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Shakespeare in Musica: L’Otello di Verdi

di Lorenzo Papacci - 22 Aprile 2016

Giuseppe Verdi durante la sua vita vide William Shakespeare come una colonna drammaturgica  portante della sua opera. Tre sono le opere ispirate dai drammi del “Bardo dell’Avon”: il “Macbeth”, che fu la prima opera italiana priva di una storia d’amore come trama centrale, il “Falstaff”, basato su “Le allegre comari di Windsor” con passi tratti da “Enrico IV”, e “Otello”, che fu la più travagliata e insieme con “Falstaff” rappresenta l’ultima fase del Verdi operista.

A dirla tutta il “cigno di Busseto” voleva realizzare anche un “Re Lear” che non compose mai a causa del libretto di Antonio Somma che risultò troppo lungo per una rappresentazione musicale. “Otello” è la storia della decadenza interiore di un’anima nobile che viene sedotta e corrotta da una malvagia, questo era un tema attualissimo per l’epoca in una società ormai disillusa dalle aspirazioni romantiche e da quelle rivoluzionarie nella quale si stava sviluppando una nuova morale, con “Otello” lui e Boito portano Shakespeare nel Decadentismo rinnovandolo e ampliando la sua carica drammatica.

Verdi, negli anni della composizione di “Otello”, era ormai un artista di fama internazionale che lavorava per teatri come l’Imperiale di S.Pietroburgo e l’Opéra di Parigi. La sua ultima opera era stata “Aida” nella quale troviamo una visione del potere molto negativa e opprimente con i sacerdoti, rappresentanti del potere religioso immobile, che entravano introdotti sempre dallo stesso tema che “spegneva” l’orchestra e bloccava l’azione, mentre sul palco venivano raccontate le sofferenze di tre giovani che il potere incarnato nei sacerdoti nemmeno considerava. Dopo “Aida” per il nostro compositore ci furono sedici anni di silenzio operistico, le ragioni di quest’ultimo sono state ampiamente oggetto di discussione e si sono formulate molte ipotesi, sta di fatto che egli aveva visto nascere il nuovo stile operistico di Wagner e il successo che ebbe nella nuova generazione, non sappiamo quanto tutto ciò influì sulla scelta di non scrivere fino a questo punto, in ogni caso egli veniva visto dai giovani “scapigliati” come il rappresentante di una generazione passata che non era rappresentativa della loro visione del dramma e che non destava più le emozioni di un tempo le cui convenzioni andavano cambiate, a questo proposito è interessante citare le parole che Arrigo Boito scrisse nel 1863 su “La perseveranza” : “E cio che ne preme tosto di sì è che, da quando il melodramma ha esistito in Italia infino a oggi, vera forma melodrammatica non abbiamo avuta giammai, ma invece sempre il diminutivo, la formula. Nata con Monteverdi, la formula melodrammatica passò a Peri, a Cesti, a Sacchini, a Paisiello, a Rossini, a Bellini, a Verdi, acquistando, di mano in mano che passava (e molto in questi ultimi sommi), forza, sviluppo, varietà, ma restando pur sempre formula, come formula, era nata… L’ora di mutare stile dovrebb’essere venuta, la forma vastamente raggiunta dalle altre arti dovrebbe pur svolgersi in questo nostro studio…ci si muti nome e fattura, e invece di dire libretto, picciola parola d’arte convenzionale, si dica e si scriva tragedia come facevano i Greci.” Queste frasi fanno ben comprendere come la forma delle sue opere fosse ormai andata in noia presso i giovani che in quel momento stavano guardando a Wagner.

Quando Giulio Ricordi alla fine del 1878 gli propose insistentemente di comporre un’opera su libretto di Boito probabilmente il compositore non avrà fatto salti di gioia, ma alla fine accettò e, perdonato lo “scapigliato”, i due si conquistarono a vicenda riuscendo a capirsi. L’opera frutto di questo sodalizio fu appunto “Otello” che non è, a dispetto dell’anagrafe, un capolavoro senile mesto e composto, ma un’opera di estrema forza e vitalità. A causa del lungo periodo di pausa dall’opera di Verdi la notizia di una nuova opera destò molte curiosità e altrettante aspettative da parte dei suoi ammiratori e la sua genesi fu seguita dal pubblico che aspettava di vederla sulle scene. Per questo motivo, probabilmente, ebbe una cura meticolosa non solo nella composizione, ma anche nella preparazione dello spettacolo, egli era ormai un compositore maturo e non così vincolato né dal gusto del pubblico, né dalle doti vocali dei cantanti che aveva a disposizione infatti, in una intervista a Jacopo Caponi disse: “La maggior parte delle mie opere è stata scritta in vista di questo o quell’artista. Non è così in questo caso. Vi è un lato buono e uno cattivo. Il lato buono è che in questo modo il compositore non è bloccato da alcun ostacolo e può dare libero corso alle sue idee. Il lato cattivo è che una volta scritta l’opera è più difficile trovare coloro che la eseguano secondo le intenzioni dell’autore.” Scelse personalmente gli interpreti e li preparò al pianoforte sia nel canto che nella recitazione. Tra i tanti dati va menzionato il secondo violoncello dell’orchestra, ruolo per il quale fu scritturato un certo Arturo Toscanini che fu pure rimproverato dal maestro. La prima rappresentazione ebbe luogo il 5 Febbraio 1887 al teatro La Scala, fu un grande successo che obbligò il pubblico a un ascolto più concentrato rispetto alle sue opere precedenti, tuttora oggi chi conosce solo il “primo” Verdi può trovarsi spaesato di fronte a Otello e a Falstaff, la frangia più ammiratrice di Wagner rimase entusiasta di quest’opera. Camille Bellaigue, un critico suo amico disse che: “Nelle sue vecchie opere, perfino in Rigoletto, nel Trovatore, nella Traviata, Verdi non segnava per così dire che i punti culminanti…Il vuoto ne risultava tanto più profondo tra le cime. Questo vuoto, Otello e Falstaff sono venute a colmarlo.”

La struttura della trama dell’opera è più semplice rispetto a quella del dramma di Shakespeare sia per venire incontro alle esigenze di una rappresentazione musicale, che per far emergere i tre personaggi principali: Iago, Otello e Desdemona. Questi interventi portarono al taglio del primo atto ambientato a Venezia e di alcuni personaggi secondari come Brabanzio, Graziano e Bianca. L’opera comincia fuori del castello di Otello in Cipro con il popolo e gli ufficiali che guardano l’attracco della nave di Otello reso molto pericoloso da una tremenda tempesta che infuria, Otello scende a terra e annuncia la vittoria nella battaglia contro l’esercito musulmano, Iago e Rodrigo tramano contro il capitano Cassio, lo fanno ubriacare e si genera una rissa che vede sfidarsi Cassio e Rodrigo, viene ferito il governatore Montano, arriva Otello che degrada Cassio per non aver saputo mantenere il controllo, arriva poi Desdemona con Otello, che dopo aver fatto allontanare tutti, si pronuncia con lei in un meraviglioso duetto d’amore. Nel secondo atto Iago consiglia a Cassio di chiedere a Desdemona di intercedere presso il generale per lui e fa nascere in Otello il dubbio che tra i due ci sia una relazione. Quando Desdemona va da lui per chiedere di perdonare Cassio tanto basta ad Otello per capire le cose come stanno, questa per sbaglio lascia cadere un prezioso fazzoletto regalatole dal marito e Iago lo prende dalla sua ancella, torna da Otello e rincara la dose dicendo che ha visto il fazzoletto nelle mani di Cassio, Otello giura di vendicarsi. Nel terzo atto arrivano degli ambasciatori da Venezia e Desdemona chiede di nuovo a Otello di perdonare Cassio, Otello le chiede il fazzoletto e lei si accorge di averlo perduto destando la sua ira. Nella scena successiva Iago va a parlare con Cassio mentre Otello osserva tutto e sente Cassio pronunciare il nome di Desdemona e anche se non capisce tutto il discorso vede nelle sue mani il fazzoletto, mentre viene annunciato l’arrivo degli ambasciatori Otello si organizza con Iago per uccidere sua moglie. Gli ambasciatori annunciano a Otello che deve tornare a Venezia e che il comando passa a Iago e quando Lodovico gli fa notare sua moglie in lacrime e lo invita a confortarla egli la maledice e la oltraggia pubblicamente e preda della sua stessa ira sviene, Iago, mentre si inneggia al “Leon di Venezia” osserva soddisfatto lo svenimento di Otello commentando beffardo: “Ecco il Leone!“. Nell’ultimo atto passiamo dalle sale del castello alle stanze di Desdemona che si prepara per dormire e recita un’Ave Maria che è il manifesto della sua purezza e bontà, entra Otello le intima di chiedere perdono a Dio per le sue azioni e poi la uccide, rientra l’ancella Emilia che vede la sua signora morente, dice ad Otello che Cassio ha ucciso Rodrigo e alle sue urla entrano tutti nella stanza, Emilia rivela a tutti l’inganno di Iago che fugge e Otello avendo compreso il suo errore non ha altra alternativa se non pugnalarsi e morire baciando sua moglie.

Verdi riuscì a comprendere il nuovo gusto che stava prendendo forma e non rimase indifferente a quello che stava accadendo nel mondo, senza chiudersi nell’Olimpo dei grandi artisti ma si rimise in gioco con un uomo di trent’anni più giovane di lui e provò anche ad imparare stilisticamente da lui, quest’uomo non è stato un genio ma un eroe. Egli diede all’opera una maggiore continuità drammatica rispetto alle precedenti e rinnovò la forma che non risulta più divisa in arie e recitativi, ma è un flusso musicale ed emozionale continuo che sembra sia un avvicinamento allo stile di Wagner. Ovviamente questo non va interpretato come un taglio netto con il passato, è impensabile che un uomo con i suoi valori rinunciasse a ciò che aveva fatto fino a quel punto, è vero che lo stile di “Otello” è quasi sperimentale rispetto al Verdi “popolare” ma ciò è il risultato di un processo che comincia già con “Traviata”, dove i recitativi sono strettamente collegati alle arie e sono molto condizionati dall’aspetto drammatico del momento, (è esemplare il secondo quadro del secondo atto) e arriva al suo culmine con “Otello” e “Falstaff” e quindi dobbiamo rivedere la citazione di Bellaigue fatta sopra secondo quest’ottica per avere una maggiore obiettività.

E’ improprio quindi parlare di una svolta wagneriana di quest’ultima fase: il compositore tedesco era morto 4 anni prima e molti hanno visto questo cambiamento come una vendetta sul suo rivale, ma fare questo tipo di discorsi è controproducente e poco realistico. In ogni caso in quest’opera in superficie non ci sono arie e recitativi e nemmeno parti isolabili, ma l’azione si svolge in una soluzione continua senza numeri chiusi, in realtà a ben vedere si possono individuare sezioni separabili, seppure molto più grandi rispetto alle opere precedenti e strutturate in maniera diversa, sono individuabili anche alcune arie (“Ora e per sempre addio”; “Ave Maria”; “Credo in un Dio crudele” etc.) che sono impostate secondo uno stile innovativo e non più legato alla linea melodica ma teso all’espressione drammatica.

Tirando le somme possiamo che in realtà non vengono eliminate le arie ma i recitativi e Verdi volge l’indirizzo artistico verso una declamazione drammatica evocativa delle emozioni contenute nel testo svolgendo una funzione di commento e ampliamento e creando un tessuto musicale continuo. Questo tipo di declamazione drammatica che viene a crearsi è basata su una molteplicità di registri e di colori che apre uno spettro sonoro che va dalla declamazione appena udibile alla massima esplosione vocale, questo porta alla sublimazione della parola e apre anche alla maggiore resa psicologica dei personaggi. Un critico come Gabriele Baldini parlerà di una minore coerenza drammaturgica per quest’opera a causa della sua pluralità di colori e alla convivenza di più stili, in special modo nei concertati che vengono definiti come antinarrativi. In realtà andando oltre la visione di Baldini bisogna dire che è vero che Verdi nel quartetto del secondo atto e nel sestetto del terzo interrompe l’azione, questo però non accade perché il concertato non è utile al suo sviluppo, ma perché viene usato come strumento di approfondimento psicologico dei personaggi e tutto ciò non genera incoerenza ma un ampliamento della visione drammaturgica, mentre prima il compositore eliminava qualsiasi orpello non fosse teatrale e funzionale alla narrazione. Come si è già detto l’orchestra non è legata strettamente a una linea melodica ma all’andamento drammatico e quindi ad una linea emozionale ma non attraverso il “leitmotiv” wagneriano, egli preferisce che si ripropongano delle sonorità e delle atmosfere e non crea temi ricorrenti, si è parlato, a ragione, di “espressionismo” proprio perché la valenza drammatico-sonora è il pilastro che regge tutto.

Boito inizialmente aveva intitolato il suo libretto “Iago” perché egli è il motore di tutte le azioni dell’opera,  la sua parte è quella vocalmente più interessante: Iago è l’unico che si muove con agilità tra la declamazione drammatica e un canto più melodico e questo non accade solo per dargli importanza, la melodia, in quanto artificiosa rispetto allo stile più declamatorio che è più realistico, rappresenta la maschera che Iago indossa per tessere le sue trame con tutti gli altri personaggi che si muovono come pedine nelle sue mani e quindi Verdi lo “veste” attraverso una maniera di cantare più classica per mettere in luce la sua malvagità infatti, rispetto allo Iago di Shakespeare questo è più maligno e gode della sua natura turpe che Boito mette in luce nell’aria “Credo in un Dio crudele” che Verdi renderà dirompente attraverso la musica. Se per uno il centro di tutto era Iago per l’altro è Otello perchè rappresenta il male che si incarna nell’azione cieca che prima genera l’ira e poi uccide Desdemona, questa invece incarna un tipo assoluto, è quasi un personaggio metastasiano e incarna valori puri, giovanili e rappresenta la bonta e la rassegnazione, rassegnazione al potere di Otello che invece è rabbioso fino a una follia autodistruttrice, crudele, non pensa ma agisce freneticamente, tende sempre alla declamazione drammatica e non alla melodia che risulta irreale addosso a lui che è fisico e mai mentale.

Verdi morì nel 1901. Durante tutta la sua vita partecipò sempre attivamente agli eventi politici che avvenivano in Italia e mentre Wagner mise in musica le idee filosofiche di Schopenhauer egli portò nelle sue le idee di Mazzini, la realtà politica del suo tempo, la lotta per la libertà e l’unità. Negli anni più giovanili sperò che i moti rivoluzionari fossero il modo per creare lo stato unitario, questi sono il suo periodo battagliero con opere di grande vigore.

Mazzini nel 1848 gli chiese di comporre un inno patriottico, ma quando vide con dolore morire molti giovani in queste imprese, come in quella di Carlo Pisacane, capì che questi rivoluzionari non avrebbero portato alla realizzazione di nulla e cominciò poi a credere nella figura di Vittorio Emanuele II a cui chiaramente è ispirato il personaggio di Riccardo del Ballo in maschera, ed infine dopo la creazione dello stato unitario fu eletto nel primo parlamento del Regno d’Italia. Ma in seguito rivelò al suo librettista Piave che si fece eleggere a patto di potersi dimettere pochi mesi dopo: partecipò poco alle attività parlamentari e da qui comincia la sua disillusione da quella che era la politica del nuovo stato e dai suoi rappresentanti che invece di portare avanti i valori per cui quei giovani erano morti avevano creato semplicemente un nuovo stato: uno dei tanti popolati non da cittadini ma da sudditi.  Aida già dimostra tutto ciò, ritroviamo nelle sue ultime tre opere la consapevolezza che il potere logora i suoi portatori e li distacca dai governati e in “Otello” c’è tutto il suo pessimismo politico condensato nell’immagine terribile di un potere rabbioso portato alla follia estrema e alla distruzione di sé stesso, Desdemona che è simbolo di tutte le aspirazioni del giovane Verdi e degli ideali mazziniani di Dio e Patria, a causa delle trame del potere viene uccisa brutalmente da Otello senza che questa abbia occasione di spiegare, anzi è meglio dire di parlare con quello che è suo marito e che si trasforma in un feroce assassino. Questo è il prodotto di tutte le sue disillusioni , di un uomo che ha sempre cercato di trovare dei valori concreti, negli ultimi anni cercherà di rifugiarsi nella religione e le sue ultime composizioni saranno i “Quattro pezzi sacri”, ma purtroppo nemmeno lì troverà conforto e nel “Te deum” sulle parole finali “in te, Domine, speravi” (in te ho sperato, o Signore!) un soprano (che egli voleva che non si vedesse nemmeno sul palco), gli ottoni e un contrabbasso in un insieme dissonante saranno il suo testamento e il suo ultimo tragico messaggio.

Lorenzo Papacci

 

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