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Beethoven e le dodici variazioni dal Giuda Maccabeo di Haendel

di Gianluca Cremona - 25 Marzo 2017

Beethoven

Quando viene nominato Beethoven è assai comune che all’ascoltatore medio sovvenga un personaggio molto serioso, rabbioso, rude; e, allo stesso modo, quando si pensa alla sua musica, viene in mente l’incipit della quinta sinfonia, i violenti accordi introduttivi della Patetica o la cruda drammaticità della Kreutzer. Possiamo quindi affermare che il musicista di Bonn nasconde un lato spiritoso, giocoso e soprattutto sperimentale che non fu subito colto nell’Ottocento, era degli eroi romantici, degli artisti tormentati, dei sognatori che si oppongono, col cosiddetto streben (“sforzo), alle forze incontrollabili che dominano il mondo. Il Beethoven ironico, virtuoso dal punto di vista compositivo, coi suoi giochi ritmici, i suoi accenti spostati, gli sforzati inattesi, sembra aver aperto una strada che è stata solcata per la prima volta solamente all’inizio del ‘900, da parte di autori che faranno di una musicalità improntata sul ritmo la loro insegna, come ad esempio un certo Igor Stravinsky.

Da questo punto di vista potrebbero essere suggerite molte composizioni del musicista tedesco, anche monumentali, a partire dall’umoristica Ottava sinfonia, ma un brano in particolare, assai meno conosciuto, può essere d’aiuto al lettore per avvicinarsi a questo “nuovo” lato di Beethoven: le  12 variazioni per violoncello e pianoforte – o meglio “per pianoforte e violoncello”, data la difficoltà per il primo – sul tema “See the Conquering Hero comes” dall’oratorio Giuda Maccabeo di Haendel, composte del 1796.

Nell’esposizione del tema vediamo già un aspetto molto curioso: la parte cantabile, ovvero la melodia di quello che è a tutti gli effetti un corale, viene affidata immediatamente al pianoforte, e non al violoncello, che diviene, nella sua semplicità, un bizzarro accompagnatore, quasi come se una parte dell’orchestra si dissociasse e si contrapponesse all’insieme, o addirittura come uno strumento obbligato che supporta il coro.

Il tutto è atto a spogliare, almeno inizialmente, il tema dalla sua monumentalità. Le dodici variazioni avranno l’obiettivo di ritrovare questa solennità perduta, e il povero soggetto di Haendel sarà costretto a percorrere un lungo viaggio: verrà scomposto, rielaborato, accompagnato da terzine di note ribattute, scambiato fra pianoforte e violoncello in duetti “a imitazione”, fino ad arrivare alle ultime tre variazioni, due brani virtuosistici inframezzati da un delicato Adagio tipicamente Beethoveniano. Un altro elemento da sottolineare è lo Sforzato che nel tema vediamo alla sesta battuta, che diventa un punto di riferimento per ogni variazione, anche quando non è scritto: viene sempre sottolineato musicalmente, a dimostrazione che l’aspetto ritmico, in Beethoven, è insito e strettamente collegato a quello armonico-melodico. Sarà divertente vedere come, in molte variazioni, il medesimo sforzato sarà proprio il protagonista in un gioco di rimandi ritmici fra pianoforte e violoncello.

Questa composizione cameristica, poco conosciuta, occupa un posto di rilievo fra le opere “minori” di Beethoven, per la sua fresca genialità, l’inventiva e la capacità rielaborativa che renderanno il musicista di Bonn uno dei capisaldi per quanto riguarda la forma Tema – variazioni.

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