140 anni del Rossini di Pesaro: intervista a Fabio Masini

Intervista a Fabio Masini, direttore del “G. Rossini” di Pesaro, sui 140 anni del Conservatorio e un’analisi delle prospettive future per lo studio della musica

Il 21 giugno il Conservatorio “G. Rossini” di Pesaro festeggia i 140 anni. L’Istituto nacque per volontà testamentaria del compositore Gioachino Rossini che rilasciò nel testamento datato 5 luglio 1858 la seguente dichiarazione: “…Quale erede della proprietà nomino il comune di Pesaro, mia patria, per fondare e dotare un liceo musicale in quella città…”. Da quando venne istituito il Liceo Musicale, 1882, l’Istituto ha visto un susseguirsi al ruolo di Direttore di nomi illustri del panorama musicale. A partire da Carlo Pedrotti, sono state tante le figure di prestigio che hanno ricoperto il ruolo del compositore veronese. Pietro Mascagni e Riccardo Zandonai sono solo alcuni dei nomi presenti nell’Albo dei direttori del Conservatorio. Non di minore rilevanza risultano alcuni nomi di chi figura tra gli allievi illustri del Conservatorio come Mario Del Monaco e Renata Tebaldi che si sono formati artisticamente tra le mura di Palazzo Olivieri. Il Conservatorio ha deciso di omaggiare un altro suo noto allievo, il musicista e compositore di musiche per film Riz Ortolani. Le ragioni della scelta che vedrà la celebrazione dei 140 anni del Conservatorio con il concerto dedicato ad Ortolani sono raccolte nell’intervista rivolta all’attuale Direttore del Conservatorio, il M° Fabio Masini, che ha voluto sottolineare l’importanza del Conservatorio come luogo d’incontro e di formazione.

Direttore per quale motivo una scelta di questo tipo? Festeggiare i 140 anni del Conservatorio che porta il nome di Gioachino Rossini, con un concerto dedicato a Riz Ortolani?

Intanto faccio, come si suole dire, una considerazione a voce alta: attraverso la scrittura sono nate le Scuole. Se noi pensiamo a questo Istituto e ne analizziamo la storia, ci rendiamo conto che siamo in una struttura in cui i compositori hanno studiato altri compositori. Ciò è una prima testimonianza di tale fenomeno, ovvero che senza la scrittura non si costituiscono le Istituzioni, pertanto il Conservatorio in quanto Istituzione nasce come luogo dove studiare le diverse tipologie di scrittura musicale. È ovvio che se Rossini faceva riferimento alla scrittura e al canto, come mostra il suo Testamento, era perché, ovviamente, nel periodo specifico e nell’opera dello stesso Rossini aveva un rilevante peso la scrittura per il teatro d’opera. Andando avanti nel tempo ci si accorge che, in realtà, la scrittura si evolve e con essa anche il senso di fare musica e di fare spettacolo. Qualcuno ha addirittura ipotizzato che se Rossini fosse vissuto nei nostri tempi, probabilmente si sarebbe cimentato nella scrittura di musica per il cinema. Come sappiamo la nascita del cinema ha coinvolto tanti compositori, che magari hanno fatto anche un’incursione breve, come Goffredo Petrassi con Riso amaro, Ivan Vandor con Professione Fotoreporter con un giovanissimo Jack Nicholson. Ortolani è stato ed è uno dei personaggi illustri che ha militato come allievo in questo Conservatorio. Così ho ritenuto doveroso organizzare, assieme al figlio l’ingegnere Enrico Ortolani Sternini, presidente della Fondazione Ortolani, un evento che omaggiasse la figura del compositore cinematografico.

Il Conservatorio di Pesaro, tra l’altro, ha avuto due direttori che si sono cimentati nella scrittura musicale per il cinema, Pietro Mascagni e Riccardo Zandonai…

Passando in rassegna i compositori che hanno militato nel corpo docenti del Conservatorio di Pesaro vediamo che molti hanno avuto a che fare direttamente o indirettamente con la scrittura di musiche per film. Carlo Piero Giorgi, ad esempio, era un compositore che ha studiato e insegnato nel nostro istituto e che, tra l’altro, è stato insegnante di Riz Ortolani, oltre che allievo di un altro compositore che si è cimentato nella composizione di musica per le immagini: Riccardo Zandonai, direttore del Conservatorio dal 1940 al 1944.

Si può dire che il Conservatorio oltre che essere un luogo di studio sia anche un luogo d’incontro per i diversi generi musicali?

A questo proposito nella locandina dell’evento del 21 giugno sono state volutamente inserite le fotografie di personalità artistiche afferenti alle varie tipologie di generi musicali. In questo il Conservatorio funge da luogo d’incontro. In Italia, tutt’oggi, è difficile considerare la musica sulla base della sua più ovvia caratteristica: l’unicità. Per noi esistono diverse musiche, alcune meritevoli di essere inserite in una categoria piuttosto che in un’altra. Dovremmo, invece, andare sempre più verso un’idea che la musica è una sola.

Riz Ortolani ebbe modo di sperimentare in prima persona questo senso di incontro delle diverse tipologie di scrittura musicale, giusto?

Lui collaborò per alcuni anni con il clarinettista Benny Goodman, che a sua volta aveva collaborato con Béla Bartók. Questo esempio è uno dei tanti casi per cui si deve mettere in dubbio l’efficacia di quei paletti sollevati dall’Accademia che anziché agevolare ha penalizzato lo studio e la conoscenza della musica, anche semplicemente sul piano divulgativo. Il Conservatorio, in quanto istituzione, ha il dovere di aprirsi a tutte le forme di scrittura e a tutti i generi musicali. Negli Stati Uniti d’America, ad esempio, non esistono distinzioni così forti tra musica colta e musica leggera o popolare, e anche musica per film ovviamente. Questo è un fattore positivo soprattutto in termini di produzione di lavori che coinvolgono gli studenti, quindi i giovani. Era così anche in Italia. Negli anni quaranta e cinquanta gli studi di Cinecittà pullulavano di musicisti chiamati per registrare colonne sonore ma che, la sera, militavano nelle orchestra sinfoniche ed eseguivano repertorio di matrice colta.

In questo modo considera la musica non solo dal punto di vista professionale ma anche da una prospettiva didattica e di formazione?

Assolutamente sì. Non dobbiamo dimenticare che c’è un bacino di utenza della musica dedicata alla formazione come elemento costitutivo della persona. Tale aspetto può partire dall’infanzia sino ad arrivare all’università. Se noi ci riappropriamo, attraverso lo studio di tutti i generi musicali, di aprirci alla contemporaneità e a tutte le necessità, sicuramente avremo un effetto positivo anche sul mondo del lavoro e quindi avremo un ruolo della musica chiamata a far parte della crescita della persona da zero a novant’anni, non come lavoro perché non tutti faranno i musicisti, ma come elemento di culture perché la musica fino a prova contraria è disciplina che forma la persona.

Quali sono i luoghi e le modalità attraverso cui si può esercitare questa forma di apertura?

Il Conservatorio ha una sua specificità, ma ci sono dei luoghi come il teatro, l’auditorium, la sala da concerto adibiti per la rappresentazione di un evento musicale, allo stesso modo le piazze, le scuole dell’obbligo, i locali. Proprio quest’anno ripetiamo l’esperienza dei mercoledì sera in cui i nostri studenti propongono degli assaggi musicali di quindici, venti minuti. Dobbiamo essere consapevoli che un uditorio comune fatica un’ora e mezza a recepire contenuti di un concerto. Il rito dello spettacolo musicale soprattutto a teatro rischia sempre di più di allontanare un certo tipo di pubblico. Noi oggi vediamo i teatri in difficoltà e quindi se vogliamo incontrare un pubblico più ampio bisogna avere anche l’umiltà di avere un linguaggio che non sia quello di un rito, ma più di un “aperitivo”.

Cosa ne pensa delle trasmissioni televisive che parlano di musica?

In questi ultimi tempi c’è La gioia della musica curata da Corrado Augias, ma c’era stato Stefano Bollani con Via dei matti n.0. Entrambe le trasmissioni hanno un carattere già propriamente tipico dell’andare a cercare delle curiosità, degli spunti, non degli approfondimenti. Ora, può sembrare strano, ma anche noi dobbiamo un po’ andare in quella direzione, se vogliamo riavvicinare un pubblico più ampio, e anche più giovane. Rischiamo che tra vent’anni a teatro non vada più nessuno. Queste modalità di approcciarsi ad un nuovo pubblico, che possono apparire anche leggere, in realtà sono un buon veicolo per entrare in contatto con un pubblico diverso. Questo nostro compleanno che vogliamo festeggiare in piazza, e dove ci auguriamo di vedere tanto pubblico, vuole essere un in cui le persone sentano le istituzioni vicine sia per la capacità di aprirsi agli altri sia per l’idea che la piazza oggi non è più uno dei luoghi dedicato alla musica alta, ma un buon compromesso che si crea tra il programma musicale e la gente.

Ritiene che la musica per film possa avvicinare un pubblico “diverso” alla musica che, come ha detto più volte, è unica?

L’incidenza sociale delle musiche per film è una cosa sotto gli occhi di tutti. Spesso noi ci ricordiamo di una particolare immagine perché ci ricordiamo della musica che accompagna quell’immagine.

Riguardo al ruolo della musica come elemento di formazione e alla musica per film, attualmente si sta registrando nei Conservatori italiani un progressivo ingresso dei corsi accademici dedicati alla musica applicata alle immagini. Il Conservatorio di Pesaro intende investire sulla possibilità di attivare un corso di I e II livello dedicato alla composizione di musica per le immagini?

Dunque, noi abbiamo attivato i corsi di I e II livello sia di Musica elettronica sia di Musica jazz. Personalmente non avrei nulla in contrario ad attivare dei corsi dedicati alla composizione musicale applicata alle immagini. È necessario, però, costruire un percorso di studi credibile e riconosciuto dal Ministero. Io conosco e riconosco che certi ambienti musicali si formano più su delle pratiche che su studi teorici, pertanto risulta complicato istituire un corso di studi che abbia una credibilità didattica e professionale. Lo studio dei maestri del passato va certamente coltivato e preservato perché lo ritengo una parte estremamente importante per la formazione di qualsiasi allievo che segue un percorso di Alta Formazione Artistica Musicale. È naturalmente una cosa auspicabile per il futuro e prestigio del Conservatorio Rossini di Pesaro.

Tornando sulla manifestazione e sul progetto dedicato a Riz Ortolani, quali sono state le tappe da affrontare per arrivare a proporre e produrre il concerto del 21 giugno?

Sono alla direzione del Conservatorio da circa un anno e mezzo, in questo anno e mezzo ho sentito spesso delle voci riguardo la volontà degli eredi di Ortolani di programmare un evento dove si rendesse omaggio al compositore. Così ho contattato il figlio, l’ingegnere Enrico Ortolani Sternini, e gli ho proposto di organizzare un momento musicale con delle reinterpretazioni di alcuni lavori di Ortolani, così da porre al centro della manifestazione per i 140 anni uno dei tanti figli illustri del Conservatorio. Lui ha inteso questa proposta innanzitutto come una manifestazione d’affetto nei confronti del padre e poi come un modo per poter far riemergere un autore purtroppo non considerato nella giusta maniera. Aggiungo che la sera del 21 giugno verrà presentata un’anteprima del film dedicato a Riz Ortolani diretto da Marco Dentici.

Pensa che altri suoi colleghi sarebbero d’accordo con la sua volontà di rendere omaggio ad un compositore di musica per film?

Tanti saranno d’accordo, ma altrettanti sicuramente non condivideranno questa scelta da me compiuta. C’è chi mostra una certa rigidità ad affrontare temi così delicati come quello dell’unicità della musica di cui abbiamo parlato prima così come l’apertura verso la musica per film. Ma questo non è un problema di adesso. Ad ogni modo io credo che sia doveroso mostrare la volontà di aprirsi alle nuove strade della musica soprattutto per i giovani.

Con Ortolani ci troviamo di fronte ad una figura caratterizzata da una duplice versatilità. Da un lato quella di compositore cinematografico e dall’altro quella di un jazzista sia per formazione sia da un punto di vista della pratica professionale. Oltre al merito di aver contribuito ad arricchire il catalogo delle musiche per film degne di nota, l’importanza di Ortolani, come di altre personalità, risiede nell’aver inteso la musica jazz come elemento base, costitutivo della musica per film.

Faccio un piccolo passo indietro. Qualche settimana fa è venuto Enrico Pieranunzi a tenere una masterclass qui al Conservatorio. Pieranunzi è stato tra l’altro “attore” del film su Ennio Morricone presentato al Festival del Cinema di Venezia nel settembre del 2021. In quel film c’è tutto il dibattito che è stato sotto i riflettori di tutti gli studiosi tra musica colta e musica per film. Io ho notato il dissidio interiore di Ennio Morricone come uomo, prima ancora che come compositore. È risaputo che Morricone, pur affermatosi nel campo della musica per film, faceva parte e voleva far parte di quel mondo di compositori “intellettuali” portatori di ciò che allora si definiva musica pura; una musica dedita alla contemporaneità che non strizzasse l’occhio a nessuna forma di piacerìa o di commercializzazione. Pieranunzi ha una sua idea riguardo la musica per film e secondo lui gli autori con la A maiuscola di musica per il cinema sono Ennio Morricone, Riz Ortolani e Armando Trovajoli. Questi tre non sono semplicemente compositori per il cinema. Volendo fare un paragone tra Riz Ortolani ed Ennio Morricone sappiamo che entrambi suonavano nelle orchestre da ballo e nelle jazz band e inoltre sappiamo benissimo che quella fu un’esperienza artistica altamente formativa. Quindi sia Ortolani sia Morricone hanno ricevuto un tipo di formazione derivata dall’esperienza diretta con la performance musicale, ed è questo un elemento distintivo rispetto ad altri compositori attivi nello stesso campo. A ciò si accosta la formazione classica che hanno ricevuto in Conservatorio.

…mi permetto di aggiungere anche Nino Rota ai compositori menzionati da Pieranunzi

Assolutamente sì. Purtroppo, una certa intellighenzia di carattere musicale che proveniva da Darmstadt e dalla generazione dei miei maestri, come Giacomo Manzoni e Ivan Vandor, fecero una scelta radicale sulla base della distinzione dei generi. Vandor, ad esempio, quando entrò a far parte del Gruppo di Improvvisazione Nuova Consonanza non scrisse più una e una sola nota che rientrasse nelle composizioni di musica “leggera”. Ora se noi ripartiamo dal fatto che la musica è una, l’importante è la coerenza nelle modalità di orchestrazione e di esecuzione, non la provenienza di genere. Tornado al film su Morricone, c’è il logorìo tutto europeo di pensare a cosa dovesse rispondere la figura del musicista contemporaneo.

Secondo lei anche Ortolani è stato vittima o ha vissuto anche indirettamente tale dissidio?

Io credo di sì. Quando Ortolani torna a Pesaro scrive La mia città, una composizione sottoforma di ode dedicata a Pesaro, e una sinfonia per la Giornata della memoria. In entrambe spiccano il carattere atonale e la dissonanza come elementi preponderanti. Questa cosa io personalmente la interpreto come una preoccupazione vissuta da Ortolani nel voler a tutti i costi entrare in quell’universo di compositori colti contemporanei. Personalmente sono lavori che trovo meno interessanti. Ortolani si concentrava molto sulla ricerca della bellezza della melodia, che non è una cosa di poco conto.

La musica per film risente molto del fattore collaborativo del regista con il compositore. In certi casi nascono dei veri e propri sodalizi artistici, penso ai lavori nati dalla collaborazione di Federico Fellini con Nino Rota o ancora di Michelangelo Antonioni con Giovanni Fusco per non parlare di Egisto Macchi con Joseph Losey. Si potrebbe parlare di un sodalizio artistico targato Avati-Ortolani?

Parto da una mia impressione. Ascoltando le musiche del Sorpasso di Dino Risi e La gita scolastica di Pupi Avati io percepisco due tipologie di scrittura differenti. Ciò mi fa pensare che per certi versi Ortolani avesse la capacità di calarsi dentro a ciò di cui c’era bisogno. La cifra stilistica di cui noi parliamo cela un pericolo, un pericolo che si traduce la maggior parte delle volte nel comporre e scrivere la stessa cosa. Io credo che Ortolani avesse un linguaggio multiplo, duttile e di conseguenza poteva rischiare più di altri di essere meno riconoscibile. Ciò però era più vantaggioso per il regista e pertanto non credo che allo stato attuale della ricerca su Ortolani si possa parlare di una cifra stilistica presente nei film di Pupi Avati con musiche di Riz Ortolani.

“Io scrivo musica” è il titolo che è stato indicato per il concerto del 21 giugno. Più che un titolo mi sembra una dichiarazione d’intenti, una risposta molto chiara e netta fornita da Ortolani a prescindere dalla destinazione d’uso che la musica deve avere.

Esattamente. “Io scrivo musica” fu una risposta che Ortolani diede ad un gruppo di registi e compositori di musiche per film che cercavano in qualche modo di “blindare” alcune produzioni di musica per film così da potersi dividere il lavoro e anche il profitto economico delle produzioni cinematografiche. Ortolani non intendeva far parte di questo meccanismo così malato. Il figlio del compositore mi ha raccontato che lui rispose a questa cerchia di registi e compositori nella seguente maniera: “Signori io non so di cosa voi stiate parlando. Io scrivo musica.

In vista delle manifestazioni del 2024, anno in cui Pesaro sarà capitale della cultura, che ruolo avrà il Conservatorio?

Il mio progetto può essere sintetizzato in questa espressione Rossini Futuro. Va bene rievocare la tradizione rossiniana, ma bisogna guardare avanti ed essere in grado di progettare cose nuove. Se leggiamo il testamento rossiniano vediamo che il compositore chiede che ogni anno venga istituito un premio letterario e musicale, dedicato alla composizione di una nuova musica su nuove parole. Quindi anche Rossini non chiede che vengano eseguite le proprie opere, bensì pretende che vengano prodotte ed eseguite nuove composizioni. Questa volontà di Rossini, purtroppo, non è stata mai esaudita. Due anni fa ho proposto la realizzazione del concorso Un’aria per Rossini che non è mai partito per la mancanza di fondi destinati all’istituzione di un premio economico da destinare ai vincitori. Avevo convocato diversi colleghi per la costituzione della giuria, tra cui Fabio Vacchi, ma purtroppo non si è più fatto nulla.

Può svelare ai lettori di Quinte Parallele qualche anticipazione sul programma del 21 giugno?

Ci sarà un’apertura basata sulle musiche per La gita scolastica, dopodiché seguiranno dodici brani rielaborati dai docenti della Scuola di jazz. Non è semplicemente un lavoro di recupero, ma è una scelta di 13 musiche per film di Ortolani, i quali sono stati ri-arrangiati dai nostri docenti di musica jazz. Il materiale di musiche per film diventa materiale di studio e rielaborazione. Per questa ragione ho voluto fortemente che ci fosse la contaminazione di generi anche in questa produzione, mettendo insieme le classi di strumentisti classici e quelle jazzistiche. Ci tengo a dire che l’orchestra è formata dai nostri allievi, che le musiche sono ri-arrangiate dai due maestri Gian Marco Gualandi e Massimiliano Rocchetta e che il direttore d’orchestra di questa iniziativa sarà il maestro Daniele Rossi. In qualità di direttore ho voluto fortemente questa manifestazione assieme al presidente del Conservatorio Salvatore Giordano. Mi auguro che l’evento del 21 giugno, inserito tra l’altro nel programma del Pesaro Film Festival alla sua 58a edizione, sia un momento di festa per l’intera città e un degno omaggio a Riz Ortolani e al nostro Istituto nell’anno del suo 140esimo anniversario.

Armando Ianniello

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