Gustav Mahler e il tempo dell’anima: Ich bin der Welt abhanden gekommen
di Adele Boghetich - 8 Aprile 2021
Dopo essere rimasto a lungo fedele al mondo fiabesco di Des Knaben Wunderhorn, Gustav Mahler si rivolge al delicato lirismo di Friedrich Rückert, colto poeta e filologo orientalista. In quei versi di ricercata musicalità, letti per la prima volta nella primavera del 1901, Mahler coglie pulsioni della propria vita interiore: inquietudine, senso di velata melanconia, desiderio di straniamento dal mondo, rapimento estatico in luoghi solitari di una Natura incorrotta. Ne nascono i cinque Rückert-Lieder, elegiache confessioni d’anima dal carattere elegante e struggente, e il ciclo dei Kindertotenlieder. La scelta cameristica di dolente luminosità della scrittura musicale – esperienza acquisita dopo la composizione della Terza e Quarta sinfonia – ne marcherà la distanza dai Wunderhorn-Lieder.
Ich bin der Welt abhanden gekommen… Sono scivolato via dalle mani del mondo, e non mi importa se mi considera morto… Io sono davvero morto al tumulto del mondo e riposo in un angolo silenzioso! Vivo solitario nel mio cielo, nel mio amore, nel mio canto… È il 16 agosto 1901. Mahler è fuggito via da Vienna per rifugiarsi in Carinzia, nella villetta di Maiernigg sul Wörthersee con annessa “casetta di composizione” nel bosco. Vive solo. Non conosce ancora Alma, che incontrerà in novembre, ed è scivolato via dalle mani del mondo per ritagliarsi momenti di preziosa solitudine tra i luoghi della sua Natura. In quell’angolo silenzioso, l’estasi di cielo, amore e canto nella trasparenza di una propria, visionaria Arcadia: temi bucolici, che Rückert aveva riscoperto nell’antica lirica “italiana”, da Lucrezio e Virgilio ai Madrigali del Tasso, ora intrisi di tensione romantica tesa alla ricerca di una Ruhe che non diviene catarsi ma elegia di delicata interiorità, di atarassia spirituale. Il soggetto poetico in prima persona (ich) rende intima ogni allusione, ogni rimando.
Un pizzicato d’arpa, una franta melopea del corno inglese, l’entrata sommessa del corno, e la melodia del Lied (per comodità, tratta dalla riduzione per canto e pianoforte) prende lentamente forma, in pianissimo
per introdurre la declamazione dolente della prima strofa, dilatata nella trasparenza dei timbri più delicati:
Ich bin der Welt abhanden gekommen
mit der ich sonst viele Zeit verdorben.
Sie hat so lange nichts von mir vernommen,
sie mag wohl glauben ich sei gestorben![Sono scivolato via dalle mani del mondo, con il quale ho già sprecato troppo tempo. È così tanto che non sente più parlare di me, che può ben credere che io sia morto!]
Dall’immobilità tonale emergono flebili richiami di oboe, clarinetto e corno inglese, voci di una Natura empatica e commossa
e l’umbratile melisma di gestorben, subito ripreso, in eco, dal corno:
La seconda strofa scorre come confessione di vita, canto di straniamento dell’artista da un mondo in cui non vuol più riconoscersi:
Es ist mir auch gar nichts daran gelegen,
ob sie mich für gestorben hält.
Ich kann auch gar nichts sagen dagegen,
denn wirklich bin ich gestorben der Welt.[Neanche a me importa se mi considera morto. E non posso neanche contraddirlo perché sono davvero morto per il mondo.]
Il canto, sostenuto dal contrappunto di archi e arpa, sembra voler abbandonare il carattere solista per fondersi con le voci dell’orchestra e poter cedere alle accorate battute finali del violino ‘solo’ che, con espressione, conclude la strofa in pianissimo
Note frante del corno inglese disciolgono il loro canto nel colore degli archi per introdurre gli ultimi versi:
Ich bin gestorben dem Weltgetümmel
und ruh’ in einem stillen Gebiet!
Ich lebe allein in meinem Himmel,
in meinem Lieben, in meinem Lied.
[Io sono morto al tumulto del mondo e riposo in un angolo silenzioso! Vivo solitario nel mio cielo, nel mio amore, nel mio canto.]
Ora la musica assume il fascino della trasfigurazione, del morire dal mondo per vivere in dimensione “altra”, intima, solipsista. I punti di tensione melodica di ruhe [riposo] e stille [silenzioso], armonizzati in accordo minore, arrestano la tensione tonale della pagina intensificandone la staticità armonica e ritmica.
La sospensione del tempo apre la “visione”, eterea come il cielo [Himmel] in cui riflettere amore [Lieben] e canto [Lied]: un amore dal valore assoluto, espanso poeticamente già da Rückert mediante l’infinito sostantivato Lieben; un canto che sembra racchiudere in sé, morendo nella quiete della tonalità d’impianto, l’intera poetica mahleriana.
Un delicatissimo gioco di “ritardi” melodici dilata ancor più la rarefatta trasparenza del finale strumentale di questo canto straordinariamente intenso: un Lied di «puro sentimento, che però non trabocca», come confesserà Mahler all’amica Natalie Bauer-Lechner, aggiungendo «proprio come me!».
Sulla stessa Stimmung, e per le sonorità di soli archi e arpa, nell’estate seguente Mahler comporrà il famoso Adagietto, oasi di meditazione e oblio dal mondo tra i clangori della Quinta sinfonia: un’affinità naturale nell’evoluzione di opere cronologicamente non distanti ma che sembrano, entrambe, voler eternare il tempo dell’anima in luoghi eterei, sospesi, infiniti. Ma quel tirarsi fuori dal mondo è destinato a ritornare ancora in Das Lied von der Erde, sublimato nella commozione del congedo su versi di quiete Zen per porgere l’ultimo addio al mondo, tra orizzonti illuminati d’azzurro, eternamente.
Adele Boghetich
Adele Boghetich è autrice di Amore e solitudine in Gustav Mahler, Rückert-Lieder e, con Nicola Guerini, di Mahler. Dialoghi tra musica e poesia (2021), percorso estetico attraverso la sua intera produzione liederistica e sinfonica.