Ripensare la "musica di Petrarca": Gondai tra poesia e spazio sonoro

Esiste un compositore giapponese capace di riunire nel proprio percorso creativo le cattedrali, la poesia di Petrarca con le influenze più moderne e avanguardistiche e la spazializzazione del suono. Questo compositore risponde al nome di Atsuhiko Gondai, nato nel 1965 e oggi tra i principali rappresentanti della composizione del suo paese, pur essendosi formato tanto nel suo paese quanto in Europa. Compositore e interprete di spicco come organista, Gondai approda con la sua musica al Festival Cristofori, nello specifico ad Arquà Petrarca, in una veste “medievale”.

Il medioevo è un periodo sfaccettato e complesso, tanto che utilizzare un unico termine per definire tutti i secoli di storia che ne fanno parte è inevitabilmente riduttivo. C’è molto altro che lega la sua musica all’occidente e all’Italia in maniere anche poco convenzionali e poco attese. La sua formazione, costruita si in Giappone ma su basi europee e si è poi perfezionata con alcuni dei numi tutelari della composizione contemporanea occidentale, Salvatore Sciarrino su tutti. E le performance in grandi chiese e cattedrali in Europa arricchiscono ancora di più questo legame – Petrarca diventa quasi una scusa per mettere ancora di più in contatto l’universo creativo, anzi lo spazio creativo (e questa parola va tenuta bene a mente per capire il Gondai-pensiero) di questo compositore con le influenze della cultura occidentale ed italiana in particolare. Il Sonetto 333, composto per l’occasione ed affidato alle mani dell’interprete sua connazionale Chisato Taniguchi, evoca immediatamente al pensiero i lavori di Liszt. Ma il lavoro di Gondai va in tutt’altra direzione, per cominciare.

Atsuhiko Gondai, © Schott Japan

D.: Il pezzo che ha scritto per questo concerto è ispirato a un celebre sonetto petrarchesco, il numero 333. Ci sono delle somiglianze rispetto a quello che ha scritto Liszt basandosi su altre opere del poeta?

…prima di iniziare a comporre, ho preso a riferimento i sonetti di Liszt per evitare qualsiasi somiglianza. Come mi è accaduto in passato per altre sue composizioni, non c’è quasi nulla che voglia emulare, e anzi mi sono serviti più come stimolo per scrivere qualcosa di radicalmente diverso.

E c’è invece un qualche tipo di rapporto tra questa musica e la musicalità delle parole di Petrarca?

Man mano che approfondivo il sonetto ho iniziato a “vedere” il suo movimento. L’ho figurato davanti a me, poi l’ho spazializzato e infine gli ho dato una forma in musica. L’incipit “Ite, rime dolenti, al duro sasso che ‘l mio caro thesoro in terra asconde” sembra un grido di disperazione per la perdita di un tesoro nascosto sottoterra, ma poi d’improvviso cambia del tutto direzione, divenendo una chiamata verso il paradiso. La mia musica è guidata da queste parole, e disegna in quella spazializzazione che dicevo prima un grande spazio e con il dinamismo si estende dalla terra, anzi dal sottosuolo fino all’alto dei cieli.

Nella sua formazione ci sono stati molti grandi maestri sia dal Giappone che poi in Europa. Che differenze ci sono tra le due culture e nel modo di insegnare la musica?

In realtà poche, anzi nessuna direi…perché l’educazione musicale alla maniera occidentale è stata completamente importata in Giappone. L’unica vera differenza che rimane, e non è comunque una cosa da poco, è quella del linguaggio.

In passato aveva anche lavorato come produttore della sua musica: questo tipo di attività in qualche modo influenza il suo lavoro creativo?

In realtà per fortuna ho smesso di occuparmi di queste cose, ma all’inizio della mia carriera mi interessava molto questo aspetto. Mi sentivo investito di una certa responsabilità per il modo in cui la mia musica era eseguita e soprattutto avevo bisogno di conoscere lo spazio in cui era eseguita. La produzione dei concerti è diventata una naturale conseguenza di queste necessità, e anche adesso, pur non occupandomi direttamente più di produzione mi sta a cuore lo spazio in cui una composizione viene eseguita. È proprio il mio interesse per la spazialità della musica che mi sta veramente a cuore.

Si dice spesso che la sua musica ha una forte dimensione rituale, radicata nella tradizione cattolica. In che modo questo fatto influenza la sua scrittura?

Una delle principali influenze nella mia scrittura, anzi proprio quella decisiva che mi ha portato a scegliere la composizione, è stata quella di Olivier Messiaen. Sono un cattolico praticante ed ho avuto l’opportunità di suonare come organista in chiese e monasteri molto a lungo, proprio come lui, e questa esperienza è veramente al cuore della mia musica. Del resto, tornando al punto di prima, quando compongo, che sia un brano a carattere religioso, spirituale o meno, la dimensione spaziale che immagino più spesso è proprio quella di una chiesa, una cattedrale. In altre parole, gli spazi e i riverberi che ci sono in una grande chiesa sono la prima cosa che mi viene in mente in termini di “spazializzazione” del suono. Questo perché considero per giunta la mia musica come un’offerta di suono che serve a riempire uno spazio, o che sia comunque raccolta in un determinato spazio, e la musica stessa in questo diventa un rituale.

Il sito dell’editore Schott riporta la sua biografia raccontando anche di un’esperienza interessante: lei ha lavorato a lungo con un monaco buddista e ha anzi trovato delle influenze significative da questa tradizione artistica. Di che si tratta in particolare?

Beh, in un certo senso era quasi inevitabile che un compositore con un background religioso e che vive una forte ispirazione in questo senso come me si sarebbe confrontato col buddismo prima o poi. Considerando quanto sia praticata in Giappone questa religione era quasi inevitabile che arrivassi a confrontarmi con la sua cultura e a collaborare con i suoi monaci. Il Buddhismo ha un suo stile di canto, lo Shomyo, che in qualche modo ricorda quasi il canto gregoriano, ed infatti sono stati il primo punto di contatto tra la mia musica e il buddismo. Dei miei brani composti in questo stile, che hanno ricevuto anche esecuzioni in chiese cattoliche in Europa ed anche in Italia mi hanno portato ad approfondire nel dettaglio il buddismo. Le somiglianze tra Shomyo e canto gregoriano lasciano intendere come buddismo e religione cattolica possano avere numerosi punti di contatto, e così ho continuato a comporre ed approfondire di pari passo il rapporto tra questi due mondi come uno dei temi fondamentali della mia creazione artistica. Sto cercando, in questo momento, di creare della musica che possa esistere in qualche modo solo a metà tra queste due culture, includendo sia le similitudini che le differenze.

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