Divulgatore per un giorno - Cenerentola: dalla fiaba al capolavoro di Rossini

Da quando è nata, Quinte Parallele cerca di incuriosire i lettori più familiari e di avvicinare sempre più persone interessate alla grande musica classica (e non solo) attraverso articoli e contenuti divulgativi di vario genere, lavorando con passione ed entusiasmo. Tra le mission fondamentali della rivista, però, c’è anche quella di dare libero spazio di espressione a giovani scrittori che vogliano raccontare, a modo loro, la musica in tutte le sue molteplici sfaccettature e declinazioni.
In quest’ottica nasce la rubrica “Divulgatore per un giorno”, curata dal nostro Marco Surace, che negli scorsi mesi ha guidato un gruppo di studenti di musica del Conservatorio Franco Vittadini di Pavia nella ricerca della loro personale voce e della loro identità di divulgatori musicali.

Il quinto articolo della rubrica è un excursus di Eleonora Moro sulla storia letteraria e musicale di una delle fiabe più apprezzate e conosciute da grandi e piccini: Cenerentola.

Carl Offterdinger (1829-1889) -Illustrazione per “Cenerentola”

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Cenerentola: dalla fiaba al capolavoro di Rossini

 

Siamo fatti di storie e racconti, narrazioni di vite passate e presenti, immaginazioni future: esse costituiscono un bagaglio di esperienze dirette e indirette attraverso cui osserviamo la realtà, modificando il nostro immaginario, cambiando gli occhiali con i quali guardiamo il mondo.
Tra i racconti fondativi del nostro bagaglio di vissuti e della nostra cultura ci sono anche le fiabe, e poche sono famose al pari di quella di Cenerentola, come dimostrato dai numerosi modi di dire entrati nell’uso comune: si dice “cenerentola” di una persona mite costretta a una vita di fatiche, o di una che si riscatta da una vita misera assurgendo a una condizione migliore, o di qualcuno che si ritira a casa ad un’ora fissata, oppure di qualcuno con i piedi piccoli.
La più celebre versione di questa fiaba è sicuramente il film d’animazione di Walt Disney (1950), che ha segnato l’infanzia di generazioni di bambini, e a mio avviso memorabile anche per alcune trovate geniali (soprattutto nei personaggi secondari dei topolini). Walt Disney si è ispirato a Charles Perrault, che nel 1680 pubblicò la fiaba nel volume I racconti di Mamma Oca (a sua volta l’autore francese l’aveva tratta da una trascrizione di Giambattista Basile del 1634, La gatta cenerentola). Altra riscrittura degna di essere menzionata è quella dei fratelli Grimm di un secolo e mezzo più tardi, 1812-22.
Tali versioni prevedono un canovaccio simile, su cui si inseriscono delle varianti: la storia della bella e buona giovane, orfana e vessata dalla matrigna e dalle sorellastre, costretta a umili lavori accanto al camino, la cui vita cambia quando il principe del paese dà un ballo e lei, dapprima esclusa, riesce a parteciparvi aiutata dalla fata madrina (in alcune versioni la madre defunta). L’incantesimo però si infrange a mezzanotte e Cenerentola, scappando, perde una scarpina di cristallo (o d’oro, o di pelliccia, o un anello, o un braccialetto). Il principe giura di sposare colei che riuscirà a calzarla. La provano anche le sorellastre (che cercano di ingannare il principe tagliandosi le dita dei piedi, nella versione di Grimm), ma alla fine Cenerentola riesce a sposare il principe e perdona le sorellastre (Perrault) o queste vengono duramente punite (Grimm).

Gustave Doré (1832-1883) – Cenerentola


La storia di Cenerentola è stata di grande ispirazione anche per il mondo della musica classica
, avendo interessato compositori come Sergej Prokofiev, Jules Massenet, Johann Strauss junior e, in ambito italiano, Gioacchino Rossini (1792-1868). Considerato uno dei compositori più importanti per il teatro d’opera, Rossini ci ha consegnato una peculiare trasposizione della fiaba, un’opera buffa, amata dal pubblico al pari dell’altro suo capolavoro Il Barbiere di Siviglia.
La carriera del “Cigno di Pesaro” si sviluppa negli anni tra il 1810 e il 1829, momento in cui in Europa si affermano le creazioni musicali del Romanticismo. Il genere operistico, e Rossini stesso, vengono svalutati e disprezzati dai romantici tedeschi; ciononostante il melodramma italiano si sviluppa e si trasforma in modo autonomo. Rossini è il protagonista indiscusso della scena operistica, rimanendo legato alle proprie radici settecentesche, al classicismo, al belcanto e al virtuosismo vocale, ricalcando le forme e le convenzioni dell’opera tardo-settecentesca ma, allo stesso tempo, rinnovandole dall’interno. Così facendo, egli porta a conclusione il genere dell’opera comica – che aveva dominato il Settecento ed era caratterizzato da un lieto fine, dalla presenza di personaggi popolari, da una lingua più vicina al parlato quotidiano rispetto all’aulico e da tipi vocali caratteristici – e si approccia all’opera buffa con una vitalità compositiva trascinante e dirompente. Dopo di lui l’opera buffa gradualmente passerà di moda (i romantici, infatti, amavano il dramma e prediligevano lo struggimento piuttosto che il riso), ma a quanto pare mai in maniera definitiva, considerando che ancora oggi le opere rossiniane figurano nei cartelloni delle principali stagioni teatrali del mondo.
Tra queste anche il melodramma giocoso La Cenerentola, ossia la bontà in trionfo, andato in scena per la prima volta al Teatro Valle di Roma il 25 gennaio 1817, su commissione dell’impresario Pietro Cartoni. Il venticinquenne Rossini, allora già noto al pubblico grazie alle precedenti L’italiana in Algeri, Il barbiere di Siviglia, Otello, Tancredi, scelse cantanti famosi per la prima rappresentazione del suo nuovo melodramma. Tuttavia, forse perché i cantanti erano stanchi per le prove concentrate in un breve periodo, la prima recita fu un fiasco. Solo dalla quinta recita iniziò il successo, confermato alla Scala il successivo 25 agosto e l’anno seguente in altre città.

La vicenda scritta da Jacopo Ferretti, il librettista che affiancò il compositore pesarese, è molto diversa da quella di Perrault e da quella dei fratelli Grimm, che veniva pubblicata proprio negli stessi anni; il librettista, infatti, adattò la fiaba al gusto del pubblico romano e alle strutture tradizionali dell’opera comica, perché le opere buffe dovevano essere composte secondo determinate regole e convenzioni.
La matrigna, infatti, è sostituita dalla figura del patrigno, don Magnifico, che raffigura il tipico nobile spiantato, ambizioso e babbeo (figura caratteristica dell’opera buffa, come il Don Bartolo de Il Barbiere di Siviglia), desideroso di esistere solo nel suo eterno delirio di potere, ricchezza, baccanali e vino a volontà: nella scena dodicesima del primo atto è definito “intendente di bicchier (…) presidente al vendemmiar”. L’opera è priva dell’elemento magico: la fata è sostituita dal personaggio di Alidoro, precettore del principe e protettore di Cenerentola, deus ex machina dell’intera vicenda. La scarpina di cristallo, elemento grazie al quale si scioglie il “nodo avviluppato” del racconto letterario, è soppiantata da un braccialetto, consegnato da Cenerentola al principe e con cui la protagonista verrà riconosciuta. Ferretti, inoltre, inserisce un personaggio ex novo, Dandini, servo del principe che scambia con lui gli abiti, creando così l’equivoco dello scambio di persona tipico dei melodrammi buffi e di tanto teatro di prosa.
Dall’atmosfera fiabesca e incantata di Perrault, dunque, si passa al clima grottesco e realistico proprio dell’opera buffa italiana.
Innumerevoli sono state le regie del melodramma rossiniano, alcune delle quali rese celebri da illustri interpreti. Quella realizzata da Jean Pierre Ponelle per il Teatro alla Scala nel 1973, ripresa numerose volte fino all’allestimento del 2019 in onore dell’anniversario della morte del M° Claudio Abbado, è rimasta storica e memorabile, sia per la sua cura dell’elemento musicale e la fedeltà alla partitura sia per la peculiare caratterizzazione dei personaggi attraverso la regia.

Ma, a proposito di partitura, forse vi starete chiedendo come Rossini abbia trasposto in musica la vicenda rielaborata da Ferretti. A tal proposito, ho pensato di proporvi alcuni momenti salienti del capolavoro rossiniano, che ora vado ad illustrarvi. L’opera si apre con una sinfonia, secondo la prassi tipica dell’epoca: era un uso nato nel Settecento per esigenze pratiche (richiamare l’attenzione del pubblico su quello che stava per iniziare), ma verso la fine del secolo acquista un valore funzionale alla rappresentazione perché ne introduce il clima, anticipando i temi musicali presenti nell’opera. In quella di Cenerentola, infatti, si avverte nettamente il tema del concertato finale I atto, in un indiavolato momento di massima tensione drammaturgica. Questa sinfonia non era originariamente scritta per la Cenerentola, ma per un’altra opera (La Gazzetta); pratica non inusuale, data la velocità con cui le opere venivano composte e messe in scena. Tra l’altro, anche l’aria finale di Cenerentola era stata scritta l’anno prima per il tenore di Barbiere e poi qui spostata. L’Allegro che segue il Maestoso iniziale, introdotto da una misteriosa frase di violoncelli, contrabbassi e fagotti (secondo la tradizionale struttura bipartita delle sinfonie), presenta una delle caratteristiche salienti della scrittura rossiniana, il celebre “crescendo”. La tecnica consiste nella ripetizione di un motivo da parte dell’orchestra, in cui le sezioni di strumenti entrano gradualmente e nel contempo eseguono un crescendo dinamico del volume, a volte accompagnato da un accelerando: l’effetto suscita una fretta e una concitazione crescenti che trasportano vertiginosamente verso l’esplosione del finale.

 

Altra caratteristica peculiare della musica rossiniana è il canto di coloratura: un canto fiorito, ricco di note veloci, vocalizzi e agilità; già tipico della tradizione del belcanto, Rossini lo impreziosisce attribuendogli un significato espressivo, senza lasciare che sia un virtuosismo esibizionista e sterile.
Per esempio, nel duetto d’amore tra Cenerentola e don Ramiro al loro primo incontro, il canto è ricco di vocalizzi, trilli e messe di voce, ad indicare “come la fiorettatura rossiniana, sostenuta da un’orchestra palpitante, possa diventare espressione di un’estasi amorosa” (come scrive il celebre musicologo Alberto Zedda nell’articolo La Cenerentola, dramma giocoso del 1998).

 

Anche Dandini, quando si presenta in scena simulando di essere il principe e parlando un linguaggio fintamente forbito, canta un’aria piena di virtuosismi e infiorettature; in tal caso, il senso della coloratura è ironico, accompagna un personaggio che finge di essere ciò che non è, impreziosendo con sofismi musicali il discorso.

 

La coloratura più straordinaria di tutta l’opera è nella grande aria finale di Cenerentola, il suo trionfo. È veramente ammirevole l’intuizione di Rossini che, attraverso volatine rapidissime di note, riesce a raffigurare musicalmente il fulmine veloce (“come un baleno rapido”) che si abbatte dalle note più acute fino a terra. E la frase del rondò “non più mesta accanto al fuoco” viene ripetuta tre volte, ogni volta sempre più fiorita: essa non solo evita una monotona ripetizione, ma rappresenta l’espressione di gioia di Cenerentola che gradualmente cresce fino a sfociare in un’ebbrezza di note.

Eleonora Moro 

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