Manacorda dirige Mahler in Fenice

Antonello Manacorda dirige la Quarta Sinfonia con l’Orchestra del Teatro veneziano

Farsi accogliere nuovamente dalle ampie sale dorate della Fenice, già da solo sarebbe bastato a rendere il concerto di domenica 21 a Venezia degno di nota. Ma, con gran gioia di tutti gli astanti, il ritorno in Fenice non ha deluso le aspettative.

L’Orchestra del Teatro La Fenice guidata da Antonello Manacorda ha affrontato la meravigliosa ed enigmatica Quarta Sinfonia di Mahler, con il Lied finale “Das himmlische Leben” affidato alla voce di Carmela Remigio. Il concerto è stato un successo, si percepiva con chiarezza il buon lavoro fatto dal direttore con l’orchestra e soprattutto la voglia dell’orchestra di tornare a suonare e ad affrontare repertori ambiziosi come una sinfonia di Mahler. Manacorda d’altronde ha un gesto estremamente musicale, molto libero senza essere eccessivo o manieristico, che in molti casi ha spinto in avanti l’orchestra, che con il direttore si trova palesemente a suo agio. Non sempre, tuttavia, vi è una perfetta corrispondenza tra ciò che il direttore sembra evocare e l’effettivo risultato musicale. Non che le indicazioni di Manacorda siano scorrette: il direttore è palesemente ben preparato. Il piccolo incidente nel terzo tempo, quando preso dallo slancio del momento ha urtato la partitura che è caduta rovinosamente a terra, ha in realtà dimostrato ancor più la preparazione del direttore torinese, andato incurante avanti a memoria per buona parte del movimento finché il concertino dei primi violini, impietosito, non ha sfruttato un momento libero per rimettergliela sul leggio.

Un frammento dalla Quarta di Mahler. Ph. Michele Crosera.

Non ce ne sarebbe stato neanche bisogno, in realtà, vista la sicurezza con cui stava affrontando il movimento, senza dubbio il migliore dell’intera serata, ma decisamente utile per garantire la prosecuzione senza soluzione di continuità tra terzo e quarto tempo, con Carmela Remigio apparsa in tutta la sua eleganza nel fortissimo che precede di qualche minuto l’inizio del Lied conclusivo. Di Lied e finale ha poi anche poco senso parlare ahimè: pensato per un pubblico in streaming, il concerto vedeva l’Orchestra veneziana in platea e la cantante sul palco, con il direttore nella scomoda posizione di dover dirigere di spalle o a tre quarti. Ne consegue che di quello che ha cantato la Remigio, su nel loggione gli emozionati critici han sentito gran poco, ma quel poco che hanno sentito è stato senza dubbio abbastanza buono, anche se non la voce liederistica cui si è spesso abituati per questo ruolo. Si rimanda ad un ascolto in streaming per avere meglio la percezione di cosa sia avvenuto, con i giusti equilibri tra palco e platea.

La un po’ scomoda disposizione solista-orchestra. Ph. Michele Crosera

Se tutto è stato dunque ben fatto e la Sinfonia è corsa con agio dal primo all’ultimo tempo, non sono riuscito però a togliermi l’impressione di una certa superficialità nell’interpretazione. Come dicevo in apertura, la Quarta di Mahler è una sinfonia infida nelle sue enigmatiche ambiguità, meno plateale delle sorelle Terza e Quinta, ma che troppo facilmente passa per la sinfonia “buona”, quella intima, serena, positiva. Ci sono punti, come le improvvise e sinistre epifanie dei campanelli iniziali, che necessitavano di una maggiore caratterizzazione, senza che tutto si fondesse in un’eccessiva scorrevolezza che mi è sembrato portasse ad un eccessivo questa omogeneità che sicuramente nella Quarta Sinfonia è più marcata che negli altri affreschi mahleriani. Dove la concentrazione era più tangibile era naturalmente nel terzo movimento, Ruhevoll, traducibile con “calmo” ma più letteralmente “pieno di calma”; ma è anche normale: dei quattro tempi, questo è quello più emotivamente intenso, più ‘mahleriano’ nell’accezione più comunemente intesa.

Carmela Remigio, Antonello Manacorda e l’Orchestra della Fenice in prova

Ciò che negli altri tempi mi mancava, però, erano i contrasti che sì, lo ribadisco, in questa Sinfonia sono meno evidenti che in altre, ma sono comunque presenti, si pensi allo spirito popolaresco che anima il secondo tempo, agli improvvisi scarti del primo, alle tese atmosfere del terzo, per poi giungere, qui sì, alle atmosfere più distese del quarto. In cui però guarda caso riemerge il sinistro tintinnare di sonagli dell’inizio. Si può dunque scavare di più in questa Quarta, senza lasciare che la fanciullezza con cui si parla della morte, oscuri completamente la morte stessa, ma l’esecuzione di Manacorda ha comunque portato a casa un’esibizione veramente ben realizzata, con un’orchestra in buona forma nonostante qualche caduta (anche letterale, ad un certo punto penso sia caduta una sordina, ma è il bello della diretta) dal quartetto dei corni, le cui parti però sono veramente impervie e soprattutto espostissime. Notevoli però sia le prove del primo violino, alle prese anche con il secondo strumento in scordatura, sia di tutte le sezioni degli archi, con punte interessanti in percussioni e in primo oboe e primo clarinetto, oltre ai bei passaggi del corno inglese.

La mia impressione generale su questa Quarta, dunque, è stata di una splendida realizzazione, e di fatto un bel ritorno sulle scene della Fenice dopo l’ottimo concerto con Markus Stenz del 30 gennaio (in cui figuravano i più cameristici ma non meno difficili Borghese Gentiluomo di Strauss e Jupiter di Mozart) e un’ottima prova di Manacorda, da cui aspettiamo ancora molti concerti con l’Orchestra della Fenice.

 

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