Divulgatore per un giorno - Missisblues

Da quando è nata, Quinte Parallele cerca di incuriosire i lettori più familiari e di avvicinare sempre più persone interessate alla grande musica classica (e non solo) attraverso articoli e contenuti divulgativi di vario genere, lavorando con passione ed entusiasmo. Tra le mission fondamentali della rivista, però, c’è anche quella di dare libero spazio di espressione a giovani scrittori che vogliano raccontare, a modo loro, la musica in tutte le sue molteplici sfaccettature e declinazioni.
In quest’ottica nasce la rubrica “Divulgatore per un giorno”, curata dal nostro Marco Surace, che negli scorsi mesi ha guidato un gruppo di studenti di musica del Conservatorio “Franco Vittadini” di Pavia nella ricerca della loro personale voce e della loro identità di divulgatori musicali.

Il secondo articolo della rubrica è una riflessione di Thomas Lapillo su due delle tematiche principali della musica Blues: amore e morte.

 


Missisblues – Amore e morte nel Blues

Temi ricorrenti nel blues, hanno costituito sempre delle ossessioni per il nero americano, che nel primo ha visto un’evasione e nella seconda, non di rado, una possibile liberazione da una condizione esistenziale invivibile. Nei testi del blues si parla sempre di un amore adulto, caratterizzato da un’intensa “fisicità” e di una morte circondata da un alone di quotidianità, di accidentalità e persino di indifferenza.

È stato detto della poesia del blues che uno dei suoi caratteri più degni di attenzione è la non comune varietà tematica. I motivi trattati offrono al singolo artista una tavolozza ricca di spunti e situazioni da sviluppare; motivi che si legano soprattutto alla vita quotidiana del cantante blues, anche agli aspetti apparentemente più banali e insignificanti, quelli di una vita che scorre come le acque del Delta del Mississippi da cui tutto ha origine.
I musicisti che hanno dato la voce al blues del Delta lavoravano quasi tutti la terra: Charley Patton, Son House, Tommy Johnson, Skip James, Robert Johnson, B.B. King, Muddy Waters, Howlin’ Wolf e altri. Queste figure avevano sentimenti contrastanti nei confronti del lavoro nei campi: alcuni come John Lee Hooker, appena hanno potuto, sono scappati dal Delta senza mai più voltarsi; altri come B.B. King quasi nutrivano per esso un certo affetto. Proprio quest’ultimo, una volta, ha stimato di aver percorso circa centomila chilometri dietro un aratro prima che la musica lo liberasse dal legame con la terra. “Non lavoravo solo per il raccolto…”, affermò King,

“…mi piaceva davvero. Era bellissimo attraversare le stagioni, aprire le zolle nel freddo dell’inverno, piantare i semi contro il vento di primavera, e raccogliere la fioritura nel caldo dell’estate. Il lavoro della terra ha la sua poesia, dà la sensazione di appartenere a qualcuno e di contare qualcosa”.

Ecco perché nella musica di John Lee Hooker mi pare di ascoltare sempre le radici della sua terra e in quella di B.B. King il frutto di quella stessa terra! Forse chi si allontana e dà un taglio netto, pensando di lasciarsi tutto alle spalle, in fondo in fondo si porterà sempre il fardello del passato con sé, trasformandolo come in questo caso in musica, in arte.
Considerati i legami simbolici di queste canzoni con la terra che le ha generate, è certamente curioso, ma allo stesso tempo perfettamente coerente che la prima e ben documentata ricerca su questa musica sia ad opera di un gruppo di persone che scavavano il terreno. Charles Peabody, un archeologo di Harvard, non pensava certo di scoprire un nuovo genere musicale quando arrivò nel Mississippi per iniziare gli scavi, l’11 maggio del 1901. Per le sette settimane che seguirono avrebbe guidato una squadra di lavoro per fare luce su due cumuli lasciati dai Choctaw (nativi del Sud degli Stati Uniti). Furono rinvenuti numerosi scheletri insieme a utensili di pietra, pipe d’argilla, punte di freccia, campane di bronzo etc.
Ma Peabody, dirigendo i lavori dei suoi braccianti neri, in squadre che variavano dai nove ai quindici a seconda del lavoro, fu sempre meno attratto da quello che trovavano nel suolo e sempre più affascinato da quello che facevano mentre lavoravano. Gli uomini cantavano a lungo brani ripetitivi, e il potere di fascinazione della loro musica rimase nella mente di Peabody per molto tempo dopo il suo ritorno a Cambridge. Non possiamo provare che il curioso visitatore e archeologo di Harvard sia stato il primo testimone delle note blues del Delta, ma nelle sue descrizioni si trovano tutti gli elementi del blues del Delta. Anche se molti associano i canti di lavoro al sud degli Stati Uniti, essi sono rinvenibili in tutta l’Africa e sono normalmente legati a vari mestieri. L’attrice teatrale e scrittrice Frances Kemble, durante la sua residenza in una piantagione della Georgia nel 1839, scrisse che i padroni e i sorveglianti proibivano parole e melodie tristi, incoraggiando solo musica allegra e parole insensate. Solo sei anni dopo, il politico e riformatore sociale Frederick Douglass avrebbe smentito l’opinione che il canto degli schiavi fosse una “prova della loro felicità e soddisfazione”.

La cultura nera è sempre stata ricca di significati nascosti, di linguaggi in codice, e lo spirito del blues ha vissuto una lunga vita sotterranea prima che divenisse prodotto commerciale.

“The blues came down the alley, mama, and stopped right at my door
They give me more hard luck and trouble, than I ever had before”

(Little Brother Montgomery, The First Time I Met You, New Orleans, 1936)

 

I motivi principali, che si legano nella gran parte all’esperienza quotidiana del cantante blues, vanno dal drammatico rapporto con gli spettri crudeli della cattiva sorte – quelli dei “blues” intesi come personificazione di ansie, infelicità, insoddisfazione dei desideri – alla natura degli “incantesimi della siccità” delle alluvioni e delle inondazioni, al carcere, ai disagi economici, al viaggio e alla guerra, sino alle innumerevoli tematiche erotiche e amorose e alla fuga nell’alcool.
I confini tra i singoli temi appaiono nel complesso assai incerti e facilmente varcabili. Sarebbe meglio parlare, in realtà, di una sola, grande tematica che abbraccia l’intera gamma di esperienze vissute e cantate dal bluesman. Una tematica complessiva e comprensiva in cui l’amore e il sesso rappresentano qualcosa di imprescindibile e di ossessivo, che ha lo scopo di unificare. L’amore cantato nel blues non è certo soltanto quello malinconico o nostalgico, ma è un amore vivo, concreto e realistico che ha uno scopo unificatore.
Per tornare ora sui sentieri da cui siamo partiti, mettiamo il focus su uno dei tanti motivi che costellano l’ampio panorama del blues amoroso: quello della morte. Seppur meno utilizzato, esso rappresenta a mio avviso uno degli aspetti poeticamente più interessanti. Il classico ma sempre rinnovato binomio amore-morte restituisce una visione della morte concepita come momento di estrema sofferenza o anche come risoluzione del rapporto amoroso. In definitiva, nel blues della morte c’è una singolare ambivalenza, l’orrore per l’ignoto e allo stesso tempo la capacità di ironizzare di fronte all’infelicità e alle sofferenze della vita quotidiana.

“I want all you women
to listen to my tale of woe
I want all you women
to listen to my tale of woe
I’ve got consumption of the heart
I feel myself sinking so

Oh my heart is aching
and the blues are all around my room
Oh my heart is aching
and the blues are all around my room
Blues is like the devil
they’ll have me hell-bound soon

Blues, you made me roll and tumble
you made me weep and sigh
Lordy lordy lordy
blues you roll and tumble
you made me weep and sigh
Made me use cocaine and whiskey
but you wouldn’t let me die

Blues: blues: blues
why did you bring trouble to me?
Blues: blues: blues
why did you bring trouble to me?
Oh death please sting me,
and take me out of my misery”

(Sara Martin, Death Sting Me Blues , New York, 1928)

Thomas Lapillo

 

    

 

 

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