Unire i tasselli con la musica: il caso Lucas Debargue

Quanti spunti ci sono per un pianista nella letteratura epica?

Lucas Debargue è un pianista atipico. A dare uno sguardo di primo acchitto al suo curriculum, questa affermazione potrebbe sembrare un po’ fuori luogo: come può un pianista che è stato finalista del concorso Tchaikovskij di Mosca, e che ha inciso e suonato con alcune delle orchestre più importanti d’Europa e del mondo, essere in qualche modo “atipico”?

In realtà l’apparenza è più ingannevole del solito, e dietro l’aspetto e il solidissimo mondo sonoro di un pianista solido e già affermato si celano delle notevoli differenze rispetto ai suoi colleghi, che affondano le radici nel percorso di formazione del giovane Lucas prima ancora come persona e poi come musicista, pianista e compositore.

Nella sua biografia salta subito all’occhio il fatto che non si tratta del tipico pianista “prodigio” della più tenera età. Al contrario il virtuoso francese, che aveva iniziato a muovere i primi passi sulla tastiera a dieci anni, si è orientato verso la professione del concertista solo in età più matura, quasi a vent’anni, grazie all’incontro con la didatta russa Rena Shereshevskaya.

Debargue

Ritratto di Lucas Debargue
© Festival Bartolomeo Cristofori

Proprio questa maturazione più “tardiva” rispetto ai processi canonici ha dato a Debargue la possibilità di esplorare e cercare le proprie ispirazioni creative ed interpretative anche in altre forme di espressione artistica e concettuale, che spaziano dal cinema alla filosofia. Quale punto di partenza migliore, dunque, per iniziare una chiacchierata?

Non ho un vero e proprio metro di paragone rispetto agli altri pianisti più tradizionali, anzi non ho molti dei punti di contatto tipici. Ricordo che il mio primo interesse artistico, quando ero ancora molto piccolo, fu quello della pittura e del disegno. Iniziai a prendere delle lezioni e ad appassionarmi ai grandi autori. Poi da lì venne la letteratura, e solo dopo altri lunghi giri sono arrivato a capire come tramite la musica avrei potuto connettere i puntini dei miei interessi in una sola disciplina. Si è trattato di un processo molto naturale per me, perché dopotutto la mia passione è per l’arte in quanto tale e non soltanto per il “fare musica”; e forse è per questo che ho fatto così tanta fatica ad accettare l’impostazione che mi veniva data dai maestri di pianoforte. Preferivo trascorrere il mio tempo ascoltando le registrazioni dei grandi del passato, leggendo le partiture, e per molto tempo questo è stato il mio principale strumento di apprendimento. Ho iniziato a prendere sul serio i consigli degli insegnanti solo a vent’anni.

Piuttosto tardi rispetto agli standard…

Decisamente!

Torniamo a noi comunque: parlando di letteratura e ricollegandoci al concerto del Festival Cristofori in cui ti sei esibito, c’è un particolare legame tra la tua creatività e la poesia?

Sì, certo! Il mio primo incontro con la letteratura è stato proprio tramite la poesia francese.

E queste influenze come si riflettono nei programmi che ti trovi poi a suonare?

Cerco sempre di costruire delle connessioni per quanto più possibile “naturali” nei miei programmi, cercando che abbiano una connessione narrativa al loro interno e con argomenti che non siano però solo musicali. Per esempio, amo molto costruire programmi legati all’epica – soprattutto alla letteratura epica francese.

Ma più in generale, mi piace che la musica che suono, nel suo insieme, racconti una storia, e in questo cerco di essere il narratore di questa storia. Quando suono la “Dante Sonata” di Liszt, che è probabilmente il pezzo più programmatico di Liszt e quello più teatrale che ho in repertorio, cerco di mettere tutta la teatralità e l’espressività di cui dispongo nella mia interpretazione. Per me è uno stimolo straordinario, perché non mi annoio mai, anche se spesso mi trovo a cambiare interpretazione di uno stesso brano da una sera all’altra. Probabilmente, nel caso di Liszt, è proprio la ricchezza di così tante diverse influenze che mi permette di muovermi in questo modo. Talvolta approfitto delle pause, delle cesure che Liszt mette all’interno dei brani per cambiare atmosfera, come se ci fosse un cambio di scena a teatro.

Anche Gaspard della Nuit si presta molto a un’interpretazione di questo genere, e dirò di più: penso che anche nella musica pianistica di Chopin ci sia spazio per questo genere di libertà, interpretare qualcosa di poetico o addirittura epico – Chopin era un appassionato lettore della letteratura epica polacca! –  nonostante sia molto diverso dall’approccio tipico della tradizione interpretativa, che ha preferito la dimensione intima e cameristica.

Se provassi con altri autori probabilmente sarebbe molto più difficile, quasi impossibile nel caso di Bach, che ha scritto musica che è un flusso continuo ininterrotto.

Tutti gli autori che abbiamo citato fino ad ora però fanno parte del grande repertorio che è facile sentire nelle sale da concerto: tuttavia nei tuoi programmi è facile trovare inseriti autori “minori”, meno noti sia al grande pubblico che agli “addetti ai lavori”. Come ti muovi in questo caso?

Beh sicuramente per me è una scelta più facile: innanzitutto perché posso far scoprire nuova musica agli ascoltatori, e in questo modo poi posso trovare più facilmente nuove chiavi interpretative senza dovermi per forza confrontare con quelle di chi mi ha preceduto. Il problema dei brani “troppo famosi” non è tanto che ci siano delle interpretazioni autorevoli, ma che queste creino delle “aspettative” negli ascoltatori e delle abitudini interpretative che bloccano anche me. La musica non può diventare figlia di queste routine, ma al tempo stesso è difficile liberarsi di questi pesi e prendere un punto di partenza diverso.

È normale che ci sia un fenomeno di questo genere, e giocano un ruolo anche i critici e i musicologi no?

Esatto, e loro sono assolutamente liberi di fare il loro lavoro ma noi interpreti non possiamo attenerci alle loro regole o alle loro prescrizioni. Credo che in questo senso sia esemplare il lavoro di Glenn Gould. Non ci ha insegnato “il” modo di suonare Bach, ma ha proposto una chiave interpretativa che ha rinfrescato gli ascoltatori e gli altri interpreti. Certo, questo può portare addirittura a delle esagerazioni, non lo metto in dubbio, ma preferirò sempre un eccesso a una scelta conformistica, a patto che questo eccesso tenga viva la fiamma della creatività nella musica.

Per chi fosse curioso, segnaliamo in chiusura che Debargue è anche compositore oltre che interprete: la sua musica è disponibile online, e questo è un assaggio interessante:

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