Gergiev, il sindaco Sala e le responsabilità dell'artista

Una nuova riflessione su Gergiev, le richieste di Sala e il ruolo di responsabilità degli artisti nel mondo contemporaneo

Valery Gergiev è uno dei più stimati e apprezzati direttori in attività. Chi scrive porterà sempre nel cuore tutte le meravigliose interpretazioni del direttore russo a cui ha potuto assistere, tra tutte una Patetica di Tchaikovsky inclusa nel ciclo integrale dell’Accademia di Santa Cecilia di quattro anni fa che ancora riesce a far venire i brividi. La sua statura artistica non è mai stata in discussione.

In questi giorni, com’è noto, la sua figura è messa al centro dell’attenzione per via dei suoi legami con il regime di Vladimir Putin, di cui lo stesso Gergiev ha rappresentato in maniera informale – ma talvolta anche formale – un’emanazione artistica. Durante il suo soggiorno di queste settimane alla Scala, coinciso con i drammatici eventi che ben sappiamo, il Sindaco Sala gli ha posto una richiesta che sa molto di ultimatum: o si esprime contro la guerra oppure non lavorerà più con il teatro meneghino, arrivando successivamente ad estrometterlo dalla produzione.

La situazione non è di facile comprensione o analisi: posto che, presumibilmente, sia un desiderio condiviso e universale quello di una risoluzione rapida del conflitto, è possibile ipotizzare che la scelta dialettica di Sala, che presiede ipso facto in quanto sindaco di Milano alla Fondazione del Teatro, seguita in maniera più timida dal sovrintendente Meyer, sia mossa oltre che da questo spirito pacificatore anche dalla volontà di mostrare una presa di posizione propria. Non potendo in prima persona indirizzare in alcun modo il corso degli eventi, l’inquilino di Palazzo Marino cerca di dare un segnale di attivismo andando a mettere spalle al muro chi è così fortemente legato agli attori in campo, in questo caso proprio Gergiev, anche per un proprio ritorno di immagine.

Ora, imporre ad un artista, chiunque esso sia, una presa di posizione, è una cosa piuttosto seria, quasi senza precedenti in un paese democratico. Una delle obiezioni più frequenti a Sala è stata quella per cui a nessun musicista “occidentale” è mai stato chiesto conto di interventi militari del proprio paese. Pur riconoscendo una buona dose di benaltrismo, è difficile far finta che non ci sia un problema di due pesi e due misure; è altrettanto vero che l’intervento militare in Ucraina segna un radicale cambiamento del paradigma della politica internazionale – dalle conseguenze imprevedibili e potenzialmente molto pericolose – e che molti musicisti occidentali per l’appunto abbiano fatto del chiaro ed inequivocabile esercizio di dissenso nei confronti delle iniziative militari dei propri paesi, come stanno facendo, ad oggi, numerosissimi musicisti russi.

Gergiev è un unicum

Questo ci porta ad un ulteriore problema: il ruolo unico che ricopre Gergiev sia nel panorama russo che in quello mondiale.

Il nostro infatti è direttore della World Orchestra for Peace, una compagine con un nome sufficientemente esplicito. Come aveva già affermato Alessandro nell’articolo precedentemente uscito sulle nostre pagine, verrebbe spontaneo attendersi che una figura in una posizione simile prenda posizione contro una guerra. C’è poi il suo legame personale con Putin, che ci pone la domanda di cosa potrebbe effettivamente dire o fare Gergiev. Nessuno si aspetta che parli contro il proprio paese, il suo governo – del quale è per molti aspetti una sorta di emanazione o ambasciatore, che dir si voglia – o che vada a ledere il rapporto personale, pare piuttosto stretto peraltro, che lo lega a Vladimir Putin; pronunciarsi contro la guerra, tuttavia, e le sue drammatiche conseguenze soprattutto sarebbe una presa di posizione coerente con gli ideali che in parte ha già professato – si pensi ad esempio al concerto che tenne in una Palmira appena liberata dalle truppe dello Stato Islamico. C’è una parte dell’opinione pubblica russa che si sta già esponendo in prima persona, e persino parte della nomenklatura pare mostrare segni di insofferenza nei confronti di una guerra che magari colpirà pochi o nessun civile in Russia, ma certamente farà danni ai portafogli di molti. Gergiev non sarebbe dunque isolato, presumibilmente.

Gergiev, la scala e i precedenti pesanti

Alla luce di questo, cosa si può pensare delle prese di posizione della Scala – e di molte altre istituzioni che con Gergiev hanno rapporti di lunga data?

Ora, è chiaro come la luce del sole che Gergiev è legato a doppio filo ad una autorità politica che tiene comportamenti “controversi”, perlomeno, da anni. Fa specie che ci si sia accorti solo adesso della gravità della cosa, se è davvero questo l’oggetto del contendere. Oltre alla Scala si sono già mosse Monaco, Vienna e poco fa Verbier, e altre istituzioni probabilmente seguiranno. Il problema è che la scelta di interrompere una collaborazione artistica su basi “politiche” non fa solo storcere il naso, ma crea una serie di problematiche con precedenti di peso: sono stati tirati in ballo i precedenti di Karajan e Furtwangler con il nazismo, ad esempio – quest’ultimo poi particolarmente calzante visto che ricopriva un ruolo istituzionale nel sistema del terzo Reich, ed ebbe effettivamente qualche problema a guerra finita prima di riprendere una carriera “normale”. Tuttavia, agire su queste basi rientra nelle scelte legittime che un teatro può fare.

Muoversi sottoponendo a Gergiev un ricatto, una richiesta di abiura de facto crea uno scenario pericoloso: in un’epoca in cui a torto o a ragione lo spettro della censura viene agitato con una frequenza pericolosa, si rischia di andare su un terreno molto scivoloso e pericoloso; il caso della Scala esaspera ancora di più la portata della vicenda dal momento che c’è un coinvolgimento diretto della politica, cosa che almeno per ora non si è ravvisato nelle altre istituzioni che si sono mosse con esortazioni simili al direttore. Far pervenire una richiesta simile in privato forse sarebbe stato più opportuno, ma col senno di poi siamo tutti maestri.

Gergiev

Gergiev dirige a Palmira © RT/Il Post


Cosa potrebbe succedere ora?

Per provare a tirare delle somme: ogni artista ricopre anche un ruolo di cittadino, e la sua posizione sovraesposta lo investe di responsabilità aggiuntive rispetto a quelle di un impiegato, ad esempio. A tenere banco in fin dei conti però rimane sempre la coscienza individuale, e se quella di Gergiev non lo porterà a condannare una tragedia come quella a cui stiamo assistendo oggi questo intacca profondamente la sua umanità. Se la Scala, o qualsiasi altro teatro sceglierà di non lavorare più con un artista che, per quanto grande, non ha coraggio di prendere posizione su questo, o che è direttamente collegato a chi è a capo della struttura che adesso conduce la guerra, sarà probabilmente la scelta più legittima: il già citato caso di Verbier porta alla luce addirittura la possibilità di una “de-programmazione” di tutti gli artisti che sono pubblicamente allineati alla posizione del governo russo. Interrompere le programmazioni di artisti che siano legati a questo genere di posizione è un messaggio forte e inequivocabile; e riapre sostanzialmente il vaso di pandora della separazione tra uomo e artista che in uno scenario anche drammatico come quello di odierno è comunque di importanza fondamentale. Le istituzioni artistiche non possono fermare tout-court un conflitto, ma possono lavorare per contribuire a formare il loro pubblico – che in ultima analisi è anche parte della più ampia opinione pubblica – e a sensibilizzarli su tematiche così importanti.

Se invece il problema di fondo è che non si è adeguato a una richiesta perentoria giunta direttamente da un organismo politico, stiamo attenti a compiacerci: può sembrare un problema secondario adesso, ma in ballo c’è anche la libertà di pensiero personale, e questa prevede anche il diritto di avere idee profondamente sbagliate. 

Foto presa da “Ilfattoquotidiano.it


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