L'Arte della Fuga è davvero un'opera incompleta?

Intervista a Stefano Greco, autore di una nuova interpretazione dell'Arte della fuga di Bach presentata alla University of California di Los Angeles.

LArte della Fuga di Bach è uno dei capolavori più enigmatici della storia della musica di tutti i tempi. Oltre all’incredibile fascinazione musicale e al grado di complessità architettonica di tutta la costruzione, ad aver contribuito alla fascinazione che l’opera ha avuto per secoli su ascoltatori e studiosi è senza dubbio la sua natura enigmatica: l’organico strumentale di destinazione non è mai stato definito, la sua incompiutezza e i riferimenti numerologici si prestano a numerose interpretazioni; persino la scelta dei nomi dei singoli brani, definiti Contrapuncti invece che Fughe (come il titolo avrebbe suggerito, peraltro) non fanno che infittire il mistero sopra questa partitura bachiana.

Tra le innumerevoli interpretazioni su cui i musicologi e gli interpreti si sono confrontati spicca sicuramente quella di Alberto Basso, uno dei principali luminari italiani nell’ambito bachiano, che nel suo celebre tomo “Frau Musika” ha collegato la struttura della Kunst alla retorica degli affetti, di gran moda fino al periodo tardo barocco; altri studiosi e interpreti come Sergio Vartolo hanno collegato l’opera bachiana alla produzione di Frescobaldi, in particolare per quel che riguarda la scrittura a quattro pentagrammi, ma anche per l’utilizzo di contrappunti con svariati soggetti (come nei ricercari Frescobaldiani, tra l’altro).

Una lettura alternativa l’ha proposta di recente il pianista e studioso Stefano Greco, in una lunga lecture alla UCLA, l’Università di Los Angeles che, come tutte le istituzioni di istruzione superiore negli Stati Uniti prevede nell’inquadramento didattico anche una facoltà di musica e musicologia. Le tesi di Greco si basano sul raccordo tra l’opera bachiana e uno dei capolavori della retorica musicale barocca, la Musurgia Universalis di Athanasius Kirchner, poliedrico gesuita tedesco che ha disseminato scoperte e intuizioni negli ambiti più disparati del sapere umano. Unendo i puntini che collegano queste due opere monumentali, sostiene il pianista, si può ricostruire un nuovo ordine dei brani, spiegare il perché i titoli siano “contrapunctus” invece che “fuga” e persino mettere in dubbio l’idea che l’opera sia, a tutti gli effetti, incompiuta.

“Sono partito dalla lettura del testo musicale: ho trovato immediatamente delle stranezze, delle incongruenze rispetto alla gran parte delle altre composizioni bachiane. Ci sono delle asimmetrie, delle mancanze di collegamenti tra i vari contrappunti dell’arte della fuga: alcuni, che effettivamente apparivano legati l’uno all’altro, si trovavano ad una grande distanza l’uno dall’altro. Ho provato quindi a ricostruire un ordine più coerente rispetto a quello che abbiamo nelle normali edizioni. Continuando le mie ricerche sull’Arte della Fuga, ho scoperto che nell’unico manoscritto esistente dell’arte della fuga l’ordine dei contrappunti è diverso rispetto a quello delle normali edizioni a stampa, e quei famosi contrappunti legati ma distanti di cui parlavo prima in realtà erano collegati.”

“Era troppo singolare per essere una coincidenza: tramite la Biblioteca di Stato di Berlino sono riuscito a procurarmi una copia digitale di questo manoscritto, per cercare di intuire la logica profonda dell’ordine dei contrappunti e la differenza tra questo e le edizioni. La cosa interessante è che nella prima edizione, uscita circa dieci anni dopo, erano stati aggiunti dei contrappunti che non sono presenti nel manoscritto. Capire la logica che era presente fin dal primo manoscritto era necessario per inserire in un ordine sensato quelle aggiunte che erano state inserite a partire dalla prima edizione. Una volta completato questo progetto, e parliamo di diversi anni fa, ho inciso una versione dell’arte della fuga secondo quest’ordine.”

“Solo tempo dopo sono capitato invece in una nuova scoperta ancora più interessante: il collegamento tra l’Arte della Fuga e la Musurgia Universalis di Athanasius Kirchner. Questo libro, pubblicato in prima edizione proprio cento anni prima dell’arte della fuga, era già popolarissimo durante la vita di Bach, e offriva tantissimi spunti per risolvere vari problemi legati all’arte della fuga. Ma andiamo con ordine.

Una delle illustrazioni della “Musurgia Universalis”

“Perché le fughe presenti nell’arte della fuga si chiamano Contrapuncti? Anche nella Musurgia Universalis, scritta in latino, le fughe sono chiamate contrapuncti: è probabile che Bach si sia rifatto alla stessa terminologia. Perché l’arte della fuga, che notoriamente non ha una destinazione strumentale definita, le composizioni sono scritte sempre su quattro pentagrammi? Perché anche nella Musurgia di Kircher sono scritte così. Il gesuita sosteneva che scrivere in quattro pentagrammi facesse molto più facile la lettura. Poi c’è un altro dato interessante che collega le due opere, ma occorre fare un passo indietro: nella mia prima ipotesi, quella della “vecchia incisione”, avevo provato a raggruppare le composizioni dell’arte della fuga in dodici “capitoli”; guarda caso, nella Musurgia Universalis è proprio Kircher a parlare del numero 12 in merito alle figure retoriche, ognuna delle quali corrisponde perfettamente alle caratteristiche di questi capitoli, che sono scritte all’interno dei contrappunti stessi di Bach.”

“Questo aiuta a spiegare perché alcune delle prime fughe, anzi dei primi conrapuncti, non presentino un vero e proprio controsoggetto, ma ci sia una ripetizione costante del tema: questo si spiega con la figura retorica della repetitio, in cui l’autore deve ripetere il suo enunciato (in questo caso il tema) senza interferenze. Il controsoggetto, in breve, avrebbe distratto l’ascoltatore. Ancora: ci sono due contrappunti, nel capitolo sesto dell’ordine che ho proposto nella mia lettura dell’opera, che rappresentano la figura retorica dell’antitesi perfettamente: il primo termina con un tema che viene utilizzato capovolto all’inizio del secondo; quest’ultimo invece termina con il tema principale del primo, a sua volta capovolto. Secondo Kircher, con questa tecnica, si dovrebbero rappresentare i sentimenti contrastanti, la figura che piange con quella che ride, per esempio.

Nel contrapunctus n.14 c’è un altro dato interessante. Sappiamo che nella numerologia, il 14 è il numero di Bach se si sommano i “valori” numerici associati alla posizione delle lettere che ne compongono il cognome nell’alfabeto (B= 2, A=1, C= 3, H=8), e Bach, usava spesso questo fattore numerico, oltre che come tetragramma, come sigillo delle sue opere. Ora, questo contrappunto è l’ultimo contrappunto dell’arte della fuga come la conosciamo oggi, che ho incluso nel capitolo dodicesimo della mia proposta di ordine e che fa riferimento alla figura retorica della Repentina Abruptio, secondo l’ordine di Kirchner. Questa figura retorica, come è facile intuire, dovrebbe portare l’autore ad interrompersi come se fosse sopraggiunta la morte perché “davanti alla visione di Dio vengono meno i desideri dei peccatori”.

Siamo soliti pensare che Bach abbia lasciato l’arte incompleta perché effettivamente sopraggiunse la morte, in seguito ai problemi causati dall’operazione del celebre medico John Taylor – ne abbiamo parlato qui. Però ci sono dei problemi anche su questo.

“In realtà – spiega Greco – il fatto che Bach abbia interrotto la fuga per cause naturali è già stato messo in discussione in passato. Cristoph Wolff, docente di Harvard e Musicologo di fama internazionale, ha sostenuto più volte che Bach abbia finito di scrivere il Contrapunctus XIV nel 1748, due anni prima della sua morte, quando era ancora in perfetta salute. Per questo motivo si domandava in un articolo intitolato “The Last Fugue. Unfinished?” se ci fosse un manoscritto ulteriore che contenesse la parte finale dell’ultimo contrappunto perché non si spiega il perché Bach l’abbia lasciata incompiuta. Era perfettamente in salute quando ha completato il manoscritto che oggi noi consideriamo definitivo (quello custodito alla Biblioteca di Stato di Berlino, ndr). E non spiega neppure perché il manoscritto sia insolitamente disordinato per gli standard bachiani: sempre Wolff si domanda perché nell’ultimo foglio siano stati utilizzati solo due righi, neppure completi per giunta, e perché gli ultimi righi della pagina non siano neppure scritti in parallelo. Sostiene lui che in realtà Bach avesse già pronto un altro foglio, che oggi abbiamo perduto, sul quale proseguire l’opera. Io mi sono spinto un po’ oltre, invece: se associamo effettivamente l’opera di Bach alle figure retoriche di Kircher e in particolare quest’ultimo contrappunto alla figura della repentina abruptio, tutto si tiene. Specie se andiamo a notare il fatto che, per giunta, la musica si interrompe alla battuta 239. Sommando due, tre e nove si ottiene, non a caso, proprio quattordici.”

Carl Philipp Emanuel Bach

Però Carl Philipp Emanuel Bach, il più celebre tra i figli del Kantor ha messo mano a questo manoscritto: nel suo intervento afferma che “Su questa fuga, dove il nome BACH (che è lo stesso crittogramma citato prima) appare nelle note che formano il controsoggetto, l’autore morì”. Questo commento è stato contestato da più parti per vari motivi, che arrivano persino a questionare l’autenticità della mano di Carl Philipp dietro a questo commento.

Ma Greco ha una prospettiva diversa: “è possibile che questo commento sia effettivamente di Carl Philipp Emanuel Bach, io questo non lo posso escludere, ma posso fare delle altre osservazioni: innanzitutto è probabile che non sapesse nulla di quest’opera o comunque delle intenzioni profonde che vi erano dietro, perché si trovava a 200 chilometri di distanza dal padre quando questi morì. Una cosa che è certa invece è che quando Bach morì, i suoi figli impilarono i fogli che oggi compongono l’arte della fuga così come li avevano trovati per mandarli in stampa, tanto è vero che la prima edizione dell’Arte della Fuga, che presenta lo stesso ordine dei contrappunti delle edizioni moderne, presenta due volte la stessa fuga a distanza di quattro contrappunti, semplicemente perché nella prima delle due versioni mancavano le prime battute. Chiaramente si tratta di una svista, che poi è stata corretta nelle edizioni moderne, ma l’ordine è identico. Perché dico questo? Perché questo aiuta a spiegare perché l’ordine che abbiamo noi oggi sia palesemente frutto di un errore.

È significativa poi la scelta del corale che conclude l’arte della fuga, Wenn wir in hoechsten Noethen (oppure Vor deinen Thron tret ich hiermit, secondo le edizioni dell’Ottocento), il cui testo recita “O Dio, accogli me di fronte al tuo trono” in tedesco. Non è altro che la ulteriore riprova dell’aderenza di Bach a quell’interruzione dei desideri dei peccatori di fronte alla Visione di Dio descritta proprio da Kirchner.”

Questa intervista di fatto è una sintesi della più lunga lezione che Greco ha tenuto l’8 marzo scorso per la facolta di musicologia della UCLA, che è disponibile integralmente al video qui sotto.

 

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