Tante teorie, una sola musica: intervista a Paola Chillemi

Adele Boghetich incontra la scrittrice Paola Chillemi.

In elegante veste editoriale che ben agevola la lettura, Zecchini Editore pubblica Tra tante teorie una sola Musica. Un viaggio storico-filosofico per indagare il variegato universo dell’arte dei suoni di Paola Chillemi, docente di Storia e Filosofia con Master in Bioetica, cultrice di Musica. Una passione che si è nutrita negli anni grazie al padre compositore che l’ha avviata sin da piccola allo studio del violino e del pianoforte.

È un volume affascinante, che doveva essere scritto. I differenti percorsi, nei quali la saggista coniuga con molta perizia musica e filosofia nel lungo sguardo che dal pensiero degli antichi pitagorici raggiunge la contemporaneità, sapranno offrire preziosi stimoli didattici in ambiti universitari. Musicisti e lettori di cultura vi apprezzeranno la ricerca, la ricchezza di informazioni, di analogie, di rimandi, di ipotesi e soluzioni per un approccio multifocale con l’Arte delle Muse.

Con analisi sistematica e approfondita l’autrice scandaglia in prima persona gli scritti dei grandi filosofi del passato e del presente per poi, con garbo sapiente, lasciare al lettore l’intuizione di “verità” nascoste tra le pieghe di singole frasi, che d’un tratto palesano la loro abbagliante bellezza. Una ricca, dunque, e appassionata ricostruzione di idee, concetti e teorie legate al mondo dei suoni; una riflessione pluridisciplinare di grande attualità che, con dovizia di riscontri bibliografici, intende far rivivere «la travolgente enfasi data alla musica nel corso dei secoli».

Paola Chillemi, partiamo dal titolo, Tra tante teorie una sola Musica, e dall’idea di questo ampio lavoro.

 L’idea è sgorgata, quasi in modo spontaneo, confermandomi come, anche nei momenti più bui o lieti, semplici o complicati, la musica possa attraversare le nostre vite, donandoci una vera carica interiore e persino la voglia di affrontare, con grinta e determinazione, le sfide più decisive. L’ascolto, la lettura e la ricerca, con spirito “vibrante”, mi hanno permesso di rintracciare quel sottile filo conduttore sotteso alle tante teorie sulla musica che hanno pervaso la storia del mondo. Credo che tutti i punti di vista celino una porzione di “verità” e meritino di non restare sepolti nella polvere del passato. La grande eco degli antichi “saggi” deve e può continuare a risuonare nel nostro tribolato presente, magari ispirandoci ad intraprendere il viaggio di scoperta d’un nuovo umanesimo.

Uno straordinario viaggio, dunque, attraverso le tappe di quattro esaustivi capitoli. Il primo, C’era una volta… la musica “divina”, affronta il pensiero di Pitagora, Damone di Atene, Platone, Plotino, Agostino d’Ippona, Marziano, Dante Alighieri, arricchito da una scelta di suggestive citazioni. Siamo nella dimensione superiore della “divina armonia delle sfere”, nell’equilibrio del corpo e dell’anima, nell’accordo perfetto tra gli elementi, nella contemplazione di una Bellezza intelligibile, di una Armonia che è riflesso stesso dell’intelligenza divina. Ce ne vuole parlare?

Naturalmente, a molti potevano essere già noti questi temi, per cui, di sicuro, non c’è stata la volontà di perseguire la strada della novità. Il mio intento è stato quello di riscoprire e di porre in risalto le grandi emozioni che hanno rischiarato i volti di quei tanti uomini per i quali la musica era, senza alcun dubbio, qualcosa di “divino”. Anzi, ho puntato a rivivere quell’ebbrezza in prima persona, quasi in maniera nostalgica, ponendomi in simbiosi con quelle “visioni” che, a quel tempo, hanno avuto l’innegabile pregio di lenire sofferenze e turbamenti, donando la certezza del ricongiungimento col cielo degli dèi e sancendo il definitivo allontanamento dalla decadente ed angusta cornice degli umani.

Il secondo capitolo, L’apoteosi musicale del “sentimento”, denso di note e sapienti rimandi, percorre le teorie estetiche di Schopenhauer, Hegel, Kierkegaard, Wagner e Nietzsche. Vi si analizzano, tra l’altro, importanti scritti di questi ultimi (Opera e dramma, Arte e rivoluzione, La nascita della tragedia) sul rinnovamento dell’Opera come Gesamtkunstwerk, opera d’arte totale. Una delle riforme musicali più affascinanti dell’Ottocento mitteleuropeo, avvalorata da una nuova, quanto antica, concezione dell’Arte.

Anche in questo caso, ripercorrere l’indimenticabile stagione romantica ha significato ritrovare alcune tracce della regale perfezione della musica, osannata come arte dell’espressione e dipinta, a tratti, anche come fonte di beatitudine e di serenità spirituale. In quel contesto di idee, si riteneva opportuno condensare il contenuto intellettivo in una concisa espressività musicale, finalizzata a celebrare lo sposalizio incantevole – come scriveva Wagner – del pensiero poetico fecondatore con l’infinita facoltà generativa della musica. Infatti, una melodia che fosse riuscita a trasformare il contenuto poetico in contenuto emozionale avrebbe commosso e convinto fortemente, potendosi perciò paragonare alla vetta estrema dell’espressione sentimentale (da qui la sacralità conferita al dramma musicale intriso di sentimento). Un motivo musicale, dunque, poteva divenire pensiero fattosi ben determinato e presente, sentimento bramante la capacità di pensare! In quest’ottica, è stato semplice comprendere anche lo straordinario sforzo nietzschiano volto a salvare in tutti i modi possibili la suprema capacità immaginifica della musica (ridestandone la forza mitopoietica) e la gloriosa tradizione della musica tedesca che (da Bach a Beethoven, sino a Wagner) aveva avuto la sua derivazione dal fondo dionisiaco dello spirito tedesco.

Nel terzo capitolo, La musica tra teoria e sviluppo delle “tecniche espressive”, sono posti a confronto personaggi interessantissimi per il loro apporto in campo estetico, quali Aristotele, Vincenzo Galilei, Cartesio, DuBos, Diderot, Rousseau, Kant, Hanslick, Schoenberg. Ci illumini sul percorso da Lei scelto.

 Dall’antichità alla modernità, la musica si è ritrovata ad affinare progressivamente le sue tecniche. A partire da Aristotele, ci si era persuasi che, impiegando modi, ritmi e strumenti diversi, si sarebbero potuti ottenere risultati diversi, in ordine alla capacità di trasmettere valori etici fondamentali, sia per il singolo che per la collettività intera. Pertanto, quando nel XVI sec. si era imposto lo stile contrappuntistico e polifonico, quelle “sofisticate e confusionarie tecniche” sarebbero state ferocemente attaccate, ad esempio, dal grande Vincenzo Galilei, intravedendo in esse il tradimento della nobile scienza musicale del passato, della monodia e l’abbandono dell’imitazione dei modelli greci. Quale grande tentativo di strenua difesa della tradizione! Parimenti, il progresso della musica come della scienza era inarrestabile e pensatori come Cartesio, DuBos, Diderot avrebbero cercato di dimostrare come la musica potesse alimentare una vastissima gamma di passioni e determinare negli animi degli effetti davvero tumultuosi. E c’è stato chi, come il sensibilissimo Rousseau, ha avvalorato grandemente quella entusiasmante funzione imitativa dell’arte dei suoni, scaturita dai meandri di quella lingua “sonora ed armoniosa”, di cui si era avvalsa l’umanità delle origini. In quest’ottica, il progresso dell’armonia veniva reputato negativamente, per aver rovinato il felice connubio tra musica e parole e tra musica e natura. Anche la severa filosofia kantiana non poteva non manifestare una certa convinta approvazione del linguaggio musicale e della sua capacità di generare profonda ed intima commozione. Mentre, com’è noto, Hanslick avrebbe cercato strenuamente di salvare la potenza dirompente del flusso dei suoni, senza più ritenere le emozioni “una specialità estetica della musica”, anche se restava la ferma evidenza che essa agisse magneticamente e fisicamente sull’intero sistema nervoso più di qualsiasi altra arte. Invece, la straordinaria rivoluzione tecnica operata da Schoenberg (partendo dall’assunto che fosse possibile realizzare un’opera d’arte di puro pensiero tanto col metodo tonale quanto con quello atonale), non avrebbe smentito come dalla mirabile arte dei suoni potessero pervenire sempre nuove impressioni artistiche e spirituali. Infatti, se da una parte la parola d’ordine doveva essere innovazione e ricerca, dall’altra l’affrancamento dalla tradizione era da realizzarsi solo per permettere alla musica di continuare a perpetrare se stessa, garantendo le migliori sensazioni di elevazione dell’animo, entusiasmo, piacere, diletto, etc.

Nel quarto capitolo, La nuova “esperienza” musicale della contemporaneità, il policromo percorso del Novecento: Adorno, Jankélévitch, Rognoni, Schutz, Piana, Ingarden. E se Adorno attacca l’industria dell’arte e della cultura di massa (e i suoi profitti) ed esalta la “modernità” del sinfonismo di G. Mahler così come le conquiste della Scuola viennese di Schoenberg, Webern e Berg invocando per la musica piena autonomia e una “libertà” che riesca a dominare forma e creatività, nei più recenti Barlumi per una filosofia della musica di Giovanni Piana leggiamo: «La musica è un gioco che può attingere alle profondità dell’immaginazione, ma anche accontentarsi felicemente e ingenuamente di veleggiare alla superficie». Quale modernità, dunque, tra posizioni così antitetiche?

Sì, in effetti, le affascinanti riflessioni interpretative della contemporaneità hanno spaziato parecchio, oscillando anche tra proposte diversissime fra loro. Dinanzi al variegato universo musicale, si è fatta strada l’idea che si potessero maturare svariate modalità di vissuti esperenziali, soprattutto perché la musica contemporanea ha avviato la ricerca di nuove opportunità sonore ed annullato l’irrilevante distinzione tra suoni giusti o sbagliati, consonanti o dissonanti, facendo divenire interessante persino il rumore e gli strumenti non tradizionali. Si è avanzata la proposta di valutare il suono come una fluida processualità, dato il dinamismo interno alla sostanza sonora. Per questo, il XX secolo – come ha sottolineato Piana – si è configurato come l’epoca di una festosa esplosione delle possibilità della musica, spalancandosi alla celebrazione del travolgente incanto di un qualsiasi vivificante suono. In altre parole, il regime per eccellenza della musica sarebbe quello del suo “mutamento”, nel suo procedere anche in una sorta di “equivoco infinito”, nella dimensione dell’evanescente divenire contingente. Quanta parte di “mistero” vi possa essere nella più bella fra tutte le arti non ci sarà mai data la possibilità di comprenderlo; tuttavia, la capacità dell’uomo di produrne e di fruirne è un dato di fatto incontrovertibilmente legato alla sua innata predisposizione ad essere in “sintonia” col mondo dei suoi stessi simili o con quello della natura e del cosmo, senza dimenticare l’estrinsecazione dei suoi palpiti e delle sue più delicate o cocenti emozioni. Non possiamo non essere solidamente ancorati ai valori tramandati dalla cultura musicale di ogni tempo e luogo. Non si può restare insensibili alla voglia di continuare a trasmettere un bagaglio così incommensurabile alle generazioni future, alle quali non dovrà sfuggire la preziosa opportunità di avvicinarsi alla musica, comprendendone il senso e l’inestimabile portata. Mi auguro che il mio lavoro possa toccare proprio i cuori dei più giovani, distogliendoli dal facile consumismo dell’industria culturale del presente, con i suoi caotici prodotti, alla ricerca di “sicuri” approdi. Vorrei che si comprendesse quante vite sono state pervase e sorrette dalla “grande” musica e quante stagioni sono state rese più feconde da quel “bello” che si cela, inspiegabilmente, dietro ogni musica: l’essere semplicemente e “divinamente” solo Musica!

Adele Boghetich

Paola Chillemi, Tra tante teorie una sola Musica, Zecchini editore, Varese 2021 (pp. 327, Euro 35).

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