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La crisi invisibile dei cantanti lirici – pt.3

di Carlo Emilio Tortarolo - 5 Ottobre 2025

Quale futuro per la lirica? Tra modelli europei e sfide globali

Nelle prime due puntate siamo entrati dentro a un problema, descrivendo un panorama polarizzato tra promesse e stelle internazionali, mentre in mezzo si consuma la crisi della “generazione sospesa”, un vuoto che non riguarda soltanto le loro carriere individuali, ma l’idea stessa di cosa significhi oggi fare cultura e mantenere continuità, memoria e identità culturale

Leggo telepaticamente una domanda che da un paio di settimane, dopo aver letto gli editoriali, ronza sulle vostre teste, semplice quanto scomoda: che cosa è possibile fare? Esistono modelli alternativi, o siamo condannati a un sistema fragile? 

Partiamo da un presupposto: il fornire soluzioni non rientra nei compiti di un editorialista; dovrebbe rientrare nei compiti di chi guida e governa la macchina culturale del Paese. È possibile, invece, guardare insieme altrove per capire come altri modelli europei affrontino problemi simili e capire, così, quanto l’Italia abbia smarrito la capacità di trasformare il proprio patrimonio in politiche concrete.

Modelli europei a confronto

Il caso tedesco è forse il più istruttivo. Qui sopravvive il sistema del Festengagement, regolato dal contratto collettivo NV Bühne del Deutscher Bühnenverein. Non è un tempo indeterminato come nella pubblica amministrazione, ma un ingaggio a termine rinnovabile che prevede minimi salariali (Einstiegs- und Mindestgage), contributi previdenziali e ferie retribuite. 

Un modello lavorativo che negli ultimi decenni ha salvaguardato una vera e propria ‘classe media’ musicale: centinaia di cantanti, registi, maestri collaboratori e strumentisti che, pur non essendo nomi da cartellone, vivono di teatro. Non tutti diventano i Pavarotti e i Freni, ma un’onesta e solida carriera, fatta di repertorio quotidiano, può essere una vita ricca di soddisfazioni personali. 

Il Wiener Staatsoper è l’esempio più noto di Repertoiretheater: opere diverse in scena ogni sera, un ensemble stabile di cantanti che passano progressivamente da ruoli comprimari a protagonisti a seconda delle esigenze. 

Questo sistema richiede resistenza e adattabilità, ma garantisce esperienza di palcoscenico e, soprattutto, riconoscibilità presso il pubblico. Lo spettatore viennese non va a teatro solo per ascoltare una star, ma per seguire artisti che crescono stagione dopo stagione. 
È una forma di fidelizzazione che in Italia, con la rarefazione dei teatri di provincia e l’incertezza delle stagioni, si è quasi completamente persa.

Mettendo a confronto questi modelli, il paradosso italiano appare ancora più evidente. 

Se nel 2023 gli artisti esultavano sui social per il tanto agognato riconoscimento UNESCO del canto lirico quale Patrimonio culturale immateriale dell’umanità, poi come fare per preservarlo è rimasto al buio. Questo sigillo internazionale che conferma l’universalità della nostra tradizione non ha prodotto strumenti concreti di sostegno, in particolare per i suoi interpreti. 

Questo sigillo internazionale che conferma l’universalità della nostra tradizione non ha prodotto strumenti concreti di sostegno, in particolare per i suoi interpreti. 

Celebriamo l’opera nei convegni e nelle inaugurazioni parlando costantemente del suo ruolo, della sua importanza e così facendo le abbiamo messo una cornice dorata attorno, dimenticando che senza i professionisti che lo praticano ogni giorno quella cornice resterà vuota.

Il mercato globale

Oltre ad additare le politiche pubbliche, un punto andrebbe fatto anche sulle agenzie, soprattutto quelle internazionali che operano in Italia.

Sempre più teatri si affidano a loro per costruire i cast, accentuando la dipendenza da pochi nomi di punta e producendo di fatto un mercato chiuso: chi ha visibilità ne ottiene sempre di più, chi non ce l’ha vivacchia, chi non ha un’agenzia resta invisibile

La carriera dei cantanti si è trasformata in un prodotto da lanciare e consumare, soggetto alle stesse logiche della moda: rapide ascese, altrettanto rapidi oblii, ritornando a quella impossibilità di poter sbagliare già citata ma soprattutto un sentimento comune di assenza di fiducia.

Non che nei precedenti decenni non ci fosse la tendenza a puntare sui ‘nomi sicuri’, quello è un trend che da secoli va avanti, ma quei già citati spazi di provincia davano da una parte lo spazio di prova, dall’altro limitavano il potere delle agenzie stesse. Ora nella rarefazione dell’industria lirica, hanno assunto un potere crescente e di fatto decidono chi merita di salire sul palcoscenico e chi deve restare indietro. Fino ai casi estremi, purtroppo unici momenti in cui la lirica torna di interesse giornalistico, di veri e propri monopoli contrattuali.

In quei casi allora il talento non basta più, se non è accompagnato dal marchio di un’agenzia. 

La voce, l’arte, l’impegno decennale rischiano di non valere nulla senza il timbro giusto sul curriculum, in una lotteria spietata che riduce la lirica a un prodotto di consumo.

La voce, l’arte, l’impegno decennale rischiano di non valere nulla senza il timbro giusto sul curriculum, in una lotteria spietata che riduce la lirica a un prodotto di consumo.

Non disperiamo. Molte realtà puntano al cambiamento con programmi che prevedono contratti triennali, residenze artistiche, produzioni pensate per dare continuità, coproduzioni che alternano star e interpreti meno noti, progetti radicati sul territorio che fidelizzano il pubblico con voci riconoscibili. Sono esperienze che mostrano delle alternative possibili e che per questo vanno sostenute da noi tutti.

La vera sfida è culturale prima ancora che economica. 

Un teatro che perde la continuità dei suoi interpreti si riduce a quella cornice vuota prima evocata. 

Ma la lirica non è un museo polveroso né un souvenir per turisti perché è un lavoro vivo, un bene comune che ha bisogno di radici nel presente e se non riconosciamo il valore dei suoi interpreti oggi, domani ci troveremo solo con quella cornice dorata e nulla più.

Dopo tre puntate, spero sia emerso come questa crisi specifica non sia solo un dettaglio interno alla vita dei teatri, ma uno specchio del modo in cui l’Italia considera la cultura: celebrazione retorica del passato ma non lavoro vivo del presente

Senza una classe politica e manageriale che riconosca il valore dei lavoratori dello spettacolo e senza strumenti per sostenerli, continueremo a produrre squilibri. 

Avremo il coraggio di costruire un futuro in cui il canto lirico sia non solo vanto simbolico, ma lavoro dignitoso e comunità condivisa?







Carlo Emilio Tortarolo

Autore

Direttore d'orchestra, pianista e manager culturale veneziano, Carlo Emilio è presidente di Juvenice - Giovani Amici della Fenice, associazione dai giovani per i giovani per la condivisione e la promozione degli spettacoli musicali, ed è segretario del Festival Pianistico ‘B. Cristofori’ di Padova.

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