Oltre lo spazio vuoto della solitudine
di Michele Sarti - 7 Maggio 2020
Il ritorno dei Berliner sul palco della Philharmonie.
Una sala vuota; pochi musicisti, dislocati, tra loro distanziati; un palco, tra i più significativi nel panorama mondiale; un appuntamento, atteso il primo Maggio di ogni anno dal 1990: l’Europakonzert e i Berliner Philharmoniker. Il trentesimo, per la precisione. La terza decade in cui i Berliner Philharmoniker festeggiano il giorno della loro fondazione in un luogo significativo storicamente. In nome dell’Europa. Il concerto, in diretta televisiva, avrebbe dovuto tenersi a Tel Aviv, durante la visita in Israele del Presidente federale Steinmeier per rimarcare l’anniversario dell’indipendenza del Paese, e poi diramarsi verso altre tappe europee. Ma nulla di tutto ciò ha potuto realizzarsi. Le cause sono ben note: un virus pandemico che ha stravolto l’intero sistema globale.
Eppure il concerto ha avuto luogo. A Berlino. Il primo in assoluto dopo i blocchi imposti dalle misure di sicurezza che i vari governi, seppure con modalità diverse, hanno messo in atto. E la capitale tedesca ha risposto per prima: quindici musicisti di una delle più importanti compagini al mondo, la bacchetta del neo direttore principale Kirill Petrenko, la voce di Christiane Karg e le parole del presidente federale Frank-Walter Steinmeier, hanno dato vita a un evento che segna la storia. È il primo ritorno alle scene dei Berliner dopo due mesi di silenzio. Circa sessanta lunghissimi giorni in cui abbiamo assistito, confinati nelle nostre case, al calare dolorosissimo di ogni sipario. Un deserto inevitabile, senz’altro, che ha scatenato dibattiti, scontri, interrogativi tutt’ora irrisolti sul come riorganizzarsi, come ripartire, come immaginare un futuro per la musica, per l’arte, per la vita sociale. Perché gli strascichi del coronavirus saranno lunghi, e le conseguenze gravi.
In ogni singola abitazione però, abbiamo visto accendersi un piccolo fuoco; una dopo l’altra, le fiammelle si sono propagate creando intere, lunghissime catene di speranza: chi crede nella solidarietà, nella cooperazione, nell’altruismo, ha messo in moto meccanismi umanitari che fanno davvero sperare. Così anche gli artisti si sono attivati, quella categoria in Italia tanto ignorata, così poco considerata da non aver meritato parola alcuna di conforto, di aiuto. In tantissimi hanno dato voce ai loro strumenti, esprimendosi attraverso l’unica piattaforma accessibile: il Web.
Ma un governo che non vede produttività nel mestiere dell’artista, è un governo che uccide i suoi cittadini privando loro di ossigeno. Perché l’arte è come aria, e chi la pratica un albero dalle ampie chiome, dalle possenti radici, che nutre e si nutre. E in questo senso i tedeschi hanno per primi indicato, ancora una volta, possibili cammini. Lo hanno fatto nel segno di una politica sensibile: “Cultura e Arte sono come cibo per l’anima” dichiara Steinmeier nel breve discorso introduttivo. Parole importantissime, cariche di significato.
“Non importa dove i concerti abbiano luogo: questo concerto vi mostrerà che l’Europa ha un tesoro di grande musica.” E infatti gli autori scelti nel programma coprono diverse aree geografiche, l’Estonia, l’America, l’Ungheria e l’Austria. “E’ parte della nostra cultura europea –prosegue – del nostro tesoro condiviso! Parliamo così tante lingue differenti nel nostro continente e abbiamo così diverse modalità di vita. Solo se siamo uniti però, possiamo affrontare con consapevolezza le difficoltà che oggi, e nel futuro, si prospettano; e ciò è particolarmente vero adesso, in un momento così difficile per tutti noi.” Continua il Presidente parlando dell’importanza oggi dell’Europa: “L’Europa è la nostra casa condivisa, ed è letteralmente impossibile esprimere ciò che significa se non con la musica, questa lingua condivisa che ci contraddistingue. Oggi specialmente però, questo regalo richiede in cambio un compito: dobbiamo aiutarci, e ci aiuteremo.” La musica, un linguaggio capace di avvicinare diverse realtà culturali, è tra i più potenti mezzi di comunicazione, e pertanto è fondamentale ripartire proprio con la musica.
“I musicisti che suoneranno per noi, diretti da Kirill Petrenko, rappresentano più che loro stessi. Nel ringraziarli per questo concerto speciale, penso a tutti quegli artisti freelance, a tutta l’intera vita culturale che ancora una volta è stata colpita duramente da questa crisi. Molte vite sono a rischio. Spero con tutto il cuore che l’aiuto dato vada a chi ne ha bisogno. Arte e cultura, che noi apprezziamo insieme, non sono banalità da diffondere. Ora più che mai, possiamo renderci conto che l’arte e la cultura sono senza dubbio cibo per l’anima.”
Non intavoleremo in questa sede ulteriori e futili polemiche, perché tutti noi siamo perfettamente consapevoli della complessa situazione italiana, di come questa culla di talenti, fondata, imperniata sul fare artistico, oggi brancoli nel buio. Siamo un Paese che, da ormai oltre vent’anni, ha scelto di non investire nelle profonde e intime espressioni dell’essere umano. Però, mi preme dirlo, è pur vero che si avverte la volontà di invertire la rotta. Saranno necessari anni di pazienza e di impegno nell’educazione e nella divulgazione musicale, e sforzi immani per far arrivare il messaggio “ai piani alti”. Sottolineando ancora una volta quanto espresso da Steinmer: ora, più che mai, abbiamo bisogno di essere uniti.
In questo senso merita una condivisione l’appello di Petrenko: “Quali ambasciatori nazionali per l’UNICEF, i Berliner Philharmoniker ed io, abbiamo deciso di donare il nostro compenso e ci auguriamo che tanti di voi possano fare lo stesso, per sostenere l’emergenza dei bambini rifugiati”. Un appello di solidarietà, di sensibilizzazione.
Con l’aiuto dei loro partner media di lunga data rbb ed EuroArts, i Berliner sono riusciti a organizzare il concerto in forma di trasmissione televisiva, e diretta streaming, dalla Philharmonie Berlin, attraverso la stazione radiofonica rbbKultur e online sulla Digital Concert Hall. La trasmissione è stata mandata in onda nello spettro di oltre ottanta altri Paesi. Per poter rispettare le norme sanitarie in vigore, si è adattato il programma a un organico cameristico, con scelte che riflettessero l’attuale, drammatica situazione: Fratres, di Arvo Pärt (nella versione per archi e percussioni, senza solista quindi); Ramifications di György Ligeti (nella versione per 12 strumenti ad arco); l’Adagio di Barber (nell’adattamento per archi dall’originale Quartetto Op. 11); e in fine la Quarta Sinfonia di Gustav Mahler, proposta nella riduzione di Erwin Stein del 1921, per quintetto d’archi, due pianoforti, armonium, flauto, oboe e clarinetto e percussioni. Senza ombra di dubbio, la Filarmonica possiede le risorse e gli strumenti necessari per allestire un’operazione del genere, ma non credo sia soltanto una questione di mezzi: hanno la mentalità e la volontà, frutto di un sistema da sempre attento al proprio patrimonio culturale.
“Le emozioni ci sovrastano; tutti noi sentiamo paura, ansia, dolore, solitudine”, dice Petrenko, il nuovo direttore principale, scelto dai professori d’orchestra per il suo “essere più focalizzato sulla musica che sulla propria immagine” (ricordiamo che i Berliner sono una delle poche formazioni che può votare per la scelta del proprio direttore principale). “Solitudine espressa nelle pagine di Pärt, Barber o Mahler”.
E anche sul programma, al di là della scelta dettata dai necessari cinque metri di distanza, ci sarebbe molto da dire. Lavori tutti nel segno del XX secolo, a cominciare dalla nota Quarta di Mahler che fu appunto completata nell’Agosto del 1900. Un secolo, quello scorso, spesso dimenticato, o poco indagato nelle sue mirabili sfaccettature, angolature caleidoscopiche. Un segno quindi, volto a ricostruire quel filo diretto che ci lega a un recente passato, alla figura del compositore nelle sue molteplici vesti di artigiano, e a un senso pratico del far musica.
I Berliner e Petrenko propongono dunque, affianco alle fin troppo udite sonorità di Fratres, o dell’Adagio di Barber, i meravigliosi intrecci timbrici di Ramifications, composizione della fine degli anni ‘60 che Ligeti presentò per la prima volta proprio a Berlino, e con la quale si avviava a sfoltire le sue stesse dense e complesse strutture mediante la ripetizione o la variazione di cellule, di motivi intavolati in una fitta rete, in cui lo scorrere del tempo perde la sua pulsazione fondamentale per divenire flusso continuo. I dodici archi sono tra l’altro suddivisi in due gruppi, uno dei quali accordato un quarto di tono sopra rispetto all’accordatura standard. Il risultato è un continuo ricercarsi di suoni, di armonie che si spostano impercettibilmente e contemporaneamente appaiono immobili. Curioso notare come questa orchestra possa permettersi di proporre lavori suonati e risuonati: il livello altissimo dell’esecuzione e gli accostamenti, restituiscono all’ascoltatore una sensazione di totale novità e freschezza.
Concludono i quattro movimenti mahleriani, di cui l’ultimo, un lied orchestrale, affidato a Christiane Karg. La versione proposta è una riduzione, dalla grande orchestra all’ensemble, di Edwin Stein, allievo, tra gli altri, di Arnold Schoenberg. Stein adotta una tipologia di organico molto in voga nei primi decenni del XX secolo per l’intento divulgativo, in ambiti più salottieri, dei lavori sinfonici allora contemporanei. Una versione che incide, come una radiografia, ancor più al dettaglio, quel respiro cameristico e quella fisionomia classicheggiante, che la Quarta sinfonia di per sé già avrebbe.
Pur distanti tra loro gli strumentisti, anche nei difficilissimi punti di insieme che questa versione richiede (penso per esempio, ai pizzicati del contrabbasso che cadono simultaneamente col pianoforte), hanno dato prova di essere un organismo unico, animato da un solo respiro. E il direttore è davvero un membro dell’ensemble: un punto di riferimento che accompagna, che mostra il percorso. Se poi a dirigere è Kirill Petrenko le architetture musicali vengono rivelate senza mai imporsi, con quel sorriso ricolmo di umiltà professionale e determinazione ch’egli rivolge ai musicisti, alla musica.
In un contesto simile la distanza diviene vicinanza, e dimostra ancora una volta che suonando si è capaci di superare certe barriere fisiche. Lo spazio si colma con l’ascolto profondo e la relazione, con quel modo di far musica zusammen musizieren, alle cui fondamenta poggia il concetto di insieme: il rapporto umano. Che terribile sensazione sentirsene privati, oggi, davvero, ne riconosciamo l’importanza. La natura ci ha plasmato come anime sociali e il nostro canto necessita coralità.
Vedere quella sala, solitamente stipata, come una fredda, inanimata architettura, al cui vertice pochi individui si esprimono con profonda e commossa devozione al mestiere, reclinano il busto a un pubblico virtuale, ascoltano un silenzioso applauso che non viene – solo il tonfo di un leggio, o i passi di qualcuno galleggiano sordidamente nello spazio vuoto – è qualcosa di terribile e sublime. Terribile perché viviamo un paradosso, un rovesciamento. Sublime perché dinnanzi al dramma l’uomo è comunque capace di cose straordinarie.
Michele Sarti
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