L’opera ritrovata: l’omaggio di Rota a Bach torna alla luce dopo settant’anni
di Luca Cianfoni - 4 Giugno 2025
L’opera era sempre stata lì. A dir la verità la sua prima versione era andata perduta, ma poi il compositore l’aveva riscritta e quei fogli manoscritti erano sempre stati lì, in un faldone negli archivi dell’Orchestra della Città Metropolitana di Bari. L’opera aspettava solamente di essere svelata per poter essere ascoltata. Una musica fugace, aspra, rigorosa, onirica, che fino ad oggi si era fatta ascoltare solamente attraverso il pianoforte. Dal 30 gennaio scorso, grazie all’intuizione del direttore artistico dell’istituzione orchestrale barese Vito Clemente e al lavoro di riscoperta di Angela Annese, studiosa e interprete di Rota, le Variazioni e Fuga nei 12 toni sul nome di Bach di Nino Rota hanno avuto la loro prima esecuzione assoluta nella versione orchestrale.
«Personalmente è stato un grandissimo privilegio poter sentire quei suoni prendere vita – racconta Angela Annese, impegnata nell’esecuzione come pianista. “Già alla prima lettura è stato come se un bulbo, tenuto al buio sottoterra durante un lunghissimo inverno, a poco a poco emergesse, un petalo alla volta, sino a rivelarsi un giacinto meraviglioso, con i suoi petali tanto piccoli, numerosi, con i suoi colori stupendi e un profumo intensissimo. È stato proprio così».
Dunque, erano sempre rimaste lì quelle Variazioni e Fuga. D’altronde Annese le cercava da tempo perché il sentore che da qualche parte fossero “nascoste” c’era. Ne parlava proprio Rota in una lettera del 3 dicembre del 1956 alla cugina Titina Rota – illustre artista, scenografa e costumista per l’opera lirica e per il cinema. Il compositore pugliese d’adozione, dopo aver composto il brano per pianoforte, aveva realizzato una versione sinfonica di queste Variazioni e Fuga, destinata ad essere eseguita a Bari dove lui era direttore del Liceo Musicale. Ci sono voluti quasi settant’anni per ascoltare questo capolavoro composto da Nino Rota.
Doveva essere eseguito nel dicembre del ‘56 per i trent’anni del liceo, ma non c’erano tracce del brano né di questa esecuzione. Programmi di sala, annunci sui giornali, assolutamente nulla.
Nino Rota compose il brano pianistico tra il 1950 e il 1951, in occasione dei 200 anni dalla morte di Bach, ma senza avere una commissione, tanto che la prima esecuzione assoluta del brano avvenne nel 1955 a Schaffhausen, in Svizzera, interprete la pianista Rita Wolfensberger, artefice anche della prima italiana, all’Accademia Chigiana nel 1957. L’idea di Rota era quella di rendere omaggio a Bach alla sua maniera, comporre qualcosa di arduo e sfidante, un vero e proprio “cimento”, come racconta Angela Annese.
«Mi pare che Rota non abbia guardato alla letteratura prodotta nel tempo in relazione a Bach ma piuttosto abbia concepito un personale omaggio coerente con la propria poetica e sempre nel solco della tonalità, cioè, nelle sue parole, “nei 12 toni, ma non dodecafonico“.
E credo anche al cimento, tutt’altro che facile, di creare 12 pezzi, che sono delle piccole gemme, che hanno ognuno una specifica autonomia espressiva seguendo però l’obbligo di passare da quei suoni (si bemolle, la, do, si naturale) nell’inventare in tutte le tonalità generate dalle dodici note della scala cromatica. Sono quei quattro suoni in successione, infatti, a collegare le variazioni l’una, con l’ultima nota, all’altra, con la prima: ad esempio, se un’ultima battuta di una variazione è Do, la variazione successiva comincia con il Si naturale, non come nota prima iniziale, ma diciamo come base, come bordone.
È un susseguirsi proprio delle quattro note, è questa la cosa mirabile, formidabile, cioè il fatto che Rota abbia mantenuto la necessità, appunto coniugandola con la libertà di invenzione.
Così come il cimento è anche quello di un’amplissima fuga il cui tema è fatto dalle dodici note – le prime quattro B-A-C-H e poi le altre otto – che diventano tema.
La sfida era proprio quella di riuscire a costruire un pezzo fresco e vivissimo e tuttavia obbligato. Ogni variazione è una creazione in sé autonoma nel piano espressivo e insieme perfettamente collegata all’assunto principale.»
Una musica “difficilissima”, come la definisce lo stesso Rota in una lettera indirizzata alla madre, ciò che probabilmente condizionerà anche la futura diffusione del brano nei repertori concertistici dei pianisti. Composto il brano pianistico, l’autore perde il proprio manoscritto e quasi non ha cuore di ricostruirlo, come scrive sia alla madre che al compositore Mario Castelnuovo-Tedesco. Nel 1952, però, vince lo scoraggiamento e riscrive il brano, più tardi trascrivendolo per orchestra. Infatti, l’intenzione del compositore, testimoniata dai preparativi dell’evento cui Rota accenna nella lettera sopra citata – la lettera e altri documenti, non solo su queste Variazioni e Fuga, possono essere visti nella mostra online Nino Rota e il pianoforte, a cura di Angela Annese e Francisco Rocca, basata sui materiali conservati nel Fondo Rota presso la Fondazione Giorgio Cini a Venezia – era quella di far eseguire questo brano proprio nel 1956 in occasione del trentennale del Liceo Musicale di Bari dall’Orchestra della Fondazione “Niccolò Piccinni” nata in seno all’istituzione musicale, di cui Rota ha guidato l’attività dei concerti ed è stato direttore. Di questo evento non si hanno però tracce, né dalle lettere del compositore, né dalle cronache musicali dell’epoca, così come si sono perse le tracce delle fonti dell’opera, finché all’incirca un anno fa la luce è tornata a splendere su quei fogli.
«Nel marzo dello scorso anno» – racconta Annese – «sono stata invitata a un incontro dal direttore artistico dell’Orchestra Sinfonica della Città Metropolitana di Bari, Vito Clemente, il quale aveva rilevato nell’archivio musicale dell’orchestra un faldone di materiali riuniti sotto il titolo Variazioni e Fuga sul nome di Bach ma non lo aveva ben identificato essendo quel titolo assente dal catalogo sinfonico rotiano. Non appena aperto il faldone ho pianto, perché era tutto lì, tutto quello che si riteneva perduto, tenuto tutto insieme: il manoscritto autografo del brano pianistico scritto a matita e datato dicembre 1952, perfettamente conservato, le parti d’orchestra manoscritte non autografe della versione sinfonica e altri preziosi materiali. Quella del manoscritto pianistico è sicuramente la versione ricostruita, perfettamente corrispondente alla stesura che l’autore ha fatto realizzare allora da un copista ed è poi stata utilizzata per la pubblicazione. Nel fascicolo relativo al pezzo per pianoforte ci sono anche la Proposta e le prime tre Variazioni trascritte per due pianoforti, cosa di cui non si aveva la minima idea. E poi ancora un foglio di appunti autografi che riporta un tema della Terza Sinfonia e un altro del Concerto per orchestra a cui Rota stava lavorando in quel periodo. Infine, cinque copie eliografiche della stesura del copista ricche di annotazioni autografe: su alcune, correzioni di note per la versione finale, su altre, annotazioni relative all’orchestrazione segnate con precisione su pentagrammi tracciati a matita. Un ritrovamento davvero notevole, soprattutto sul piano filologico, che fornisce elementi importanti riguardo alla genesi della composizione e al lavoro di orchestrazione. Le parti d’orchestra, complete, risultano inutilizzate: nessun segno, nessuna arcata, nessuna diteggiatura, a conferma dell’ipotesi che il pezzo per orchestra non sia stato mai eseguito. Manca la partitura; unico elemento in tal senso è la fotocopia di una stesura redatta da un fidato collaboratore di Rota, Italo Delle Cese, che ha apposto sul frontespizio la propria dedica all’autore. Una fotocopia, conservata anche nel Fondo Rota a Venezia, di incerta provenienza e troppo sbiadita per consentire una pur sommaria lettura del brano.»

Una scoperta formidabile e anche un po’ miracolosa, se si pensa che il faldone ha nel tempo subìto diversi spostamenti tra i vari archivi, musicali e non, a cui è appartenuto. Il primo in assoluto è stato quello del compositore, il quale probabilmente ha tenuto questo faldone con sé a Bari.
«È più che possibile che Rota abbia tenuto il faldone con sé nel suo ufficio di direttore al Conservatorio di Bari, che era anche il suo luogo di residenza, così da averlo a disposizione qualora avesse ritenuto di ritornarvi. Era sua abitudine lavorare fino all’ultimo momento alle sue opere, e anche dopo la prima esecuzione ci tornava su. Non mi sono stupita, dunque, di aver trovato il pezzo pianistico e quello orchestrale insieme.»
Sulla versione per orchestra delle Variazioni e Fuga Rota non sembra in effetti essere ritornato, neppure quando all’inizio degli anni ’70 il musicista Guido Farina, suo caro amico, lo aveva invitato a proporre suoi lavori per la pubblicazione presso l’editore Carisch, che si avvaleva della sua consulenza.
«In questa circostanza Rota ha proposto, oltre ad altre composizioni, le primigenie Variazioni e Fuga in dodici toni sul nome di Bach per pianoforte e non anche la versione orchestrale del brano, lo sappiamo con certezza dalla corrispondenza. Evidentemente lo ha accantonato, ma non lo ha disconosciuto né lo ha eliminato; lo ha tenuto piuttosto accanto a sé, come cosa sospesa, che infine ha lasciato nel luogo cui l’opera era inizialmente destinata.»
Non appena aperto il faldone ho pianto, perché era tutto lì, tutto quello che si riteneva perduto, tenuto tutto insieme: il manoscritto autografo del brano pianistico scritto a matita e datato dicembre 1952, perfettamente conservato, le parti d’orchestra manoscritte non autografe della versione sinfonica e altri preziosi materiali.
Una scoperta del genere, però, non poteva lasciare vuota questa casella nel catalogo rotiano: del ritrovamento sono stati informati gli eredi e la casa editrice (Carisch al tempo, Ricordi oggi), per poterne realizzare un’edizione ricostruita a partire dalle parti d’orchestra e con l’ausilio di quella sbiadita fotocopia della partitura. Questo è avvenuto con il contributo del compositore Nicola Scardicchio, profondo conoscitore della musica di Rota che è stato suo maestro, e con l’apporto in fase di prima esecuzione del direttore d’orchestra, l’inglese Neil Thompson.
«È arrivato preparatissimo e già innamorato di Rota. Non era la prima volta che dirigeva a Bari la sua musica e ha molto approfondito lo studio di questo brano. È stato interessante lavorare con un direttore non italiano, di formazione e cultura diverse dalle nostre. Ha guardato questo brano scevro da qualunque forma di sentimentalismo, qualunque occhio o orecchio particolare, non condizionato da memorie, ricordi o conoscenze, ha guardato questo brano da musicista, come a un brano nuovo da eseguire, da inserire nel suo repertorio. Questo è stato molto importante perché ha avuto uno sguardo partecipe ma sempre oggettivo e molto preciso su quel che la musica richiedeva. Le prove sono state per noi una grande gioia e l’esecuzione è stata anche una festa per questa città, che è molto legata a Rota e nella quale la presenza di questo compositore è sempre viva, non solo nei ricordi.»
Il 30 gennaio 2025 le Variazioni e Fuga nei 12 toni sul nome di Bach hanno risuonato per la prima volta a Bari nell’Auditorium Nino Rota del Conservatorio Niccolò Piccinni, nel concerto inaugurale della stagione 2025 di quell’Orchestra Sinfonica della Città Metropolitana di Bari che aveva e tuttora custodisce questo tesoro nel proprio archivio.
È stato emozionante poter battezzare un inedito di questa importanza nella città in cui Rota ha vissuto e operato che non molto tempo fa, nell’ottobre del 2023, aveva già ospitato la prima esecuzione assoluta della sua Messa di Requiem composta a dodici anni. Rota per Bari non è un musicista qualunque ma un artista e una persona a cui tutti, anche i più giovani, sono legati, se non per averlo conosciuto (io stessa non ho avuto questa fortuna) attraverso la memoria delle tante persone tuttora in vita che hanno avuto il privilegio di conoscerlo; ed è un autore molto frequentato nei conservatori di Puglia, dove i suoi brani si studiano e si eseguono agli esami regolarmente: per questo è stato un concerto molto sentito. L’opera oggi ritorna a nuova vita e devo dire che è un pezzo bellissimo, che è piaciuto molto al pubblico, che era numerosissimo e ha gremito l’Auditorium; la cosa esaltante è che il brano orchestrale è risultato anche diverso dalla versione pianistica, ha un colore espressivo più intenso, forse più scuro, anche in virtù di un’orchestrazione molto ricca, più di quella, per esempio, delle Variazioni sopra un tema gioviale, che sono più o meno coeve. Un’orchestra ricchissima, dall’ottavino al controfagotto, da una corposa sezione di ottoni a una significativa presenza degli strumenti a percussione insieme agli archi, all’arpa e al pianoforte, che ho avuto il privilegio di suonare, e che in talune variazioni riprende quasi esattamente la scrittura della versione pianistica originale, mentre in altre è totalmente diverso, messo al servizio della resa complessiva. Il risultato è molto diverso, non solo per via dei timbri o dei pesi o dei volumi o degli equilibri, ma anche in virtù del fatto che più strumenti consentono più parti e dunque una tessitura più ricca e armonie più sfumate, più mobili, e in taluni momenti è proprio così. È stata davvero un’esperienza speciale, ed è stato bellissimo poterla condividere.

La ricostruzione della vicenda di questo brano di Rota ritrovato è contenuta anche in Perdute e ritrovate: storia avventurosa delle Variazioni e Fuga nei dodici toni sul nome di Bach per pianoforte/orchestra di Nino Rota, incluso nel volume Prove d’orchestra. Nino Rota e la sua musica da concerto, a cura di Dinko Fabris e Michela Grossi, Barletta, Cafagna Editore, 2025.