5 Ascolti per incontrare Mozart (all’opera)
di Lorenzo Papacci - 7 Maggio 2016
E’ risaputo che Mozart fu un genio precocissimo, inestimabile dall’enorme produttività; il catalogo delle sue opere viene superato solo da quello delle opere di Telemann, complice il fatto che questo morì a 86 anni mentre il genio salisburghese morì giovane a 35 anni. Il Grove Dictionary lo definisce come :“il compositore più universale della storia della musica”, questo perché compose per tutti i generi musicali allora esistenti, dalla musica strumentale a quella sacra, al lied e naturalmente non poteva mancare l’opera lirica.
Mozart infatti, compose 23 opere liriche, sia in lingua tedesca che in italiano, come era già avvenuto per gli altri generi cominciò prestissimo. Già a 11 anni, nel 1767, compose “Die Schuldigkeit des ersten Gebots” (“L’obbligo del primo comandamento”), un singspiel sacro del quale gli fu commissionata la prima parte dall’Arcivescovo di Salisburgo in collaborazione con altri due compositori. Nello stesso anno, per l’università dei benedettini, compose “Apollo et Hyacinthus”, un intermezzo per l’opera “La clemenza di Creso” di Rufinus Widl, e in realtà questa è la prima vera opera dell’autore essendoci la sua sola firma. Questa precocità può stupire, ma la grandiosità della produzione di questo autore è data soprattutto dalle grandi innovazioni che portò nel dramma per musica, specialmente nelle sue ultime opere, piuttosto che da fatti anagrafici.
Infatti, parliamo di un rinnovamento della drammaturgia musicale notevole, sia dal punto di vista musicale che da quello della caratterizzazione dei personaggi. La musica nelle opere di Mozart non è solo un elemento di accompagnamento e di ornamento del testo e del virtuosismo dei cantanti, ma svolge una funzione narrativa importantissima che nell’opera di epoca metastasiana, che lo aveva preceduto, era molto oscurata mentre egli la rende sempre veicolo di senso. Lo stesso Metastasio, nelle sue lettere, si era lamentato che i compositori che musicavano i suoi libretti pensavano ad accompagnare il canto, ma non ponevano in musica quelle sensazioni espresse nel testo. Mozart invece narra attraverso la musica di pari passo al testo, lo amplifica e lo approfondisce facendoci anche andare al di là di quello che vediamo semplicemente sulla scena, la bellezza della sua musica è che essa parla e a volte comunica più delle parole.
Le altre grandi innovazioni sono sul piano della storia, che diventa unitaria e non più segmentata com’era prima nell’opera, e sul piano dei personaggi, egli lavorò insieme con i suoi librettisti, per far sì che questi tendessero maggiormente al realismo,creando così i primi personaggi veramente moderni che non fossero più statici, ma soggetti a cambiamenti emotivi e quindi non più l’espressione astratta di un singolo sentimento, dal quale erano “affetti” secondo l’ottica cartesiana. Nel “Flauto Magico”, ad esempio, assistiamo al percorso di purificazione e cambiamento che affrontano Tamino e Papageno per liberare Pamina, diventando così uomini saggi che hanno finalmente la visione del reale. Ma il primo, più emblematico e stravolgente caso è quello di Donna Elvira nel “Don Giovanni”: questa è una donna tradita da Don Giovanni (non sappiamo bene se l’abbia proprio sposata e abbandonata) ed entra in scena cercandolo per fargliela pagare (Mozart le fa ripetere ben 13 volte: “gli vo’ cavare il cor!“), ma poi questa viene messa dal servo Leporello di fronte alla realtà di essere una tra le tante conquiste, poi si innamorerà nuovamente di lui maledicendo il suo “ingiusto core” e quando verrà tradita nuovamente, e questo è il culmine della novità di questo personaggio, invece di raddoppiare la sua furia capisce di avere a che fare con un essere diabolico che è l’incarnazione del male e così si veste di pietà cristiana e prova a redimerlo. E’ evidente che ci troviamo in una situazione molto diversa rispetto a personaggi che portano avanti un solo carattere dall’inizio alla fine di un’opera e questo farà sì che nell’opera di fine ‘700 (e nella musica in genere) si parli di “età mozartiana”.
Il primo ascolto viene dal “Flauto Magico” (“Die Zauberflote”). Questa è un’opera basata su una storia fiabesca, nella quale entrano in gioco ad un livello più profondo la simbologia egiziana, l’idea della ragione illuministica e il principio massonico del miglioramento dell’individuo. E’ interessante che dopo aver superato le prove Tamino (e quindi il pubblico) capisce che quello che sembrava il male, Sarastro e il suo regno, in realtà è la conoscenza e la luce, mentre la Regina della Notte diventa il simbolo del male e dell’oblio dei sensi e dell’anima. In questa aria Sarastro invoca gli dei Iside e Osiride affinché vigilino su Tamino e Papageno che dovranno affrontare prove molto dure per maturare e accedere al regno della luce, Sarastro accenna anche all’eventualità che i candidati possano perire nelle prove e auspica che in quel caso possano raggiungere la beatitudine nel regno di Iside e Osiride. In questo il musicologo Hermann Abert ha visto una professione di fede di Mozart, intendendola come la conseguenza di una lettera in cui Wolfgang scrisse al padre di aver familiarizzato con l’idea della morte, che per lui non risultava più come spaventosa. Pur facendo riferimento a questa eventualità l’aria di Sarastro è priva di pathos e risulta, invece, estremamente razionale, solenne e sacerdotale, anche l’accompagnamento di corni di bassetto, fagotti, tromboni, viole e violoncelllo che non prevede corni, oboi, flauti, violini e trombe è proprio pensato per avere un’atmosfera raccolta e priva di forti slanci sonori. Anche la linea vocale è evocativa del ruolo di Sarastro: essa è basata su grandi intervalli ed è tipica dei canti sacerdotali da basso, qui ha quasi una valenza profetica.
“Le nozze di Figaro” fa parte delle opere italiane di Mozart ed è basata sul “Matrimonio di Figaro” di Beaumarchais : quest’opera destò un grande scandalo a causa del violento monologo politico che Figaro fa contro la nobiltà nel V atto, questo portò a vietare quest’opera a Parigi a causa degli ideali rivoluzionari che propugnava. Il grande scrittore Lorenzo da Ponte, che scrisse 3 opere per Mozart, modificò questo monologo nel IV atto facendolo diventare un discorso contro le donne per non destare eccessivo clamore, poiché in quest’opera già cade l’ideale settecentesco del governante illuminato e vediamo un nobile, il Conte d’Almaviva, che vive dando sfogo ai suoi più bassi istinti. Dall’altro lato Da Ponte eliminando quel monologo crea anche un filo conduttore con le due opere successive, che tratteranno i temi della fedeltà e della dissolutezza e nel monologo fa dire a Figaro che le donne sono: “…streghe che incantano/per farci penar,/ sirene che cantano /per farci affogar…son orse benigne,/ colombe maligne,/ maestre d’inganni, /amiche d’affanni /che fingono, mentono, /amore non senton,/ non senton pietà…”.
Come abbiamo detto il tema di queste opere è un filo conduttore ma secondo molti, a ragione, c’è un personaggio, quello dell’uomo dissoluto, che troviamo nelle tre fasi principali della vita: ne “Le nozze di Figaro” troviamo Cherubino, che è un giovane ragazzo molto affascinato dalle donne alle quali non sa ancora come approcciarsi e per punizione verrà mandato all’esercito. In “Don Giovanni” l’intera opera tratta l’estrema dissolutezza del protagonista che è un uomo adulto che riesce a sedurre qualsiasi donna che incontra e vive solo per quello, nella famosa “aria del catalogo” il suo servo Leporello afferma che egli ha conquistato donne di ogni genere: “V’ha fra queste contadine,/ cameriere, cittadine,/ v’han contesse, baronesse,/ marchesane, principesse,/ e v’han donne d’ogni grado,/ d’ogni forma, d’ogni età”. Infine, in “Così fan tutte”, c’è Don Alfonso che è un vecchio filosofo che, ormai anziano e privo di vigore fisico, spinge gli altri verso la dissolutezza elargendo malevoli consigli. Questa ipotesi, oltre ad essere molto affascinante, evidenzia la grande genialità di Da Ponte che è riuscito a creare tre personaggi che portano avanti un ideale progressivo.
Questa è l’aria che Cherubino canta nel primo atto de “Le nozze di Figaro”: è una canzonetta che egli canta a Susanna ed è il manifesto del suo stato, egli sente di amare ogni donna che vede e non sa gestire questa situazione, è ossessionato dall’amore anche quando dorme e non sa come fare infatti, nel testo leggiamo: “…ogni donna cangiar di colore, /ogni donna mi fa palpitar./ Solo ai nomi d’amor, di diletto/ mi si turba, mi s’altera il petto,/ e a parlare mi sforza d’amore / un desio ch’io non posso spiegar!”. Queste parole possono farci anche provare tenerezza per questo giovanotto innamorato e inesperto, ma vedremo poi (se vogliamo seguire l’ipotesi di sopra) che nel “Don Giovanni” Mozart e Da Ponte lo faranno diventare un demone.
La seconda opera che Da Ponte scrisse per Mozart è “Don Giovanni”, se “Le nozze di Figaro” destò scandalo la cosa con “Don Giovanni” peggiorò, poiché in quest’opera viene rappresentato un nobile spagnolo come un essere diabolico che va contro ogni moralità e ogni legge, sia umana che divina. Egli è un ingannatore e un “diabolus” (nel senso di divisore dal greco “dia-ballo”), nell’opera è la figura centrale che tenta di raggirare tutti e Mozart per far risaltare questa immagine, lo fa cantare sempre in risposta ad un diverso interlocutore, facendogli ripetere il motivo dell’altro una quinta più basso e quindi senza mai dargli un carattere proprio ma facendogli prendere quello dell’interlocutore come “maschera” per ingannarlo. Don Giovanni si adatta sempre ai vari stili di canto di coloro con i quali ha a che fare: nel caso di Masetto un contadino, nel caso di Donna Anna una nobile etc. La parte più turpe di Don Giovanni non è ciò che canta quindi, ma come lo canta! Colei che riuscirà ad affrontare Don Giovanni direttamente è Donna Elvira: questa infatti, avrà una funzione di “collante sociale” e riuscirà a riunire tutti contro di lui svelando i suoi inganni.
In questo quartetto Elvira irrompe in scena avvertendo Donna Anna sulla malvagità di Don Giovanni e rendendo l’azione concitata. La melodia d’entrata di Elvira è melanconica e segue uno stile tragico alto, la linea melodica ha il suo culmine sulla settima battuta sulle parole “me già tradì quel barbaro” e termina in maniera più dolce con le due battute successive dove troviamo un motivo con la tonica, Re, ribattuta tre volte e una cadenzina di tre note sulle parole “te vuol tradire ancor”. Questa sezione è importantissima, poiché in questo quartetto Donna Anna e Don Ottavio non sanno a chi devono credere e leggendo il testo non riusciamo a capirlo bene, qui entra il genio di Mozart che lo evidenzia attraverso la musica mettendo le parole di Elvira su un piedistallo infatti, troviamo quel motivetto finale della frase di Elvira ripetuto prima dal violino, poi dal clarinetto e per ultimo dal flauto a simboleggiare l’eco di queste parole prodotte da un animo puro, sottolineando la loro importanza e poi la fiducia della coppia. A questo punto entrano Donna Anna e Don Ottavio, che cantano le stesse parole e lo stesso motivo per intervalli di terza e di sesta, la melodia che cantano è la stessa di Elvira leggermente variata e questo ci fa capire a chi stanno via via credendo, anche qui ritroviamo, per ben due volte, il motivetto di sei note sulle parole “m’empiono di pietà” che viene nuovamente echeggiato nell’orchestra, prima dal violino e poi dal clarinetto e dal flauto. I due nel contemplarla dicono: “che aspetto nobile, che dolce maestà!”, parafrasando gli ideali di bellezza e virtù teorizzati dal Winckelmann nella formula di “nobile semplicità e quieta grandezza”, che allora risultavano come un canone estetico molto importante. In questo quartetto Anna e Ottavio risultano quasi come degli spettatori esterni che commentano la scena come un coro antico. Per ultimo, prima che si intreccino le linee vocali dei 4, entra Don Giovanni che vuole mettere in cattiva luce Elvira e portare i due dalla sua parte e, sulle parole “la povera ragazza è pazza amici miei”, canta una scala cromatica discendente volutamente burlesca, ma poi anche lui riprende il motivetto di Elvira per mascherare il suo animo turpe in nobile e ingannare i due sulle parole “forse si calmerà”, anche qui il motivo verrà ripreso dal violino e poi dal clarinetto e dal flauto a riprova della grande valenza delle parole di Elvira che ha questa potenza virtuosa lungo tutta l’opera.
Come si è già detto, Mozart fa parlare sempre Don Giovanni in risposta a qualcuno e “Fin ch’han dal vino” è uno dei rarissimi momenti in cui lo sentiamo parlare per primo e possiamo vedere i caratteri del suo canto, nella sua aria vediamo tutto ciò di cui abbiamo parlato prima, la sua figura dipinta come un essere diabolico. Questa aria segue quella di Don Ottavio che è placida, melodica e molto lirica, mentre questa è un’aria violentissima e principalmente ritmica infatti, non troviamo una melodia ben sviluppata ma più la ripetizione, in forma variata, di un accordo a una velocità veritiginosa. Don Giovanni esce fuori come un personaggio che non da spazio musicale al lirismo, alla melodia e quindi al sentimento, ma è febbrilmente ossessionato dalla sua voglia di vita. Con la sua povera melodia Mozart, lo caratterizza con un vuoto psicologico che lo porta all’azione e al movimento e non al pensiero, infatti quest’aria da delle istruzioni a Leporello e non è espressione dei sentimenti, come è solitamente un’aria, poiché Don Giovanni nella definizione di Massimo Mila è “il vuoto al centro di un vortice”, siamo in una sorta di nichilismo musicale. Jean Victor Hocquard disse che con quest’aria il salisburghese creò un “inno all’irresistibilità”, è interessante anche la forma metrica infatti, essa è scritta in quinari, un metro che nella retorica poetica ha sempre indicato l’ira e molto spesso le presenze demoniache (basti pensare all’“Inno a Satana” di Carducci) qui rappresenta la violenza cieca di Don Giovanni e la sua diabolicità. Il quinario ha l’accento principale sulla penultima sillaba e su questa Mozart mette sempre due note ad indicare la sua doppiezza e così facendo il motivo perde d’equilibrio per indicare il suo delirio di egolatria. Anche alla forma bisogna fare attenzione perché pure qui esce la genialità di Mozart infatti, egli usa il rondò strumentale che ha la struttura ABACA con il ritorno circolare continuo del primo motivo, questa forma sta a simboleggiare la fissazione mentale continua di Don Giovanni che torna inesorabilmente nella sua mente e solo un genio poteva rendere narrativa una forma strutturale.
L’ultimo ascolto è il terzettino “E’ la fede delle femmine” da “Così fan tutte”: qui Don Alfonso, un vecchio filosofo, fa dubitare Guglielmo e Ferrando della fedeltà delle proprie mogli dicendo che tutte le donne sono infedeli e che se metteranno le loro alla prova non avranno esiti diversi, questo, infatti, dice che la fedeltà delle donne è “come l’Araba Fenice/ che vi sia ciascun lo dice/ dove sia nessun lo sa!/”. Questi versi non sono originali di Da Ponte ma ripresi dal “Demetrio” di Metastasio cambiando solo “amanti” con “femmine”, è soggettivo quanto questa citazione possa essere accettata artisticamente e va riconosciuto che il libretto di Da Ponte è stato criticato nel corso del tempo. Come abbiamo già detto Don Alfonso, secondo alcuni, rappresenterebbe Don Giovanni nell’ultima parte della sua vita, egli ormai vecchio fa sì che gli altri diventino infedeli e vadano contro la morale e infatti, Guglielmo e Ferrando, dopo che lui avrà istillato il dubbio nelle loro menti, diverranno delle pedine nelle sue mani. Anche se questo libretto ottenne molte critiche oggi è stato completamente rivalutato e in un’analisi più profonda vediamo come questa sia solo apparentemente una storia comica, invece c’è un pessimismo di fondo che vede l’uomo come predestinato ad agire in negativo con una natura maligna e già il titolo “Così fan tutte” è in realtà una pessimistica affermazione della bassezza umana.
Lorenzo Papacci