due giorni dopo e la salma venne seppellita in una fossa comune.  A causa del maltempo di quel 7 dicembre, gli amici e famigliari non poterono accompagnare il defunto al cimitero. Non si seppe mai il luogo di sepoltura, non venne fatta un’autopsia e il certificato di morte svanì nel nulla. 
Le modalità con le quali il funerale fu celebrato e la ricostruzione delle settimane e ore precedenti alla morte danno spazio alla tesi che non si è trattata di una morte per cause naturali ma per avvelenamento. Il corrispondente da Praga del Berliner Musikalisches Wochenblatt già il 12 dicembre scrive: “[Mozart] è morto a Vienna alla fine della scorsa settimana. Essendosi il corpo enfiato [gonfiato] dopo la morte, si crede che sia stato avvelenato”.
Ad alimentare il mistero si aggiunge il suicidio di Franz Hofdemel, marito di un’allieva di Mozart, che decise di porre fine alla propria vita proprio nel giorno dei funerali del compositore.
Nel 1823 Antonio Salieri, celebre antagonista del compositore viennese, confesserà di aver avvelenato Mozart.

“L’acqua tofana”

Qualcuno mi ha dato dell’acqua tofana e ha calcolato il momento esatto della mia morte, per la quale ha ordinato un Requiem; è per me che lo sto scrivendo

W. A. Mozart

Mozart negli ultimi mesi di vita è convinto che qualcuno lo stia avvelenando. Una volta tornato a Vienna dopo il suo ultimo viaggio a Praga, reduce dal successo del Flauto Magico, confida alla moglie Costanze l’atroce angoscia che lo pervadeva da quando è rientrato nella sua città: “e mentre si trovavano seduti tutti e due soli, fianco a fianco, Mozart si mise a parlare della morte, ed affermò che componeva il Requiem per se stesso. Aveva le lacrime agli occhi <<Ne ho una sensazione troppo forte>>, prosegui, <<non ne ho più per molto: mi hanno avvelenato, è sicuro! Non posso disfarmi di questa idea>>” (Niemetschek) Costanze racconta alla famiglia Novello di come il marito “era ossessionato dall’idea terribile che qualcuno lo avesse avvelenato con dell’acqua tofana: un giorno andò da lei e si lagnò di avere un gran dolore ai fianchi e che una debolezza diffusa lo prendeva a poco a poco” (Diari Novello,  1829) “<<So che devo morire>>, aveva esclamato, <<qualcuno mi ha dato dell’acqua tofana e ha calcolato il momento esatto della mia morte, per la quale ha ordinato un Requiem; è per me che lo sto scrivendo>>” (Mary Novello che riporta le parole di Constanze). Anche Vincent Novello, amico della famiglia Mozart, conferma che quest’ultimo era convinto “che qualcuno dei suoi nemici era riuscito a somministrargli la pozione nociva che avrebbe provocato la morte”. Constanze cercò di rassicurare il marito e gli chiese di abbandonare la scrittura del Requiem perché realmente nociva per lo stato deleterio del musicista. E’ molto probabile che Mozart soffrisse di depressione e manie di persecuzione e le modalità di commissione di questo  famigerato Requiem non fecero altro che aggravare una situazione già sufficientemente instabile.  

La commissione del Requiem

Nell’estate del 1791 uno “sconosciuto messaggero” consegnò “una lettera senza firma” al musicista con la richiesta di scrivere una Messa da Requiem. Il compenso era ragguardevole e Mozart accettò. Come unica condizione impostagli fu quella di non cercare di individuare la vera identità del committente.
Mozart rimanderà la stesura del Requiem per diversi mesi perché già impegnato nella scrittura del Flauto Magico e La Clemenza di Tito, due opere che lo porteranno a viaggiare per l’Europa durante tutta l’estate. Inizierà a lavorare sul Requiem probabilmente nella seconda metà di settembre una volta tornato a Vienna. Le sue condizioni fisiche e soprattutto psichiche non saranno però delle migliori. Tutte le possibili diagnosi sulla condizione mentale di Mozart sono postume e ricostruite in base alle lettere ed alle testimonianze dei suoi contemporanei. 
Il professore P.J. Davies suppone che il compositore soffrisse di un disturbo affettivo bipolare. I deliri paranoici come quello della convinzione di essere perseguitato da un nemico in procinto di avvelenarlo e la depressione che spesso ha esternato alla moglie chiamando quello stato come “costante tristezza”, sono gli effetti di una possibile malattia ipertensiva e dell’uremia (stadio terminale dell’insufficienza renale). 
Il giornalista Jean-Baptiste Suard che ha frequentato Mozart negli ultimi mesi della sua vita afferma che le malattie di cui soffriva il compositore sono il risultato della stressante infanzia: “Si è costantemente osservato che uno sviluppo troppo sollecito e rapido delle facoltà intellettive dei bambini si verifica solo a scapito del loro fisico. Mozart ne ha fornito una nuova prova. Il suo corpo non ebbe una crescita normale mentre si sviluppava. Per tutta la vita rimase debole e di salute cagionevole”. 
Mozart, quindi, non era nelle condizioni fisiche e mentali adeguate per interpretare ciò che gli accadeva intorno in modo lucido e razionale. Si convinse che il “misterioso messaggero” altri non fosse che la morte stessa che commissionando il Requiem aveva come unico scopo chiamare a sé il compositore.

Ora si dice apertamente che Salieri sia l’assassino di Mozart

Karl Beethoven

Non è Salieri

Nel 1831 il poeta russo Aleksandr Pushkin partendo dalle dichiarazioni di Salieri del 1823, avanza un’ipotesi seducente che espone nella piece teatrale “Mozart e Salieri”: il committente del Requiem è il compositore italiano che invidioso del talento di Mozart decide di avvelenarlo. Da qui in poi, letteratura prima e cinema successivamente, alimenteranno questa teoria fino allo stremo. La verità, o quel che più le si avvicina, è ben altra.  
Nel 1823 a Vienna si erano realmente diffuse delle voci che volevano Salieri reo confesso dell’omicidio di Mozart. Persino il periodico musicale Allgemeine Musikalische Zeitung (dal quale probabilmente Pushkin prese ispirazione per il suo dramma) riportò queste dicerie. Troviamo ulteriori testimonianze persino nei diari di Beethoven dove Schindler scrive «Salieri sta di nuovo malissimo. È completamente abbattuto. Delira che è colpevole della morte di Mozart e che gli ha dato il veleno» proseguendo in risposta alla probabile sorpresa nel volto del suo interlocutore sordo «è la verità, poiché egli vuole confessarsene; così tutto si paga». E ancora sui taccuini di Beethoven, il nipote Karl riporta una sintesi della convinzione che si stava radicando in quel tempo: «Ora si dice apertamente che Salieri sia l’assassino di Mozart». 
Tutto ciò è lontano però dall’essere verosimile. Innanzitutto a quel tempo Salieri era in uno stadio avanzato di demenza senile tale da non poter rendere attendibili quali che siano state le sue dichiarazioni e in secondo luogo il famoso attestato del 1825 dei due infermieri Giorgio Rosenberg e Amedeo Porsche che seguivano giorno e notte il malato riporta in modo inequivocabile che mai i due avevano sentito il loro paziente pronunciare una tale confessione. Il carnefice diventa quindi vittima poiché a conti fatti Salieri fu ingiustamente calunniato. Nonostante le difese in pubblico che il dottor Guldener von Lobes e il giornalista Giuseppe Carpani spesero al tempo dei fatti, Salieri ancora ad oggi è l’invidioso assassino di Mozart. 

Il misterioso messaggero

La storia del “misterioso messaggero” non è del tutto una leggenda e già poco dopo la morte del compositore qualsiasi mistero era stato del tutto svelato e messo per iscritto nel 1839 in un documento, da prima censurato e dal 1937 nuovamente ritrovato dal titolo “Vera e dettagliata storia del Requiem  di W. A. Mozart. Dal principio nell’anno 1791 ai nostri giorni del 1839” di Anton Herzog
Nell’estate del 1791 Mozart venne realmente contattato con la richiesta di comporre una messa da Requiem. Sull’effettivo anonimato del mandante restano diverse perplessità e non tutti gli studiosi ne sono convinti, per quanto il committente aveva tutte le ragioni per celare la propria identità. Il conte Walsegg era un “signorotto di provincia, un dilettante abituato a gloriarsi di lavori altrui” (Napolitano), che spesso si accordava con “diversi compositori perché gli fornissero opere su cui lui avrebbe poi avuto proprietà esclusiva” (Herzog). Tra i suoi ghostwriters c’erano il nostro cantastorie Herzog e persino Franz Anton Hoffmeister. Secondo quanto ha visto Niemetschek oltre il Requiem, il conte aveva richiesto a Mozart un preventivo per l’impegno di “comporre ogni anno un certo numero di quartetti”. La data di consegna della messa era fissata per l’anniversario della morte della moglie Walsegg, il 14 febbraio, ma sappiamo già che andò in tutt’altro modo.Mozart non riuscì a completare il Requiem e a pochi giorni dalla sua morte tutti erano a conoscenza della vera paternità dell’opera. Già il 10 dicembre i direttori di Freihaustheater tennero una commemorazione in onore del compositore eseguendo il Requiem, o ciò che in quel momento era stato scritto. La settimana successiva il Prager Oberpostamtszeitung  documentava che il 15 dicembre a Praga si tenne una “solenne cerimonia funebre” nella chiesa di S. Nicola dove nuovamente il Requiem venne eseguito sotto la direzione di J. Duschek.

Gli ultimi giorni

Le memorie di coloro che hanno sostenuto il musicista negli ultimi giorni di vita hanno favorito alla creazione del mito intorno alla morte di Amadeus. Come sottolinea Solomon, biografo del compositore, “in questi casi, i testimoni hanno la tendenza a entrare in una dimensione mitica ed è quindi difficile separare i fatti dalla leggenda”. Verità o finzione che sia, le testimonianze di quei giorni diventano prove in ogni caso, se non di una descrizione oggettiva dei fatti, del processo di mitizzazione di Mozart. 
La testimonianza della cognata Sophie sullo stato di coscienza lucida fino a un paio d’ore prima del decesso non combacia con la testimonianza di Jean-Baptiste Suard, giornalista, che nei suoi resoconti racconta di un Mozart logorato già da parecchi mesi prima della morte. Ancora dalle testimonianze di Sophie, il compositore nonostante la debolezza della malattia continuava a dettare indicazioni a Sussmayr affinché concludesse il Requiem e come ultimo gesto “fu il tentativo di articolare velocemente i passaggi dei timpani” (lettera del 7 aprile 1825 di Sophie Weber Haibel a Nissen). Questo racconto non corrisponde alla versione di Suard che descrive l’enorme difficoltà con la quale Mozart scriveva il Requiem, plausibile con lo stato fisico completamente debilitato.

Nel primo pomeriggio del giorno della morte, i cantanti Benedikt Schack, Franz Xavier Gerl (primo Sarastro) e Josepha Hofer (prima Regina della Notte) vennero a fare visita al musicista e cantarono le prima battute del Lacrimosa ma quando Mozart “cominciò a piangere convulsamente…la partitura venne messa da parte” (Nissen). Niemetschek conferma che “il giorno della sua morte si fece portare la partitura a letto. <<Non ho forse previsto che scrivevo questo Requiem per me stesso?>>, disse, poi rilesse ancora una volta il manoscritto da un capo all’altro, con attenzione, gli occhi inumiditi dalle lacrime”. 
Dal racconto di Constanze a Nissen, poco prima di morire Mozart ebbe un pensiero per lei e i suoi figli.  

Il giorno della sua morte si fece portare la partitura a letto. “Non ho forse previsto che scrivevo questo Requiem per me stesso?”, disse, poi rilesse ancora una volta il manoscritto da un capo all’altro, con attenzione, gli occhi inumiditi dalle lacrime.

Franz Xaver Niemetschek

Due giorni dopo il trapasso, il 7 dicembre venne celebrato il funerale di Mozart. Fu sepolto in una fossa comune della quale si sono perse le coordinate immediatamente dopo la morte e senza il tempo di fare un’autopsia. Lo stesso giorno Franz Hofdemel, marito di un’allieva di Mozart, si suicidò. Numerose testimonianze narrano di un terribile maltempo che impedì gli amici e famigliari di accompagnare la salma sul luogo di sepoltura. Tutto il quadro della vicenda sembra suggerire una fretta nel seppellire il morto per nascondere una probabile morte sospetta.
Nuovamente l’interpretazione dei fatti è romanzata e incompleta.
Innanzitutto la data del 7 dicembre non corrisponde a quella scritta sul registro mortuario: 6 dicembre, giorno in cui abbiamo notizia di buone condizioni metereologiche. Si è voluto spostare la data del funerale per giustificare l’assenza di persone al cimitero. 
Per come andarono realmente i fatti, il tempo era mite senza un’ombra di pioggia o neve sia il 6 che il 7 dicembre. Dal momento che non abbiamo testimonianze attendibili dell’epoca che descrivono il corteo funebre e la messa in cattedrale, qualsiasi resoconto postumo ai fatti può considerarsi inaffidabile sebbene duro a perdere credibilità, “le fantasie hanno il suono della verità” (Solomon). Molti anni dopo Constanze spiegherà in un’intervista al rappresentante della Gesellschaft der Musikfreunde che nessuno accompagnò il corpo del marito al cimitero perché “allora l’usanza era che il carro prelevasse il defunto, lo portasse in chiesa per la benedizione e quindi direttamente alla tomba”. 

Il funerale fu di terza classe, in una fossa comune. Era quello meno costoso, ma non povero. La maggior parte dei viennesi sceglieva questo tipo di funerale, non solo per un fatto economico (solo 8 fiorini comparati ai 40 della seconda classe e 110 della prima) ma soprattutto per la propensione alle proposte razionaliste dell’imperatore Giuseppe che cercò di semplificare le cerimonie funebri per questioni di economia e igiene. La non partecipazione al corteo funebre è da vedersi nel quadro della “sobrietà che era ormai di norma nei funerali dell’epoca dell’imperatore Giuseppe” (Deutsch). 
Mozart era un uomo della sua epoca, illuminato,  e avrà sicuramente condiviso le nuove idee in tema di morte e cerimonie funebri. La sua fede era “libera da ogni superstizione, la religione dei cuori sensibili e innocenti, vicini ai segreti della natura e della creazione” (Forster), lontano dallo “sfarzo, dall’ipocrisia e soprattutto dalla mediazione ecclesiastica fra individuo e Dio”. Mozart, infatti, non ebbe l’estrema unzione. Poco prima di morire, la cognata Sophie andò a chiamare dei preti, contro il volere del compositore e questi “si rifiutarono perché non era stato il malato a mandarli a chiamare” (Nissen)
Per quanto riguarda il suicidio di Franz Hofdemel, non ci sono abbastanza documenti per collegarlo con la morte di Mozart, restando quindi una pura casualità. 

Chi ha avvelenato Mozart?

Mozart morì per la perdita di significato della propria vita, per la perdita totale di fiducia nella possibilità di trovare realizzazione in ciò che più desiderava nel profondo del cuore.

Norbert Elias

Purtroppo ancora ad oggi non è possibile ricostruire con chiarezza le cause della morte del compositore poiché manca un autopsia ed un certificato di morte (al tempo non era obbligatorio richiederlo). Le cause della morte possono essere molteplici. 
Nel corso di due secoli diversi medici hanno ipotizzato possibili diagnosi: insufficienza renale cronica, aggravata da infezione terminale, una probabile infezione streptococcica della gola ed una emorragia cerebrale nella fase finale della malattia sono quelle più plausibili. L’ipotesi della sifilide, basata essenzialmente su pettegolezzi, è difficilmente presa in seria considerazione. 
L’ipotesi di un avvelenamento, anche di natura iatrogena (causata dai medici), è stata rigettata nella quasi totalità degli studiosi. L’assenza di documentazioni su tremore, demenza e particolare salivazione, indicativi di un avvelenamento cronico da mercurio escludono l’ipotesi di intossicazione da questo medicinale estremamente utilizzato nella medicina dell’epoca.

Lo stesso Mozart nei primi di novembre influenzato dalle numerose suppliche della moglie accantonò la scrittura di Requiem e si riprese tanto da riuscire a concludere la Piccola cantata massonica in tempo per il 17 novembre, giorno della celebrazione della nuova loggia. 
Come riferisce Constanze, Mozart le disse “Si, capisco che sono pazzo ad aver avuto un’idea tanto assurda come quella di essere stato avvelenato, ridammi il Requiem che lo continuo”. Tale richiesta fu fatale, “ricadde nella precedente malinconia”, tornarono le paranoie dell’avvelenamento e dal 20 novembre rimase a letto senza “mai più rialzarsi!” (Niemetschek).

Come scrive Otto Fenichel, psicanalista: “Nelle depressioni malinconiche, è comune l’idea delirante di essere avvelenati, la quale deve la sua origine nel credere di venir distrutti da una forza oralmente introiettata”. Solomon aggiunge che “Un nemico esterno può essere individuato, affrontato, respinto, ma un nemico interno, proteiforme, nascosto, mascherato, ha in ostaggio l’essere stesso dell’individuo; per sradicarlo, bisogna rivolgere le armi contro sé stessi”.

Alla domanda Chi ha avvelenato Mozart? la risposta sembra essere “Mozart stesso”. La sua vita, seppur breve, è stata intensa e usurante. L’infanzia passata in giro per l’Europa a compiacere ricchi nobili, la giovinezza spesa ad inseguire i successi teatrali e a metabolizzare i lutti che la sua famiglia ha dovuto subire, hanno avvelenato nel vero senso del termine l’animo indubbiamente sensibile del compositore portandolo alla morte. 

Norbert Elias, sociologo, mette in rilievo proprio questo aspetto psicologico di Mozart evidenziando di come nell’ultimo anno il compositore fosse sull’orlo della disperazione, “morì per la perdita di significato della propria vita, per la perdita totale di fiducia nella possibilità di trovare realizzazione in ciò che più desiderava nel profondo del cuore”. 
La condizione famigliare era precaria tra continui cambi di residenza, debiti accumulati e il distacco affettivo della moglie. Il pubblico di Vienna non era più interessato alla sua musica. 

Mozart era alla ricerca dell’amore da tutta la vita. Probabilmente sin dall’infanzia soffriva all’idea di non essere amato e il rapporto con il padre si costruì su questa esigenza. Quando Mozart decise di intraprendere una vita da libero artista in contrapposizione a ciò che il padre desiderava per lui, ovvero musicista nelle corti più ricche d’Europa, la ragione di vita di Mozart divenne quella di uscire dallo stato di servilismo alla quale, musicista borghese del suo tempo, era costretto a piegarsi.
Perse la sua personale battaglia e insieme ad essa l’amore degli altri che tanto aveva cercato. “Giunto così presto alla fine della vita, sentì che non aveva l’amore di nessuno, nemmeno di se stesso”. 
Il dramma personale di Mozart è in realtà universale: l’insensatezza della vita e l’incertezza della stessa. “Questa è la sua e la nostra tragedia; quella dell’umanità”.

Linda Iobbi

Responsabile Multimedia

Made in Rome with vodka flavour. Mi piace osservare il mondo con gli occhiali del musicista, purtroppo pianista.

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