Uno sguardo alla Cenerentola di Rossini

ossia La bontà in trionfo

Autore: Redazione

5 Luglio 2019
La Cenerentola, ossia La bontà in trionfo è la seconda opera scritta da Rossini per le scene romane. Un melodramma giocoso in due atti, il cui libretto fu scritto dal poeta romano Jacopo Ferretti. Sull’origine di tale connubio artistico l’aneddotica è notevole, e spesso la leggenda si è mescolata alla storia reale di come andarono i fatti.

Nonostante le controversie che avevano accompagnato la prima del Barbiere di Siviglia (l’altra opera romana scritta da Rossini, che debuttò nel febbraio del 1816 al Teatro Argentina di Roma) Pietro Cartoni, l’impresario del Teatro Valle, altro storico tempio capitolino della lirica, aveva proposto sin da subito al compositore un nuovo contratto. La commissione riguardava una nuova opera buffa per l’apertura della stagione di carnevale. Come si evince dal contratto, Rossini avrebbe dovuto accettare qualsiasi libretto gli venisse imposto, qualsiasi modifica i cantanti o la direzione artistica avessero chiesto, e presenziare al cembalo come maestro accompagnatore almeno per le prime tre recite. Lo spartito sarebbe inoltre dovuto restare di esclusiva proprietà dell’impresario, elemento questo molto importante per capire il funzionamento del melodramma in un contesto di antico regime restaurato, dove la proprietà intellettuale dell’autore, ad esempio introdotta nei codici napoleonici in altre zone d’Italia, era ormai superata.

Rossini arrivò a Roma alla metà di dicembre del 1816, e il librettista impostogli, il poeta romano Jacopo Ferretti, terminò il primo atto soltanto il giorno di Natale. Ferretti stesso racconta, nelle sue memorie, come fu proprio la favola di Cenerentola – di antica ascendenza extraeuropea, e portata al successo da Basile e Perrault – a destare la curiosità del compositore che altrimenti non sembrava propenso ad accettare un suo libretto. Inizialmente l’opera che avrebbe dovuto andare in scena era stata scritta da Gaetano Rossi, e si intitolava Ninetta alla corte; Ferretti avrebbe dovuto intervenire in aiuto in alcune parti. La censura non accettò però il soggetto del libretto di Rossi, chiedendo diverse modifiche. Il tempo non era più sufficiente e fu perciò necessario correre ai ripari, chiedendo al poeta romano di produrre un libretto all’ultimo minuto. Rossini compose la musica simultaneamente alla ricezione dei versi, arrivando a completare l’opera in ventiquattro giorni. La Cenerentola andò in scena al Teatro Valle di Roma per la prima volta il 25 gennaio 1817, e nonostante una prima accoglienza piuttosto fredda, divenne ben presto uno dei più travolgenti successi dell’operista pesarese, superando persino la fama, oggi assai più consistente, del Barbiere di Siviglia.

La Cenerentola si iscrive nella grande tradizione, ormai già consolidata, dell’opera buffa italiana, che aveva acquisito una propria strutturata fisionomia a partire dalla metà del XVIII secolo, conoscendo un successo panitaliano e poi anche continentale. L’autore più importante dei drammi giocosi per musica del secolo precedente era stato, non a caso, il commediografo Carlo Goldoni, la cui riforma del teatro, vòlta ad una più approfondita caratterizzazione psicologica dei personaggi, aveva influito notevolmente sulla storia della cultura italiana. Ne La Cenerentola si racconta la vicenda della misera e sventurata Angiolina, orfana di madre e tenuta prigioniera in casa a sbrigare le faccende domestiche dal patrigno Don Magnifico, nobile di Montefiascone. Cenerentola conduce una squallida esistenza quotidiana, fatta di angherie e soprusi, vivendo all’ombra del patrigno e delle due sorellastre Tisbe e Clorinda, le quali sognano di maritarsi un principe ricco e famoso. Quando l’occasione propizia si presenta, grazie all’arrivo in casa del principe Ramiro, nobile di Salerno, le due sorellastre fanno di tutto per farsi notare e invitare al ballo. Ma Ramiro si presenta in realtà sotto mentite spoglie, travestito da scudiero, lasciando che a recitare la sua parte sia il fido Dandini, suo personale cameriere. Mentre Dandini non potrà che constatare la superficiale arroganza e il bieco arrivismo delle due sorelle, il filosofo di corte, Alidoro, escogiterà un astuto piano per far arrivare a palazzo la sua prescelta, la misera Angiolina, della quale ha sin da subito riconosciuto la virtù e il cuore puro e sincero. Tra equivoci e travestimenti, rivelazioni e colpi di scena, Ramiro ritroverà la sua amata accanto al fuoco, riconoscendola per un braccialetto che si erano scambiati a palazzo (la scarpina non garbava al Ferretti), e i due convoleranno a giuste nozze. L’epilogo felice, in cui a trionfare non è la ricchezza materiale ma la virtù morale, non poteva esimersi da un catartico perdono collettivo per le sofferenze subite, che la futura principessa accorda alla sua famiglia, dimostrando di essere l’emblema della bontà e della rettitudine.

La musica di Rossini è esplosiva e brillante, arricchendo di notevoli sfumature e variazioni il classico repertorio stilistico dell’opera buffa. Il belcanto rossiniano si basa quasi sempre su un movimento armonico semplice ed immediato, arricchito da virtuosistiche colorature e diminuzioni, che trasformano anche la più elementare struttura scalare in un’esplosiva successione di melismi e fioriture di grande difficoltà esecutiva. I pezzi d’insieme sono il marchio di fabbrica del compositore pesarese, che ci regala duetti comici irresistibili come quello tra Dandini e Ramiro, che perseverano nel simulare il loro scambio, o il sestetto del secondo atto quando, scoperto l’inganno, tutti i personaggi in scena esprimono il loro sconcerto cantando a canone in una sempre più cacofonica sillabazione nonsense. Lo stupore e l’imbambolamento sono elementi precipui dell’opera buffa: in Rossini sono sempre presenti alla fine del primo atto, quando la situazione drammatica raggiunge vette di incongruenze paradossali e il concertato, cui spesso si aggiunge il coro, trascina la scena all’acme della tensione, in una successione di pezzi chiusi a catena senza alcun inframezzo di recitativi. Non mancano anche dei notevoli numeri solistici, declinati a seconda delle qualità del personaggio: si va dalla grottesca cavatina di Don Magnifico, in cui egli racconta uno strano sogno che lo vedeva impersonato in un somaro, all’aria di bravura, aggiunta successivamente, che Alidoro, personaggio semidivino, canta prima di far salire Cenerentola sulla carrozza che la condurrà a palazzo.

Dietro ad un messaggio positivo di bontà e perdono, sostenuto da una musica vitale ed entusiasta, non manca però una sottile velatura malinconica, a ribadire la genialità più introversa del suo autore: in un mondo aristocratico, restaurato ma in netta decadenza, le relazioni umane sempre più false e gli equilibri sociali sempre più angusti offrono a Rossini un bersaglio troppo ghiotto per non ironizzarci sopra. E il sarcasmo, si sa, nasconde sempre uno sguardo disincantato e un sottile atto d’accusa.

Alessandro Avallone

Teatro Regio Parma – Accademia Verdiana

Articoli correlati