Le strade di Fabbrica: intervista a Eleonora Pacetti

La nostra intervista alla direttrice del programma di formazione Fabbrica Young Artist Program

Eleonora Pacetti è la direttrice di Fabbrica Young Artist Program (cliccate sul link per le informazioni sul bando), una piattaforma di formazione e reclutamento che offre la possibilità a giovani artiste e artisti legati al caleidoscopico universo dell’opera lirica di partecipare attivamente agli allestimenti del Teatro dell’Opera di Roma. Intervistata per la prima volta sulle nostre pagine, Eleonora Pacetti ha offerto il suo sguardo privilegiato su come è costituito il programma, una vera e propria fucina di sinergie tra esperienze artistiche diverse.

Tracciando un bilancio dell’attività che ha svolto in questi anni quali sono secondo lei i punti di forza che Fabbrica Young Artist Program ha acquisito ad oggi? 

Una struttura agile, che dialoga continuamente con il Teatro dell’Opera di Roma e con cui condivide difatti anche lo spazio fisico di attività, oltre allo schema di programmazione.

Un forte orientamento al Team Working. Si crea un cerchio di fuoco attorno ai partecipanti, all’interno del quale si possono sentire protetti nel mostrare le proprie fragilità e lavorarle. Questo permette loro di fronteggiare l’esterno con molta più sicurezza, mostrando al mercato un prodotto “finito”, che è la migliore immagine di loro stessi.

Mi permetto, però, di sottolineare alcuni punti di debolezza. Ritengo che non abbiamo ancora avuto modo di fare un lavoro strutturato sul corpo e sull’equilibrio corpo-mente: esercizio fisico mirato e cucito attorno alle esigenze specifiche del cantante, meditazione e mental coaching. Difatti, credo che la tendenza contemporanea dello stare in scena veda il cantante anche come un attore e, in un certo senso, come un atleta. Conoscere e considerare il corpo come parte del proprio strumento, a mio avviso, è una chiave essenziale che sta ridefinendo le logiche della performance operistica.

Se dovesse descrivere il progetto Fabbrica in tre parole chiave, quali userebbe? 

Entusiasmo, multiculturalità, futuro. Mi piacerebbe che in futuro si aggiungesse anche la parola “circolarità”: artisti che hanno studiato qui, che magari hanno deciso di fare di Roma la propria città dove vivere e che vogliano restituire al Teatro e al suo Young Artist Program parte di quello che hanno ricevuto.

Quali sono le caratteristiche che accomunano gli artisti che entrano nel Programma? 

La disposizione alla messa in discussione e all’apprendimento. Quello che è importante è il percorso, non il risultato finale: se una persona entra a “Fabbrica” brava e ne esce brava uguale, dal mio punto di vista il risultato è nullo; se un artista entra in un modo e ne esce migliorato, ecco non solo il successo del nostro programma ma anche che è lampante la necessità di istituire degli Young Artist Program come questo.

Un’altra caratteristica è il comprendere che gli strumenti che siamo in grado di offrire devono necessariamente essere accompagnati dall’imparare a camminare da soli. Un artista passivo nello studio e nel processo di autoanalisi è un artista che farà poca strada, e credo che chi sceglie il Teatro dell’Opera di Roma sia capace di assumere su di sé questa mentalità.

Il rispetto nei confronti dei colleghi. Anche questo fa parte del percorso di crescita: capire chi fa cosa dentro un teatro e come rapportarsi in modo proficuo e professionale con ognuno, partendo ovviamente dal rapporto con gli altri partecipanti allo YAP, verso i quali non sono ammessi atteggiamenti di gelosia, invidia e sgambetti di qualsiasi sorta. È necessario quindi imparare a concorrere tutti insieme per lo stesso risultato, e questa anche è davvero una palestra per quello che poi succede realmente in scena.

Infine, e soprattutto, la serietà nello studio musicale. Qui si ha la possibilità di venire a contatto con uno standard molto alto di esecuzione musicale, che passa attraverso lo studio profondo della partitura, dell’interpretazione sentita e personale dei testi, dell’incarnare in maniera credibile un personaggio, dell’allargare il proprio repertorio in modo da poter essere più facilmente spendibili e immaginabili in ruoli diversi, il che richiede anche un grande lavoro sulle lingue straniere. Insomma, la superficialità musicale decisamente non va d’accordo con la nostra visione.

Cito da una sua intervista risalente alle fasi più impegnative della pandemia, riguardo la ripartenza auspicata dei teatri: “A nuove situazioni non si possono incollare modelli vecchi: la creatività e l’immaginazione dovranno, ora più che mai, dare luce ad idee nuove”. Eleonora Pacetti, dando uno sguardo allo stato attuale delle sale dei teatri, in un contesto di semi-normalità, ritiene che queste nuove idee stiano emergendo? 

Non mi sembra. Quello che io auspicavo è la creazione di un sistema alternativo allo star system. Non che questo sia da demonizzare, ma non è l’unico modello possibile, e comunque può convivere con altre visioni filosofiche su come si dovrebbe fare questo lavoro. Ormai agli artisti viene richiesto anche molto self marketing. Questo è un dato inarrestabile nella società in cui viviamo, ma credo che questo non debba influenzare in alcun modo l’ascolto critico e consapevole da parte di chi sceglie gli artisti.

In questo senso penso che dobbiamo restare autonomi, e fidarci sempre e il più possibile delle nostre orecchie e della nostra conoscenza di quello che funzione in scena.

Credo inoltre che i Teatri dovrebbero rischiare di più. Perché non affidare dei progetti di regia a team creativi giovani, selezionati su concorso? Perché non cominciare a considerare le attività di avvicinamento del nuovo pubblico non più come un’attività collaterale, ma come parte integrante della programmazione?

Non dovremmo dimenticarci che, in quanto istituzioni pubbliche, siamo anche il maggiore “datore di lavoro” per gli artisti, che sempre più faticano a valicare la barriera in ingresso del mercato.

Eleonora Pacetti, come vede il futuro del progetto Fabbrica?  

Credo che “Fabbrica” si sia già affermata a livello internazionale (se pensiamo per esempio che in sole tre edizioni abbiamo già avuto partecipanti dai quattro angoli del mondo…). Adesso mi piacerebbe consolidarci a livello locale, per diventare ancora di più un polo di riferimento per la Capitale, il Lazio e l’Italia.

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